Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Paola Rambaldi

Con questo racconto ha vinto il quarto premio del concorso Club Poeti 2001-2002, sezione narrativa

Un' estate a Carloforte
 
Giovanni immerso nel suo dolore accompagna a piedi la bara verso il cimitero di Cagliari, seguito da un piccolo corteo a passo cadenzato.
Ha scelto lui di seppellire la sua donna, nella tomba di famiglia, al tramonto. Alla stessa ora in cui quarant'anni prima l'aveva portata a casa.
Io allora ero una bambina e lui aveva 28 anni. Abitavamo a Carloforte nella vecchia casa da pescatori dei nonni che dava su una stradina polverosa appiccicata ad altre case bianche, dalle cui finestre pendevano gerani rinsecchiti e panni colorati stesi ad asciugare.
Lui era il fratello più piccolo di mio padre, completamente diverso da tutti gli altri componenti della famiglia scuri di pelle e dai lineamenti duri. Giovanni aveva carnagione e occhi chiari e capelli lisci con striature bionde.
Era il mio idolo di una bellezza dolce e raffinata, che forse vedevo solo io, gli altri si soffermavano solo sul fatto che non parlava con nessuno e che se ne stava sempre solo e immusonito immerso nei suoi pensieri.
Qualche volta avevo sentito le zie chiamarlo sottovoce "Il bastardo".
Il nonno lo aveva portato a casa una notte da Cagliari, dove andava a vendere il pesce una volta alla settimana. Senza dare spiegazioni.
Si mormorava che quel figlio l'avesse avuto da una relazione con una tedesca conosciuta in città.
"Ha 5 anni... e si chiama Giovanni" era stato tutto quello che aveva detto. La nonna aveva pianto per mesi, ma poi aveva dovuto rassegnarsi a tenerselo e a tirarlo su assieme ai suoi figli.
Giovanni era cresciuto tollerato a fatica e per non essere di peso alla famiglia, si era istruito per quel poco che gli era stato concesso e si era assoggettato ad aiutare il nonno nella pesca fin da piccolo.
Tutti i giorni, con la barca, si allontanava dall'isola di S. Pietro e si spingeva fino a S. Antioco per pescare al largo di Cala Lunga e di Cala de Saboni, oppure si dirigeva nella direzione opposta verso il Golfo di Gonnesa.
Ogni giorno, prima di rientrare, indugiava in lunghe nuotate rinfrescanti, in quelle acque smeraldine che scintillavano come una zolletta di zucchero.
Per lui gli anni scorsero moderatamente tranquilli fino alla morte del nonno, quando i fratelli manifestarono apertamente la loro insofferenza nei suoi confronti.
Nella vecchia casa polverosa vivevano già assiepate tre famiglie e la convivenza era a tratti impossibile. Le nuore, che sfornavano ogni anno un paio di marmocchi urlanti, lo guardavano in cagnesco, e mugugnavano a vederselo sempre lì a ciondolare scapolo per casa, nel timore di doverselo accudire anche in vecchiaia."Quello là!" che rimaneva sempre muto a fissarle mentre rigovernavano la cucina.
"Deve assolutamente sistemarsi! non se ne può più!" dicevano a mio padre che era il maggiore dei fratelli, facendo in modo di essere sentite anche da Giovanni.
Mio padre, stufo di quelle lamentele, si era allora deciso a rivolgersi a un sensale di Cagliari, per trovargli una compagna.
L'uomo si fermava, una volta al mese, davanti a una trattoria di Piazza Jenne con un camion pieno di femmine provenienti dalla Calabria e le scaricava a terra alzando il ribaltabile, tra l'ilarità dei presenti. Le donne, destinate in base a una fotografia, venivano spartite tra gli"scapoli impiazzabili" che ne avevano fatto domanda.
Giovanni si era sempre assoggettato alle imposizioni della famiglia senza ribellarsi e anche in quell'occasione aveva seguito mio padre a Cagliari, senza lasciar trapelare alcuna emozione. Io mi ero aggregata a loro con la scusa di portare un mazzo di fiori per l'ospite.
Ero rimasta delusa all'arrivo del camion, perché le donne non erano state scaricate con il ribaltabile, come mi avevano raccontato le zie, ma erano scese con le proprie gambe.
Erano tutte bruttine e grassottelle, infagottate in quelli che dovevano essere i loro abiti migliori. L'uomo basso e tarchiato, che aveva fatto da autista, aveva provveduto all'appello e alla spartizione.
Eugenia era stata una delle prime a essere assegnata.
Era diversa dalle altre; alta e magra con capelli chiari corti, pettinati dietro alle orecchie, era l'unica a capo scoperto e con una faccia graziosa.
A Giovanni doveva essere piaciuta da subito, ma lei non lo aveva nemmeno guardato continuando ostinatamente a fissarsi i piedi. Senza una parola, lui l'aveva timidamente accompagnata al furgone che sapeva di pesce, dopo avere lanciato nel cassone i tulipani gialli che lei aveva ignorato.
Durante il viaggio Eugenia doveva avere ripensato allo schifo che si era lasciata alle spalle a Bovalino e a quando, a 8 anni, quel vecchio, che abitava da solo in fondo alla strada del paese, le mostrava la cioccolata e le caramelle da dietro i vetri della sua lurida casupola. Lei c'era andata solo per vedere il vitellino nuovo nella stalla. La cioccolata l'aveva accettata solo la seconda volta... Le confidenze fatte ad Annetta avevano fatto in breve il giro nel paese e solo quando aveva visto i vicini additarla, dandosi gomitate d'intesa, aveva capito che quello che aveva visto e subito era una cosa di cui vergognarsi. La sua vita al paese era bruciata ed era per quel motivo che era finita su quel camion, in mezzo a quelle mezzecalzette. Una "ribaltabile" come le altre destinata in sposa a uno sconosciuto.
Giunta a Carloforte, col suo misero fagotto, la donna aveva continuato a piangere per tutta la sera, senza toccare cibo. Gli inizi non erano stati dei più promettenti. Quando Eugenia non piangeva, se ne stava completamente muta in un angolo isolata da tutti, oppure camminava sola fino al porto. Nei primi tempi le cognate avevano cercato di essere gentili, ma non ottenendo alcuna gratitudine avevano cominciato silenziosamente a odiarla.
Li chiamavano"i due muti" . Il colmo era che non avevano neppure fraternizzato tra loro. Con quello che era costata, l'ingrata, era solo una bocca in più da sfamare. E poi che spocchia! chi si credeva d'essere quella stracciona?. Per qualche tempo avevano anche pensato di rispedirla a casa... Ma chi se la sarebbe ripresa?.
In casa le avevano affidato alcune umili incombenze, che lei svolgeva di malavoglia.
Giovanni se la guardava furtivo, ma non faceva niente per avvicinarla. Lei gettava intorno occhiate sprezzanti e continuava a dormire nel mio letto, costringendomi a coricarmi tra i miei genitori. Erano tutti scontenti.
Mia madre disse che era per colpa di quella donna, se quel forestiero scuro con la faccia da zingaro e la bandana rossa, aveva preso a gironzolare sotto alle finestre dove Eugenia rimaneva a lungo affacciata a fissare il mare.
Goran, il giovane montenegrino dall'aspetto piratesco, seguiva Eugenia a distanza quando usciva per la spesa, mangiandosela con gli occhi.
Anche lei lo spiava, orgogliosa di quel corteggiamento, e aspettava ansiosa che il pirata si facesse avanti.
Ero sveglia a contemplare le stelle, in quella calda notte di S. Lorenzo, quando lo zingaro era venuto sotto casa a prenderla.
Lei era scivolata fuori dall'oscurità dell'androne e lo aveva seguito docilmente fino al porto, ansiosa di andarsene. Il suo istinto si era allertato solo quando lui aveva preso a trascinarsela dietro, stringendola troppo forte a un polso. Quando si erano trovati immersi nella penombra delle barche, lontani dal caseggiato, l'uomo senza una parola, le si era avventato addosso per prenderla con la forza, bloccandole le mani dietro alla schiena.
Sorpresa e delusa Eugenia aveva lottato come una furia nel tentativo di liberarsi.
Era stato allora che il pirata aveva estratto un coltello.
La donna, in lacrime, vinta più dalla delusione che dal terrore era caduta in ginocchio ormai pronta al peggio.
Dopo momenti che le erano apparsi interminabili, con gli occhi fissi al luccichio della lama, non si era accorta dell'ombra apparsa alle spalle dello zingaro e di quel grido soffocato.
Un liquido caldo e scuro le aveva schizzato il vestito, mentre il pirata si afflosciava mollemente ai suoi piedi con espressione stupita.
Giovanni, dopo avere lanciato lontano il remo che teneva tra le mani, l'aveva rialzata abbracciandola. Eugenia si era aggrappata a lui singhiozzando, presa da un convulso tremore. "Riportami a casa... ti prego... ti prego..." aveva chiesto vergognandosene subito. Giovanni aveva detto solo un "Vieni..." e l'aveva accompagnata alla fontana vicina per lavare quelle macchie dal vestito. "Io... Non so se..." aveva balbettato Eugenia.
"Ne parleremo domani... ora torniamo a casa!" l'aveva zittita lui, stringendola forte.
La mattina seguente, lo zingaro, con una vistosa fasciatura sotto alla bandana, era stato visto imbarcarsi al porto per lasciare l'isola per sempre. Dopo un mese Eugenia, lasciando tutti sorpresi, aveva portato le sue poche cose nella camera di Giovanni e nell'autunno seguente si erano trasferiti in una casa in affitto a Cagliari.
Con il passare degli anni impararono a intendersi con uno sguardo e a stimarsi in silenzio. Furono anni sereni.
Ora lui allunga una lieve carezza sul legno lucido della bara e riaggiusta un paio di tulipani gialli caduti, mentre il sole tramonta sul mare che a quell'ora ha il placido colore dell'argento.

 Classifica Concorso Club poeti 2001-2002 sezione narrativa

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ins.3 maggio 2002