Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Maurizio Mariscoli
Con questo racconto ha vinto il dodicesimo premio al concorso
Fonopoli - Parole in movimento 2003, sezione narrativa

L'idolo di stracci
 
Era già stata laggiù. Oltre i campi di girasole. Al di là della selva. In fondo al ripido sentiero. Laggiù, fra la bianca schiuma delle onde, a piangere. Eppure non lo aveva mai visto prima. Seduto su uno scoglio con la schiena ricurva, sembrava un mucchio di stracci abbandonato sulla spiaggia. Il mare mugghiava versi di morte, mentre lei si avvicinava circospetta a quel relitto sconosciuto. Né le minacciose creste spumeggianti, né le voluminose montagne d'acque, lo atterrivano. Presto il cielo plumbeo avrebbe scatenato la sua ira furibonda con scariche elettriche e torrenti di lacrime, ma lui non se ne curava. Cosa stava facendo? Spinta dalla curiosità la ragazza procedeva a stento, sfidando eroicamente le forze della natura. Terribili onde grigie la ghermivano con raffiche di spruzzi. Rabbrividiva, tuttavia era irresistibilmente attratta da quella figura immobile. Ma cosa stava facendo? Rifletteva. Una riflessione magnetica sui fini del cosmo e le creature che vi respirano? No. Disegnava. Vedeva il suo dito solcare la battigia con lenti movimenti circolari. Svolgeva il suo compito con devozione straordinaria. Nulla intaccava la sua quiete. Nulla importava all'infuori di quei segni, che venivano inesorabilmente spazzati via dalla violenta invasione delle acque. A volte la sua nera figura scompariva per pochi istanti, sommersa dai flutti salmastri, per poi ricomparire magicamente nella stessa posizione. In quella tragica situazione di pericolo i suoi gesti acquistavano la sacralità del rito, la misteriosa religiosità dell'inviolabile. Abbarbicato su quello scoglio come un enorme mollusco nero. Respirava tempesta. Respirava? Forse per le gelide frustate d'aria, forse per le onde sempre più vertiginose, forse perché qualcosa l'aveva ferita al piede, la ragazza si fermò. No. La stava guardando. Occhi vitrei. Proiettavano insondabili abissi spazio-temporali: foreste, montagne, oceani, deserti. Spalancati e al contempo impenetrabili come quelli della sfinge. Il sasso sotto il suo piede si colorò di sangue. Con uno scatto repentino quel tenebroso stilita abbandonò la sua roccia. Qualcosa d'agghiacciante, sottile, della stessa consistenza del pensiero, s'irradiò nei tessuti, prendendosi poi in un labirinto di nervi. Un'ondata imponente la scaraventò a terra. La lattea schiuma di Venere travolse il suo corpo in un gelido abbraccio, mentre sassi di ogni forma e dimensione si insinuarono con forza tra le sue vesti, invadendone i recessi più intimi e nascosti. Il mare la baciò con la sua lingua spumeggiante, profanando quelle labbra dischiuse. La lasciò senza fiato per istanti interminabili. Tossì, scalciò, sputò. respirò avidamente aria, acqua, aria e ancora acqua. Fu trascinata, risucchiata dalla corrente. Il mare voleva inghiottirla, e lei lottava per rimanere attaccata alla vita. Intravide per un attimo nel turbinio furibondo degli elementi la sua lugubre sagoma. Poi fu scaraventata nuovamente sott'acqua da vorticosi, soffocanti inferni blu. Cercò disperatamente di rialzarsi. Si ritrovò genuflessa, con gli occhi catafratti dietro fastidiose cataratte d'acqua. Vide attraverso quell'opaca trasparenza liquida l'ossuta immagine di lui. A meno di due passi da lei si stagliava in tutta la sua incrollabile fierezza. Un vago senso di panico le nuotò dentro. Quello sguardo corrosivo la torturava, e si accorse di desiderare ardentemente che un'ondata mortale la portasse via per sempre. Ma il mare, pur continuando ad infuriare, aveva improvvisamente perso ogni potere su di lei. Non aveva mai creduto in un dio, in quel mondo senza amore. Poi deflesse il suo sguardo, e capì di essere vittima. Intorno a lei tutto scomparve. Le frustate d'acqua non la scalfivano più e il vento si era trasformato in una carezzevole brezza marina, come se fosse stata inglobata da una sovrannaturale barriera protettiva. Il cielo cominciò a scagliare le sue maledizioni di pioggia e fulmini, ma la vicinanza di quel demone vestito di stracci, rendeva la perturbazione simile ad un piacevole e vivificante massaggio. Quello sguardo carico di minacciose promesse le ottenebrò la coscienza. Nella sua testa esplose una voce. Senza volerlo si ritrovò in piedi ad osservare quei lunghi capelli ribelli, velenoso viluppo di serpenti. Si sentì un girasole, uno di quei girasoli che crescevano in quel campo lassù, in cima al sentiero che si inerpicava per la selva. Un girasole, costretto a volgersi sempre e comunque verso l'astro lucente. Ma quella luce era malata. L'influsso di quell'oscuro tropismo le fece perdere il controllo di sé. Annebbiata, intorpidita. Una sonnambula. Corrispose il suo sguardo. Intrecciò la sua mano. Camminarono insieme respirando tempesta, come innamorati superstiti di un naufragio. Al terrore, si sovrappose uno strano senso d'imperturbabile serenità. La salda stretta di quella mano la rassicurava, e le sue dita lunghe e sottili dolcemente incrociate alle sue generavano nel suo spirito tepori di coperte e camini in una notte d'inverno. Ebbe l'impressione di conoscerlo da sempre. Ma chi era? Incedevano sulla battigia senza parlare, senza guardarsi. Non ce n'era bisogno. Il loro contatto era assoluto. Da dove veniva? Dai suoi occhi le intime confidenze della buonanotte. Si fermarono vicino allo scoglio. Lei aveva già inclinato la testa di lato, mettendo in mostra il suo candido collo. Era un'opera d'arte. Era quello che voleva. Ed era pronta a dargli tutto. Aveva bisogno di lei. Per vivere. Non era forse quello un bisogno d'amore? Aveva messo l'orgoglio sotto i piedi. Era come un bambino assetato di latte, in attesa dell'estatica soddisfazione orale. Aveva messo l'orgoglio sotto i piedi. Un vero innamorato. Lei non aveva trovato nessuno nel mondo al di là del sentiero disposto ad abbandonarsi in quella maniera così assoluta. I suoi amori erano stati fallimenti. Ardori artificiali tenuti in vita da una noia rassicurante. Più volte aveva atteso la grande fiamma, quella che avrebbe bruciato l'orgoglio in nome della divina abnegazione, della completa e incondizionata dipendenza. oltrepassare i limiti corporei significava fondersi fino a non comprendere più il possesso. Né mio, né tuo. Gli avrebbe dato tutto. E pretese tutto. Sentì la sua lingua fredda sul collo pulsante. Beveva. Beveva. Né mio, né tuo. Dare tutto. Come di fronte a un dio. E tale le appariva in quel grigiore di tempesta. Un idolo. L'idolo di stracci. Svuotata, annebbiata si ritrovò a succhiare miracolosi zampilli rossi che sgorgavano dalle vene di lui. Né mio, né tuo. Ubriaca. Si diffuse nella sua testa una suadente melodia frigia. Infuriava il nubifragio, ma non faceva rumore. poi la visione di quel disegno. Quegli strani geroglifici che prima aveva intravisto da lontano erano... lettere. Lettere date in pasto alle onde. Formavano un nome: il suo. Fragili lettere con un potere magnetico? La pioggia cadeva, ma non faceva rumore. La visione si dissolse, e lo vide di nuovo seduto al suo scoglio. Scriveva ancora il suo nome? Una lettera. Un'altra ancora. No. Stavolta non era il suo. Le onde assediavano le rocce, ma non facevano rumore. Presa dal panico la ragazza si scagliò contro il suo innamorato per scongiurarlo. Aveva un terribile presentimento. Ma di chi era quel nome? Andavano, venivano, mentre lei era la disperazione che lottava inutilmente contro l'ineluttabile. Stringeva con forza quegli stracci scuri, zuppi del sale del mondo. Tornarono, s'infransero, e lo portarono via. La bianca schiuma ribollì. Quella di un mare infernale, che non faceva rumore. E lei si ritrovò sola, abbracciata a quel mucchio di stracci putridi che non avevano più sostanza, spogliata di ogni speranza. Aveva dato tutto, e non aveva più niente per sé. Un urlo lancinante esplose in quella spiaggia devastata dall'uragano. Lacrime come pioggia allagavano il mare sotto il diluvio. Assordante, insopportabile, invadeva la spiaggia, percorreva il sentiero scuotendo gli alberi, su per la selva, sempre più su, fino a raggiungere quel campo dove ora tremavano i girasoli. Quel rumore sovrastava il fragore del mare, l'ululato del vento e il boato del tuono. Impetuoso, iroso, rabbioso era lo straziante urlo della disillusione. Sola, svuotata, riempita di niente. Il suo era il pianto dell'universo.

 Clicca qui per leggere la classifica del
Premio Fonopoli - Parole in movimento 2003

Torna alla sua
Home Page

PER COMUNICARE CON L'AUTORE mandare msg a clubaut@club.it
Se ha una casella Email gliela inoltreremo.
Se non ha casella Email te lo diremo e se vuoi potrai spedirgli una lettera presso «Il Club degli autori - Cas. Post. 68 - 20077 MELEGNANO (MI)» inserendola in una busta già affrancata. Noi scriveremo l'indirizzo e provvederemo a inoltrarla.
Non chiederci indirizzi dei soci: per disposizione di legge non possiamo darli.
©2004 Il club degli autori, Maurizio Mariscoli
Per comunicare con il Club degli autori:
info@club.it
Se hai un inedito da pubblicare rivolgiti con fiducia a Montedit
 
IL SERVER PIÚ UTILE PER POETI E SCRITTORI ESORDIENTI ED EMERGENTI
Home club | Bandi concorsi (elenco dei mesi) | I Concorsi del Club | Risultati di concorsi |Poeti e scrittori (elenco generale degli autori presenti sul web) | Consigli editoriali | Indice server | Antologia dei Poeti contemporanei | Scrittori | Racconti | Arts club | Photo Club | InternetBookShop |
 Ins. 17-01-2004