Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Maurizio Provolo
Con questo racconto ha vinto il nono premio all'edizione 2007 del Premio La Montagna Valle Spluga.



Al chiaro di pipa


Sul sentiero coperto di neve, impronte di un passo lento e stanco, seguite o anticipate da quelle di un fedele compagno. Di chi saranno queste impronte?
Siamo tra la fine del 1800 e i primi del 1900 e storie come questa, ricche di amore valori e sentimenti, trascorrevano tra antiche case infossate nelle valli delle nostre montagne Lombarde, dove a parte la brevità della bella stagione, l'inverno era lungo freddo e faticoso, e le notti veramente nere. Questo dell'inverno era veramente un periodo molto tribolato e solo chi possedeva una stalla con animali riusciva a non soffrire la fame e il freddo, gli altri meno fortunati, se deboli o troppo vecchi, spesso si ammalavano con conseguenze a volte molto gravi. I ritmi della vita erano scanditi dalle ore di luce del giorno e la sera dalla poca luce delle lanterne e per quei pochi che l'avevano dalla corrente elettrica. Il nostro racconto non nasce, ma continua in contrade abbastanza vicine fra loro nella iridescente Valle Spluga. Non tanto lontani da queste, si trovavano piccoli paesi quali Campodolcino, Tagliaferro, Motta, ma per quei tempi e in certe stagioni queste contrade nel buio della notte sembravano isole lontane dal resto del mondo, e che questi paesi neanche esistessero.
Le impronte sulla neve erano del vecchio Giobatta e del suo fedele cane Sorgo. Giobatta era un anziano di quasi 80 anni, congiunto da più di 55 anni con Maria, padre di 9 figli e nonno di oltre 50 nipoti, abitava in una grande casa, già abitata da più generazioni. In questa contrada vivevano altre 6 famiglie altrettanto numerose e come nella famiglia di Giobatta alcuni figli sposati si erano trasferiti per motivi di spazio in contrade vicine. Altri invece, continuavano ad abitare nella casa natia, tanto una camera per dormire e intrattenersi in intimità si ricavava sempre. I pasti si consumavano tutti insieme nella grande cucina, dove si coceva e ci si riscaldava dal fuoco del camino, non prima di aver recitato una preghiera di ringraziamento e protezione al Signore e alla Madonna. Gli altri luoghi invece si condividevano con il resto della famiglia. Gran parte delle attività e del tempo libero si svolgevano fuori a cercar legna nel bosco e per occuparsi della manutenzione, ristrutturazione e riparazione di tutto quello che poteva servire per il duro faticare montanaro. Quando il freddo si faceva insopportabile, ci si rifugiava nella stalla a costruire rastrelli, forche e quanto altro si adatta al lavoro di questa terra. La stalla era anche momento dove i vecchi raccontavano storie che accadevano nei dintorni e nel mondo; un mondo allora molto piccolo, perché i confini si fermavano la dove la distanza per quei tempi diventava incolmabile. Riportavano fatti sentiti da qualche cantastorie di passaggio, che in occasione di una festa o per far tappa nello spostarsi da un paese all'altro, dava uno spettacolo in qualche "corte", narrando in modo fiabesco eventi tragici o molto importanti realmente accaduti e questo era l'unico modo per la gente di queste "isole" di uscire dai confini della propria valle e conoscere un poco di mondo.
In autunno tutti andavano a raccogliere noci e castagne, vero sostenimento di allora, in vista dell'inverno sempre troppo lungo. In modo particolare le castagne potevano sostituire il pane e la polenta e si prestavano per preparare degli ottimi dolci e soprattutto duravano molto tempo, infatti con patate, castagne, polenta e poco companatico ci si tirava fuori dall'inverno. Il trascorrere della vita famigliare e in parte anche della comunità, girava intorno a Giobatta, si sa le famiglie allora erano a regime patriarcale e tutto dipendeva per autorità e per riverente rispetto dal capo famiglia, dove era considerata e riconosciuta l'importanza dell'esperienza e saggezza del "vecchio", il quale sapeva sempre dare buoni consigli, ma anche rimproverare duramente se serviva. Alla mamma invece toccava il compito di educare i figli nelle buone maniere nel rispetto e nella fede, anche se questo lo imparavano già seguendo l'esempio dai loro genitori. Giobatta sapeva fare molti lavori ed era anche molto attento e bravo nell'interpretare i segni dal ciclo e della terra, quando era il momento favorevole per la semina, per il taglio, per il vino e per tanto altro. Diceva sempre che gli animali e la natura avevano una loro dignità e un loro linguaggio e che lui ci sapeva dialogare, a volte sembrava fosse vero tanto era la sua riverenza e rispetto per entrambi.
Era molto apprezzato come fabbro, lavoro che aveva imparato dal suo papà ed era ricercato nelle contrade vicine e nella valle anche per questo. Spesso lo cercavano anche per risolvere questioni legali per un consiglio o per riconciliare chi per vari motivi non riusciva mettersi d'accordo, magari per una eredità mal ripartita, un contratto non rispettato, o qualsiasi altra questione di litigio e rancore, la sua saggezza era proverbiale, infatti si usava dire se lo fa o lo dice Giobatta vuoi dire che va ben per tutti. In ogni contrada o fra due se erano abbastanza vicine si edificava un capitello, a ricordo di una persona, un fatto o semplicemente per avere una divinità a proteggere le famiglie. Era un luogo dove ci si incontrava per una preghiera e scambiare qualche parola, o dove i fidanzati avevano il consenso dai rispettivi genitori di potersi intrattenere anche dopo l'imbrunire, pensando che per il rispetto del Santo non si sarebbero lasciati travolgere da eccessive passioni...
Nel mese di Maggio, attorno a questi capitelli, tutte le sere si recitava il Rosario, spesso condotto dalla nonna, la signora Maria. Quanta Fede, magari timorosa, ma sincera. In una di queste contrade c'era sempre la "comare", l'ostetrica di allora, arte anche questa che si tramandava da madre in figlia. Figura molto importante in quanto nelle stagioni avverse, con sempre tanta neve, nei casi di complicanze durante il parto, non c'era possibilità di trasferire la partoriente in ospedale o di avere in tempi rapidi il medico a casa, ecco allora che ci si affidava alla Madonna e all'esperienza di questa comare, che spesso riusciva a rimediare. Purtroppo nonostante l'abilità di questa comare non era un evento così raro dove le complicazioni del parto causavano seri danni al nascituro provocando lesioni fisiche, mentali o peggio la morte. Situazioni comunque che gestivano in maniera eroica, con molto coraggio e dignità.
Giobatta abitava nella contrada situata più in basso e spesso la sera dopo cena si recava a far visita ad una figlia sposata per poi fermarsi da un anziano per un grappino, qualche bicchiere di vino e quattro chiacchiere, questi abitavano dopo il capitello, in una contrada situata poco più in alto, non era lontana, ma la strada era irta e scura con ai bordi spalle di roccia dalle forme disuguali, il cui contorno ormai famigliare come il profilo dei propri cari, si affacciava prepotentemente nell'infinito della notte. Saliva con il suo solito passo lento e sicuro, da vicino lo seguiva il fedele Sorgo, oramai vecchio come il suo padrone. L'unica luce nelle sere buie senza luna, era il "chiaro di pipa", la brace del tabacco. Sembrava quasi che questo lumicino volteggiasse indipendentemente nell'oscurità e indicasse la strada a chi lo seguiva. Dopo qualche ora, ritornava con la notte ancora più nera e fredda, sempre con la stessa luce di pipa, che con il suo gradevole profumo di tabacco rendeva l'aria fredda più sopportabile. Arrivato a casa, dopo aver controllato nella stalla che tutto fosse a posto, si ritirava a dormire, dove poche ore di sonno erano sufficienti e al mattino presto si alzava per una nuova giornata.
Ad ogni stagione le antiche case si intonavano agli umori e colori della montagna, fresche e briose in primavera, calde e vivaci d'estate, tristi e pensierose in autunno, taciturne e monotone d'inverno.
L'inverno, gran dura questa stagione, con poche ore di luce e tanto freddo, la montagna che non offre quasi nulla e quel poco sempre coperto di neve; quanta malinconia nel cuore e negli occhi, giornate dove si trascorrevano molte ore a pregare e a ricordare i propri cari che non c'erano più, ma che vivevano sempre nei cuori e nella mente di chi non li aveva dimenticati.
Di tanto in tanto in questa avversa stagione si dava ospitalità, nelle stalle e nei fienili, a qualche compagnia di alpini di passaggio dai loro spostamenti durante le esercitazioni militari. Questo fortunatamente era un periodo senza guerre, le sanguinose battaglie dove il valoroso corpo degli alpini si sarebbe distinto per eroicità e carica umana, sarebbero avvenute anni più avanti. In quei tempi gli alpini, anche allora come adesso, si sapevano far appressare per il loro altruismo e coraggio, soprarutto quando venivano chiamati ad intervenire nei casi di calamità come valanghe, alluvioni, terremoti o in qualsiasi evento dove c'era da sacrificarsi e lavorare in condizioni estreme. Era piacevole ricevere la visita di questi giovani spensierati e condividere con loro qualche pasto caldo e qualche bicchiere di vino. Anche un nipote di Giobatta era alpino, nella X compagnia Valbrenta a Feltre ed erano rare le volte che poteva tornare a casa, quindi la visita di questi soldati era momento di fierezza e orgoglio per tutta la contrada, venivano infatti accolti come figli o fratelli, le giovani fanciulle della contrada venivano controllate a vista dalle madri, si sa la divisa con il cappello dalla lunga penna rendeva questi giovani ancora più attraenti e interessanti. Quando ormai il peso degli anni diventò troppo grande, Giobatta passava molte ore seduto su una radice cresciuta in superficie del grande e vecchio noce, delizia e ricchezza della contrada. Malinconico con la sua inseparabile pipa, ripercorreva gli anni della sua lunga vita, ricordandosi della sua gioventù, della sua Maria, che lo aveva preceduto nella casa del Signore, del fedele Sorgo che non c'era più e di tanti altri che nel tempo lo avevano lasciato. In certi momenti era anche contento, quando vedeva che tra le antiche case della vecchia contrada si viveva ancora con tanta allegria e serenità. Si caro vecchio Giobatta hai seminato bene e qualcosa di buono rimane; grazie.
Ora, 2007, Giobatta non c'è più, rari discendenti abitano ancora le antiche case, dove nonostante le ristrutturazioni e gli ammodernamenti, rimangono testimonianza e storia di un mondo ormai quasi scomparso. Altri ci tornano qualche volta per le vacanze, la maggior parte è scesa a vivere giù a valle in cerca di una vita più comoda e più al passo con i tempi, dove non ci si accorge che le comodità che la "civiltà" moderna offre, in realtà non sono altro che dipendenze da cui non se ne può più staccare. Dalla contrada, quando un tempo nella notte si vedeva giù nella valle un grande mare nero, dove pareva che non esistesse vita al di fuori di quel luogo e la fantasia nel buio senza fine non trovava confini che la limitasse, ora si vede una overdose di luci a testimoniare che la civiltà e il progresso hanno sostituito i sogni e la genuina realtà, dove il rispetto per la natura è stato soppiantato per la rincorsa al futuro, dimenticando di vivere il presente e dove la considerazione e riverenza per il vecchio sempre più spesso diventa pietà e indifferenza. Forse in qualche isolata contrada pochi valori resistono ancora, finche Dio vorrà.

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 Ins. 30-11-2007