SCRITTORI ITALIANI
CONTEMPORANEI

affermati, emergenti ed esordienti
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Paola Gallo
Opera 7° classificata al concorso Città di Melegnano sez. narrativa

Residui d'amore
 
Quello che rimaneva era tutto lì. Ridicolo che si potesse racchiudere tra pallide pagine spesse e ingiallite, che parevano sporche e avevano un odore acre, come di foglie morte. Non sapeva che fare: poteva sfogliare le pagine e combatterle, e cedervi; perché sarebbe stato così, lo avrebbero risucchiato in quella discarica, in quel mucchio, cumulo, montagna di residui.
Magari poteva opporsi fingere distacco, fingere di aver elaborato, ingoiato e digerito quel bolo fastidioso, che lasciava in bocca tutto il sapore del dolore.
Ma la parola chiave era fingere, finzione, perché quella era stata, un'inutile farsa, un mare di bugie, menzogne, balle. Ed eccola qua, come non cedere al fascino di dare un'occhiatina a quel cumulo di residui, come impedire di cacciare il naso in quell'olezzo, che non era poi così male ed era meglio di niente.
Alla fine decise di non aprire l'album di foto con la copertina di girasoli. Lo gettò sul letto, non lo ripose nel cassetto, non lo bruciò, non lo gettò in mare, no, lo lasciò lì, perché comunque era un pezzo del suo mucchio e forse sarebbe tornato utile. Sorrise, sembrava di sentir parlare sua madre, quando riordinava spostando quantità di carta, plastica, ferro, rame, nickel da un cassetto all'altro, chiudendo a fatica un'anta solo per aver riordinato la precedente.
Andò alla finestra. Ecco, ci siamo, la miccia era accesa e allegramente scoppiettante.
A che serviva cacciare il naso nei rifiuti se non a scovare qualcosa di interessante? E lui, che i rifiuti li raccoglieva e spostava di professione, sapeva che eliminarli era impossibile, che non c'era mai abbastanza terra per seppellire tutto quanto, che qualcosa, prima, o poi, saltava fuori. E infatti, lui che di discariche se ne intendeva abbastanza, e di persone ne aveva conosciute diverse, sapeva che l'uomo fa tutto a immagine di se stesso, non per desiderio di onnipotenza, ma per mancanza di fantasia. Allora a che serviva un album di foto quando le immagini le aveva ben fisse nella mente, a che serviva una discarica, quando si aveva la propria testa?
Così cedette, senza scricchiolare e, peraltro, senza fragorosi polveroni. Eccolo lì a trastullarsi con i residui, a prenderli in mano, toccarli, guardarli, leccarli come fossero i primi giocattoli di un neonato, con quel senso di sorpresa ed emozione che gli avrebbe regalato un bel dolore e allo stesso tempo gli avrebbe lasciato in testa un retrogusto di piacere.
Allora decise di buttarvisi a capofitto, di tuffarsi nel mare dei residui, lui che ben sapeva di non aver mai imparato a nuotare. Non che fosse una decisione consapevole, perché in questi casi la testa se ne andava un po' a caso, come la pallina di una roulette impazzita, ma ad ogni modo gli capitò di lasciarsi andare. Non tornò all'inizio di quella storia; l'inizio in fondo si era ripetuto e confuso con altri inizi fino a svanire, o meglio, a perdere la sua importanza. No, piombò invece nel bel mezzo della vicenda, per quanto fosse convinto della totale mancanza anche di una méta, di un apice, o un centro. Si trattava in realtà di una serie innumerevole di andirivieni, fughe e ritorni. Neppure una fine esisteva, strano a dirsi, se si pensava che la fine, e quindi l'esistenza stessa di una fine era testimoniata dal presente.
Si fece forza ed entrò in un momento qualsiasi di quella storia, sfoderando tutti i suoi buoni propositi. Non voleva fare l'isterico e finire per incolpare se stesso o lei di tutti gli egoismi, le incomprensioni, i patti, le discussioni, gli inutili compromessi. No, voleva analizzare, come avesse in mano carta e penna, ogni causa, ogni effetto, ogni ritorsione e rinuncia a denti stretti che aveva portato o contribuito al catafascio. Gli sarebbe piaciuto disegnare uno schema con cerchi precisi a indicare insiemi e sottoinsiemi di fattori, e simpatiche freccette a stabilire nero su bianco, ineluttabilmente, i rapporti causali, i nessi, che collegavano i vari fattori, fino a ottenere, racchiuso in un perfetto rombo, la spiegazione, il Perché.
Niente, non gli veniva in mente niente. Non riusciva a dare un senso a tutto quello che la sua mente vomitava, nessun ordine in cui disporre i baci e le carezze, le risate, le mani strette, nessun cerchio in cui racchiudere i sospiri strozzati, le bugie, i tradimenti. Nessun risultato, quindi, nessun perché, solo una vaga, sottile sensazione di squallore.
Disadorno, triste e arido pareva a tutti gli effetti quel cumulo di amore sprecato. Perché soffrire allora? Perché lei aveva sofferto, e forse, come a lui spesso piaceva pensare, soffriva ancora un po', in sordina, a volte di notte, anche se accanto a lei dormiva un altro? E lui, perché a volte si perdeva nel pensarla, perché si imbarazzava quando la incontrava per caso al supermercato o in giro in centro?
Non era convinto, qualcosa esisteva, un sostrato, un doppio fondo, una nicchia, un armadio a muro del colore della parete. E sì che c'era: a modo loro si erano amati, un modo un po' asettico, univoco a turno. Lui l'aveva amata, aveva sospirato per la sua risata, aveva trovato rifugio fra le sue braccia, le aveva raccontato pezzetti di anima, aveva pianto e urlato per lei, aveva fatto carte false per averla e l'aveva infine ferita, senza pietà, più volte, al petto e alla schiena, approfittando di lei, della sua debolezza, del suo amore, servendosi della sua influenza e, peggio ancora, facendolo con cognizione di causa.
Si era sentito sicuro fino a voler cercare altrove quello che per lei non provava, aveva inseguito sentimenti dorati e vuoti, aveva rincorso le sue idee letterarie.
Lei aveva incomprensibilmente tenuto duro sotto i colpi, si era ripulita le ferite lavandosi e rimettendosi in piedi, rimettendosi in cammino quasi senza batter ciglio, spolverandosi il fondo dei pantaloni e risistemandosi il cappello.
E tutto questo per un tempo incommensurabile e nebbioso, tempo in cui tutto si era sciolto in un'accozzaglia di sensazioni e azioni confuse, di partenze e ritorni, silenzi e risate. Il tutto messo a tacere dalle urla del mondo, dalle decisioni degli altri, mentre in lui cresceva quell'irrequietezza che a tratti, ancora adesso, nonostante il grigiore dell'autunno e il torpore della malinconia, la sonnolenza della provincia, lo inondava, lo invadeva fino a farlo soffocare strozzandolo dall'interno, tranciandogli di netto le corde vocali per non fargli urlare i suoi desideri.
Forse era stata una di queste crisi di epilessia, forse in una crisi di convulsioni l'aveva abbandonata, ancora senza troppi rancori, come al solito, si erano perfino abbracciati, come se lei volesse fare la pace ancor prima della guerra; forse era stato questo a fargli rinunciare a una persona che amava, che era uno degli elementi stabilizzanti della sua vita, che gli garantiva un angolo caldo in cui si rifugiava ogni volta che ne aveva bisogno. Forse era questo il motivo, forse sì.
In realtà le cose erano andate un po' diversamente. In realtà tutto si era perso mischiandosi negli impegni, il resto della vita prendeva subdolo il sopravvento e lui nemmeno se n'era accorto, di non averlo voluto poi del tutto, quel distacco; non aveva capito o se aveva capito, aveva fatto finta di volere così, di seguire le sue pulsioni, aveva creduto di aver scelto.
Ecco perché ora, dopo anni che avevano aumentato in modo incolmabile le distanze fra loro, distanze fisiche e mentali, lui ancora non riusciva ad aprire quelle pagine, non riusciva a sopportare quell'odore di marcio, non ce la faceva a pensare a quel periodo senza sentirsi insopportabilmente e inevitabilmente vecchio, stanco e squallido. E non riusciva a sopportare quella sensazione, quel vago triste presentimento, che non fosse stata nient'altro che una finzione mal riuscita, un' interpretazione fra le più fallimentari della sua vita, quella di un personaggio, privo del resto di grande spessore e originalità, ignaro dei suoi limiti, che crede di scegliere di vivere ciò che accade, mentre in realtà lascia semplicemente che tutto avvenga da sé.
 
 
 
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agg. 23 dicembre 2001