Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Michele Ammirati
Con questo racconto ha vinto il primo premio al concorso
Il Club dei Poeti 2004, sezione narrativa

Vorrei....
 
Amava il fluido sonoro dell'oboe nei suoi assoli struggenti, il fluido dei fiumi nel loro anelito al mare, il fluido dell'aria intrisa del profumo delle pinete della sua terra. Nel flusso dei ricordi echeggiava la risonanza ritmica del calpestio degli aghi secchi dei pini sparsi sul terriccio, sincrona al mormorio del mare lì accanto. Quando la bassa marea li faceva emergere, gli scogli pianeggianti apparivano come letti ricoperti da una coltre molle di alghe. A volte vi si sdraiava supino, emanando sogni nell'azzurrità del cielo. Da qui, e da altri angoli del suo microcosmo, vagheggiava mondi nuovi situati in un ignoto altrove.
Il vulcano allora fumava. Mite o minaccioso, si stagliava su giardini e pinete e con lingue di fuoco talvolta lambiva le pendici arboree. Erano queste le sue notti d'amore e le amanti preferite erano le ginestre in fiore, immolate dalla sua brama focosa come in un sacrificio pagano.
Dai ricordi d'infanzia di solito affioravano alla sua mente tiepide sere d'estate, inondate dall'inebriante olezzo dei gelsomini, e deliri febbrili causati dal sole talora aggressivo del sud. Non aveva altre aspirazioni oltre quelle di evasione alla ricerca di un quid, che desse un senso alla sua irrequietezza.
Fantasticava terre lontane, avvolte da velari di nebbia.
Pensava che al di là del suo esistesse un altro sole, rinchiuso in un filtro atto a mitigarne la veemenza.
Agli albori dell'adolescenza, durante una gita scolastica, da una timida carezza nacque il suo primo sussulto amoroso, suscitato dal tocco lieve della mano esile di una compagna di scuola, intenta a cogliere un fiore tra i ruderi di un'antica città seppellita da lapilli e ceneri vulcaniche.
Per l'infedeltà della fanciulla, quel suo primo amore si rivelò di una delusione tale da farlo sentire abbandonato dall'anima nella fase in cui essa, in boccio, era pronta a spiccare i primi inesperti voli amorosi.
Con l'avanzare poi degli anni, altre disillusioni sentimentali lo indussero a percorrere i sentieri dell'amore in cerca solo di sensazioni corporee.
Quando varcò la soglia del suo piccolo universo, all'inizio vagò per il mare, poi in luoghi diversi, seguendo i disegni della mente e non i moti dell'anima dormiente nel suo inconscio.
Nei rapporti amorosi era sfuggente, teatrale, non si sentiva mai accarezzato dentro, per cui ogni storia si concludeva immancabilmente con un addio, al quale egli, compiacendosi, conferiva un risvolto romantico. Il commiato diveniva allora una sorta di rito all'imbrunire melodiato dagli ultimi cinguettii, nel silenzio di un chiaro di luna o, più banalmente, con lo sventolio di un fazzoletto sulla banchina di un porto.
Stanco del suo lungo errare, alla fine si stabilì in una località attraversata da un fiume, ove gli piaceva sognare il mare lontano, unico amico e confidente nelle traversate del passato.
Spesso si recava sull'argine fluviale e un giorno era là quando, in una specie di assopimento, gli parve di udire una voce sommessa, che gli diceva: "Sono la tua anima. Nel deserto della tua vita ti ho sempre seguito. Ero in te. Non avvertivi la mia presenza. Ti parlavo. Non mi ascoltavi.
Non molto tempo fa hai avuto due incontri casuali, fugaci con una donna, che avrebbe potuto por fine alla tua solitudine, circondandoti con un amore vero, di dedizione assoluta. Non hai compreso. Eppure i suoi occhi avevano una luce, che non hai colta. Ho cercato di scuoterti per farti capire. Lei vive a pochi passi da te. Ti scrisse una lettera. Non le desti importanza. Sorridesti però. Non la strappasti. Cercala. Rileggila. Forse sei ancora in tempo...
Spinto da un impulso impellente, corse a casa. Rovistò tra vecchi libri impolverati, ricordando vagamente di aver usato la busta come segnalibro. Dopo alcuni minuti di ansia tanto strana, quanto significativa, la trovò tra le pagine ingiallite di un volume di poesie. L'aprì e, con mano tremante, estrasse il foglio. Indugiò prima di dare una scorsa allo scritto fitto ed ornato. Poi lesse, rilesse, soffermandosi più volte, con meditazione, su queste parole:
"...quasi ci scontrammo, pochi giorni orsono, ad un angolo di strada. Distrattamente mi chiedesti scusa, aiutandomi a raccogliere un libro cadutomi nell'urto. Ti sfuggì un cenno di sorriso quando furtivamente leggesti il titolo e ti sentii mormorare: - Anche lei ama la poesia? - Senza ascoltare la mia risposta te ne andasti, quasi perdendoti nel nulla. Ricordo ancora i tuoi occhi ironici, penetranti e tuttora sento la tua mano sfiorare la mia nel darmi il libro. Mi sembrò una timida carezza, che ancora vibra dentro di me.
Ti riconoscerei ovunque. Tra mille volti identificherei i tuoi occhi. Tra mille voci distinguerei la tua. Tra mille mani risentirei il calore e la tenerezza della tua. Ed ora mi chiedo perché non l'ho afferrata nell'istante in cui mi porgeva il libro, perché non ho tentato di penetrare quello sguardo, perché non ho urlato per farti voltare.
Ed ora vorrei... vorrei un momento incantevole di luce, di silenzio, te e me sospesi nell'infinito con la mia mano stretta nella tua vigorosa e tenera. Vorrei tessere con fili d'oro di sole, con fili d'argento di luna e di stelle, in una notte dal cielo misterioso, la mia tunica e venire da te pallida, luminosa, sognante, palpitante come, forse, tu mi vuoi. Percorrerei infiniti sentieri, ove occhieggiano tremuli fiori di campo, quando il sole li ricama sull'erba ed anche quando l'insonne luna sbadiglia sul mondo. Verrei così da te per rivedere quegli occhi dallo sguardo tenero e quasi dolente, che evoca giorni di profonda malinconia e di sognante attesa.
Ed oggi, meravigliosa giornata di fine maggio, colmo di rose e profumato di tigli, ti ho rivisto. Ti sei fermato per salutare l'amica che era con me e mi hai guardata in modo curioso. In quel breve conversare, giocando con il tu e con il lei, alla fine ci siamo dati del tu. Ed ora so chi sei e "la terra è ricolma di paradiso", come dice la poetessa nel libro che mi raccogliesti da terra.
Ed ora vorrei... vorrei una sera d'inverno con te e me, accovacciati accanto al fuoco di un camino, sentire il mio cuore pulsare nel tuo comunicante una musica solo nostra struggente ed eterna. Vorrei... vorrei un mio sorriso trasfuso nel tuo, ringiovanirlo nel tuo di ragazzo schivo ed innocente alla ricerca disperata di un sogno che si avveri, di un'anima che cammini a piedi nudi su sabbia calpestata da passi stanchi. Vorrei... vorrei un'interminabile notte insonne, avvinghiata a te, ambedue avvolti ed imprigionati da lunghissime braccia di lenzuola, terminanti con un nodo serrato a tal punto da non poter essere sciolto nemmeno dal nostro volere. E allora, nell'incanto notturno, diremmo tutto di noi........."
 
A questo punto, all'improvviso, egli avvertì sgorgare dalla trama profonda del suo essere un fluido filiforme, serpeggiante come una colata di lava. Era una sensazione nuova, sottile e tremante. Era, forse, il primo vagito dell'anima rinata.
Attese la sera per digitare un numero telefonico. Alla sua chiamata rispose una voce femminile dal timbro dolce e pacato. Dopo qualche attimo la voce divenne concitata, come se fosse stata assalita da un'emozione improvvisa.
Il giorno successivo egli si recò sulla riva erbosa del fiume e gli parve che l'acqua invertisse il suo corso, quasi a voler annunciare un evento nuovo. Nell'attesa sentì scorrere un'ondata emotiva dalle grondaie aride del suo Io fino alla scogliera del suo mare lontano, germogliante di alghe verdastre ondeggianti.
E gli piacque immaginare che laggiù, forse, incominciavano a fiorire le ginestre al profumo dei gelsomini.

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 Ins. 17-08-2004