Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Racconti di
Matteo Galdi

LA VECCHIA SIGNORA
 
Avevo soltanto nove anni quando vidi per la prima volta la Vecchia Signora,
eppure sembra ancora ieri.Dire che quel giorno ha segnato la mia vita risulta
banale, quasi retorico, soprattutto perché è stato anche il giorno della Poesia, fedele
compagna di sempre.
Ne ha date di leccate da allora Dio sul lato del cono dove si scioglie la pallina del nostro mondo, ma io, Iris Molina, sono ancora qui, viva e vegeta, col cuore stanco e ostinato di chi conosce storie e segreti irriferibili.
Credetemi se vi dico che una lunga esistenza si riduce solo a questo: cercare una felicità alla fine nascosta nelle piccolezze e custodire tanti segreti pregni d'amore o odio.
Ho tanto amato nella mia vita, ma di sicuro in certi momenti ho odiato allo stesso modo.Non si è trattato di un sentimento continuo, questa immensa capacità spetta solo all'amore, ma ci sono stati attimi in cui l'odio é stato degno rivale.
Pensare che è cominciato tutto quel giorno di maggio di un secolo fa, quando nessuna disastrosa guerra aveva ancora percosso l'anima dell'umanità e i raccolti dei campi prosperavano solamente per mezzo del ciclo delle stagioni.
Vivevo in un paese immerso nelle colline padovane, dove vivo ancora adesso, ed erano lontani i giorni in cui sarei stata ricca e famosa grazie ai miei libri e poesie.Si viveva alla giornata e il profumo della notte era molto diverso da quello che si respira in questi tempi.L'aria era pervasa da un profumo ancestrale che rendeva le tenebre meno paurose.
Ero figlia unica, solo in seguito avrei acquisito un fratellastro, ma mi ronzavano intorno un bel gruppo di zii, zie e cugini.
Il nostro podere, tuttora suolo dei miei piedi già ristrutturato tre volte, era circondato da infinite distese di grano e praterie, le stalle e le stie piene di animali e un movimento fibrillante su ogni acro.
Ho venduto molto terreno da allora, le vecchie famiglie contadine di una volta hanno scelto la città e ho faticato non poco a trovare dignitosi sostituti.
Nelle stalle e nelle stie ora gli animali si contano sulle dita di una mano, ma il grande orto sul retro è ancora lì, il posto preferito da mia madre mi ha accompagnato sconfiggendo le avversità del tempo.
E' ancora intatto e me ne preoccupo personalmente, nonostante arranchi senza il mio bastone.
Ci passava la maggior parte delle giornate mia madre.Adorava coltivare i cavolfiori, i pomodori, l'insalata.Quando li serviva in tavola la sua soddisfazione traspariva da tutti i pori.
Diceva che ero il suo fiore, perciò aveva scelto di chiamarmi Iris, ma il suo sguardo andava oltre la bellezza di un fiore...Era così profondo da rasentare gli abissi marini.
La mie giornate trascorrevano tra scuola e compiti, soprattutto perché mio padre sosteneva che se non si conosceva il corretto uso delle vocali e dei numeri si finiva a zappare la terra come lui.Per un arco di tempo l'ho pensata anch'io in quel modo, poi mi sono convinta che non è proprio così.
Gli anni mi hanno insegnato che ogni azione ha una sua particolare importanza nell'insieme delle cose, e la vera forza che tiene ancora legata questa lunga catena sociale sempre sul punto di spezzarsi, sta proprio nell'umiltà e nella passione radicata in certe anime. Mio padre era una di queste, e ne sono sempre andata fiera.
E' rimasto così fino all'ultimo...avevo due genitori splendidi e credetemi che possono passare anni, secoli, ma il loro bisogno lima l'esistenza ad ogni ricordo.L'amore provato per un marito, invece, è diverso, con lui hai diviso i sogni e il distacco ti porta via un pezzo di vita; ma per i figli...per i figli scende in campo l'assoluto, l'indescrivibile, l'eventuale perdita azzanna corpo e anima logorandoti.
Se c'è qualcosa, almeno per quanto riguarda la magia irradiata, capace di sfiorare ancora queste eternità interiori, non può essere che il mio adorato Pensatoio. Il mio Pensatoio: sapete che esiste ancora oggi?Quel vecchio salice non ne vuole sapere di abbandonarmi, ma se fino a vent'anni fa mi recavo una volta al mese, ora che gli acciacchi della mia infinita vecchiaia si fanno più insistenti, il bastone a stento mi permette di ritornarci una volta l'anno.E' stato proprio lì che ho conosciuto la Poesia, ma precedentemente, vicino al letto di morte di mia madre, si lasciava scorgere per la prima volta anche la Vecchia Signora.
Il ricordo di quella mattina è rimasto in silenzio dentro di me per ben cent'anni e adesso, mentre scrivo con la mia amata matita, urla così forte da sconfiggere perfino la dannata artrite che affligge le mie dita.Vuole essere raccontato, il cantuccio dentro cui s'era rifugiato è diventato troppo stretto per viverci.
Soffoca.
L'accontenterò, ma prima di farlo devo accendere il camino.Non perché faccia particolarmente freddo.Il vero motivo lo scoprirete soltanto alla fine.Devo stare attenta a non far rumore, però, poiché la servitù al piano di sopra, quando si tratta della "santa" qui presente, dorme sempre col terzo occhio aperto.Vi starete chiedendo: perché "santa"?Be', la fede è sempre stata l'alimento principale delle credenze, figuriamoci se poi una vecchia della mia età dimostri ancora la lucidità dei bei tempi.Per loro si tratta di una prova concreta, del miracolo, ciononostante non tardano a trovare la spiegazione: o è una strega o una santa.Ringraziando il cielo, la mia famiglia e la gente che mi sta intorno ha sempre preferito affibbiarmi la seconda ipotesi, anche se mai apertamente.Forse per quello che scrivo, forse per l'amore intrinseco nelle mie azioni, ma in fondo me stessa credo più per il misterioso oggetto che porto al collo.
Oggi l'umanità si nutre di queste cose, ingozza l'emotività fino a farla rigurgitare.Non intuisce la simbologia, vive di concretezza, imbarcandosi d'istinto su navi fatiscenti come profughi alla deriva.La fragilità è...ma forse sto correndo troppo, ogni cosa a suo tempo diceva mio marito e aveva ragione. Inoltre c'è mia nipote, pronta a scendere da un momento all'altro per la solita chiacchierata notturna.Da un po' di tempo a questa parte è lei l'amica delle mie frequenti notti insonni e non vorrei che troncasse tutto nel più bello della storia.
Vi chiedo solo di pazientare qualche minuto, il tempo d'infuocare il camino, poi vi racconterò della Vecchia Signora e di come la Poesia continua a domarla.
La mattina del 6 maggio del 1904 la camera da letto dei miei genitori era piena di gente.Una fila di persone sedeva sulle sedie addossate alle pareti, mentre un altro folto gruppetto, quello familiare, sostava vicino al letto.
Dalla posizione in cui mi trovavo, sulla soglia della porta, la visuale era quasi totalmente compromessa.Ero cosciente, però, che la forma irrigidita sotto le lenzuola, in parte visibile, rappresentava le ultime briciole di vita di mia madre.
Non so spiegarvi come mi sentivo.Se ben ricordo mi sembrava d'essere protagonista di un incubo al rallentatore, dentro cui le uniche persone capaci di naturali movimenti erano le figure vestite di nero che affollavano la stanza.
Una delle mie tre zie mi teneva la mano per impedirmi di andare verso il letto, ma non immaginava neppure lontanamente che non avessi nessuna intenzione di avvicinarmi.
Vivevo quei momenti persa in un'incolmabile e terribile vacuità.Il mondo intorno a me investito da un improvviso flusso statico.I suoni ovattati e spenti.Gli odori privi di consistenza.Sembrava che la mia coscienza fosse stata rinchiusa in un'invisibile cappa asettica.
Mia madre stava per lasciarmi e i miei occhi non se la sentivano di versare una lacrima.
Non c'era nessun bambino oltre a me nella camera, come nessun volto felice.
Tutti gli sguardi dei presenti, infatti, erano velati da un spesso manto di tristezza.
Ogni tanto, tra il capannello di persone che circondava il letto, riuscivo a scorgere qualche strano movimento di mio padre, udire il suo insostenibile biascicare lacrimoso.
<<Com...come fac...cio a viv...io non pos...posso vi...vivere senza te>>.
Dalla bocca di mia madre non scaturiva il minimo suono, tranne qualche tenue gemito di sofferenza.
<<Ha una brutta malattia>> mi aveva informato mio padre due giorni prima, quando iniziai a notare che la folla in camera diveniva quotidiana.
A quei tempi la parola tubercolosi era ancora oscura al mio vocabolario.
Intascai quella notizia con l'innata indifferenza da sempre pietra miliare dell'infanzia.
E' un autentico miracolo la capacità riduttiva della realtà presente nei bambini.Ci si sente padroni del mondo, l'attesa del "brutto" non esiste.Dunque, dopo le parole di mio padre, l'ipotesi che mia madre potesse morire era completamente fuori da ogni logica.Ero troppo piccola perché ciò avvenisse.Lei non mi avrebbe lasciato da sola, tutto qua.Una madre adora i figli e i figli adorano le madri, di conseguenza il mio cervello vomitava già a monte l'idea.
La morte per i bambini è come l'antro sconosciuto dell'orco della favola: se ne rifiuta semplicemente l'esistenza.
L'incontro avuto pochi istanti dopo con la Vecchia Signora, però, cambiò radicalmente questa concezione.
Il mio sguardo era finito non so come sulla vetrata della finestra, dove le facce smunte dei miei cuginetti erano schiacciate contro.
Fu un attimo difficile da descrivere, ma scrutai il movimento di una persona in quel lato della stanza.Si spostò rapidamente dalla finestra all'angolo più lontano, come se avesse ali sotto ai piedi.
Se fino a poco tempo prima tutti gli elementi della stanza mi apparivano come incapsulati in un sogno al rallentatore, la Vecchia Signora era un soggetto fuori regola.
Rimasi per una frazione di secondi interdetta, sbigottita, e strinsi più forte la mano di mia zia.
Per contro lei non sembrò neanche accorgersi della stretta.
Mi concentrai subito sulla figura ritta nell'angolo più lontano della stanza.
Indossava una veste nera che le scivolava fin sopra il pavimento.Un enorme foulard della stessa tinta, da cui spuntavano piccoli ciuffi di capelli grigi simili a repellenti chiazze di muffa, era legato intorno alla testa nascondendo gran parte del viso.Il mento sporgente, percorso da radi peletti bianchi, s'univa a sottili labbra grinzose stirate in un orrido ghigno.Una chiostra d'abominevoli denti nerastri digrignavano rilucendo nella luce mattutina.
<<Zia...>> riuscii a mormorare in un primo momento, mentre un nodo di panico m'ostruiva la gola.
Nessuna risposta, ma solo un brusio ovattato proveniente da più punti della stanza.
<< Zia, chi é quella vecchia signora?>> dissi raccogliendo tutto il fiato che avevo in gola.
Finalmente ebbi la sua attenzione, ma fu già troppo tardi quando capii che non era legata alla mia domanda.
Stava accadendo qualcosa nella stanza, un importante evento da contrarre l'espressione fino ad allora amorfa dei presenti.Il manto di tristezza così limpido sui loro volti poco prima, sembrò sgretolarsi sotto un efferato uragano d'emozioni.
Ciononostante, l'isolamento acustico in cui vivevo, continuava a sbarrarmi qualsiasi accesso alla comprensione.
Mentre mia zia si faceva spazio tra la gente, i miei occhi faticavano a staccarsi dalla Vecchia Signora.
Le sue mani, in precedenza infilate nelle larghe maniche della veste, adesso si libravano nell'aria come impegnate in un accorato Padre Nostro.Le unghia nere scintillavano simili a lunghe, affilate lame.Il volto, ora ben visibile, era attraversato da flaccide sacche rugose che pendevano sulle spigolose mascelle.Il naso camuso affondava nella faccia quasi fosse una poltiglia carnosa galleggiante.
Poi c'erano gli occhi.
La Vecchia Signora non ha occhi.La Vecchia Signora ha due orbite vuote dai lembi dentati.La Vecchia Signora è da lì che si nutre.
Mia zia, frattanto, mentre rifiutavo di muovermi, continuava a spingermi energicamente.
Ero come ipnotizzata, scioccata, una condizione ripresentatasi in ogni apparizione futura e che solo con gli anni sono riuscita a sconfiggere.Poi ho incrociato gli occhi di mia madre e sono scivolata di colpo nella realtà.
Quanto immensi erano quegli occhi!Quanto amore erano ancora capaci di emanare!
L'ho stretta così forte da richiamare l'intervento di mio padre, infine lo sguardo è caduto di nuovo in quell'angolo e quello che ho visto mi ha gelato le vene.
La Vecchia Signora c'era ancora, la sua figura calcava anche il mondo reale.Avanzava, non era più ferma sul posto.Si stava innalzando dal pavimento e, uguale a un fantasma nero, si dirigeva verso mia madre.
Tuttora adora quel momento, non so spiegarvi il perché di questa convinzione, eppure dovrei saperlo.Non per niente sono una delle donne più vecchie del mondo, l'unica ad aver visto la Vecchia Signora prendersi la madre, il padre, il marito, i due figli, tante persone care.La sola ad esser riuscita a seppellire tutto dentro fino a oggi, nonostante la sofferenza legata alle sue venute.Forse è stata proprio Lei a fare in modo che andasse così.La sua scaltrezza supera di molto quella del Dio che ancora oggi non riesco a capire se alleata o nemica.
Ama quel momento, più di ogni altro, anche più dell'istante in cui s'appropria dell'ultimo respiro della sua vittima.
Scappai via, ignorando le voci che mi chiamavano, espellendo qualsiasi pensiero di quell'assurdità.Furono gli occhi di mia madre ad alleviare il dolore e, mentre correvo, le prime lacrime scalfirono le guance raggelandomi.Non sapevo dove stavo andando, ma non importava.Imboccai uno stretto sentiero in mezzo alla brughiera che sorgeva su un lato della casa e corsi fino a sboccare su uno degli affluenti del Brenta.Percorsi praticamente quasi trecento metri senza rendermene conto.Ad un passo dal
letto del fiume s'innalzava un grazioso salice piangente, la cui chioma
scendeva fin quasi a toccare le acque.Scostai la tenda di foglie del salice, m'intrufolai all'interno e, nascosta dal mondo, col fiume a pochi centimetri dai piedi, continuai a piangere.
Fu così che scoprii il mio Pensatoio.Fu lì che conobbi la Poesia.
Prima di descrivervi questo incontro, però, ho bisogno di fare assolutamente una cosa.La punta della matita si è consumata(reputo ancora oggi che sia solo questa l'eclatante differenza tra una buona matita e un pc) e devo temperarla.Solo pochi secondi, giusto il tempo d'inquadrare il problema.
Del resto, una vecchia rachitica come me, non può più fare a meno di sottovalutare nessun problema.
<<Come mai una bella bambina come te piange?>> domandò un dolce tono femminile alle mie spalle.
Il gorgoglio dell'acqua era una melodia ritmica in sottofondo.Alzai il viso dalle ginocchia e versai lo sguardo nel fiume, senza voltarmi.
La corrente si trascinava dietro la lucentezza dei fiochi raggi di un sole opaco, quasi morente.
Sull'acqua i contorni di una veste bianca riflettevano candidi come perle.Non ebbi né il coraggio di girarmi, né di aprir bocca.Lasciai che fosse quella figura sfocata a riprendere l'iniziativa.
<<Sai qual è il maggiore difetto del pianto?>>
I miei occhi continuarono a fissarla, ma mi astenni di nuovo dal rispondere.
<<Va bene, se non lo sai te lo dico io: ogni lacrima di dolore ci ruba un minuscolo pezzettino di cuore.E' un fenomeno insito nella natura umana, guai se non fosse così...>>.
Quel tono inebriante ebbe un insostenibile attimo d'esitazione, finché la mia di voce, estranea persino a me stessa, non bucò il silenzio.
<<Non riv...rivedrò mai più m..mia madre>> mormorai singhiozzando.
Ancora una breve e agghiacciante pausa silenziosa.
<<Non è vero!>> esclamò di colpo la voce melodiosa dietro alla mie spalle.
Non ne volevo sapere di voltarmi.
<< Ti sbagli, lei già adesso è con te.Ti sta accarezzando la testa, stringendo forte a se, ti sta...ti sta cullando il cuore.Ad ogni lacrima versata, la sua presenza ricostituisce i minuscoli pezzettini rubati dal dolore>>.
Il suo tono sembrava combattere contro un'impotente ira.A dire il vero non si trattava proprio di rabbia.La sua non era una teoria su cui battere per essere convincente.La sua era una verità sputata con decisione e senza alcun ritegno.
Rimasi ad ascoltarla incantata, immobile, incapace di voltarmi.La voce di quella donna, di cui non riuscivo a discernerne ancora i tratti, era davvero irresistibile.Dominante, sì, questo è l'aggettivo giusto.
Mi parlava come se non stesse discorrendo con una bambina di nove anni, ma una persona adulta nel pieno delle facoltà mentali di accettare il dolore.
E il mistero di quell'incontro risulta essere ancora questo: capivo, sapevo cosa intendesse dire in quel momento.
<<L'amore, in ogni suo aspetto, va difeso con le unghia.L'amore per una madre, poi, è come un albero secolare che trova la fine solo con l'abbattimento.Finché il cuore viene nutrito dalla coscienza, l'amore per una madre luccicherà sempre come una perla rarissima>>.
<<Ora, però, lei non c'è più...non potrò più parlarle, mostrargli i c...>>.
Compiti, volevo dire, ma i singhiozzi affogarono le sillabe in gola.
La figura dalla veste candida, intanto, mosse qualche passo verso di me.Dallo specchio acquoso, però, non riuscii a scorgere il movimento dei piedi.La veste era troppo lunga.Sinceramente, non udii neanche il tipico fruscio d'erba calpestata.Sembrò quasi si fosse librata dal terreno per raggiungermi.Avvertii, in ogni modo, una corrente d'aria tiepida avvolgermi le membra simile alla sensazione di calore diffusa da un piumino d'oca indossato in pieno inverno.
<<La vita è un castello di sabbia>>, annunciò sedendosi dietro di me.
Mi cinse delicatamente la vita con le braccia e iniziò a cullarmi.Non trascorsero neanche dieci secondi che la mia testa già s'era lasciata cadere sulla morbidezza del suo seno.
<<Un castello di sabbia su cui non si smette mai di modellare la torre>>.
Anche allora evitai di guardarla in faccia, accontentandomi del riflesso sull'acqua.
Da quel punto, infatti, i suoi tratti facciali apparivano meno indiscernibili.
Il viso liscio era addolcito da fini lineamenti, su cui risaltavano due occhi chiari di rara bellezza.Non riuscii a comprenderne il colore, ma fidatevi se vi dico di non averne incrociato più di così morbosamente vitali nel corso della mia lunga esistenza.
I lunghi capelli biondi ricadevano sulle spalle come uno scialle oro fulgido, mentre le labbra rosee erano distese in un solare sorriso angelico.
Lo sguardo rivolto al di là del fiume pulsava di una risonanza emotiva indescrivibile.
Era una donna giovane e bella, eppure la profondità di quello sguardo emanava avidi sprazzi di vita vissuta.
<<Sarà sempre con me>> bisbigliai in preda ad un'improvvisa calma impossibile da spiegare.
<<Lo sarà sempre!Quando piangi, quando ridi, quando attraverserai un periodo difficile.Lei sarà sempre dentro te a esortarti.Non la sentirai con le orecchie, ma sarà una vocina interiore a spronarti, una voce chiara e inviolabile...la voce del cuore>>.
Sollevai inavvertitamente il capo e soltanto allora, mentre il sonno cominciava a trascinarmi nel suo piatto mare di melassa, annotai qualcosa intorno al collo scivolarmi sullo sterno.
<<Cos'è?>> feci in tempo a chiederle prima che i sensi mi abbandonassero.
Non udii risposta.
La ottenni non so quanto tempo più tardi, da sola, sotto il salice piangente del mio Pensatoio, mentre la stringevo nelle mani come sto facendo in quest'istante.
...Stringo una catenina da cui pende un cuore diviso in due parti.
Sapete quei cuoricini d'oro o argento che si regalano oggi gli innamorati?Quelli dagli orli dentati uniti nella lavorazione?Sì, parlo proprio di un ciondolo del genere.C'è soltanto una sostanziale differenza: non si tratta né di oro, né d'argento.
<<Non ho mai visto niente di simile>> ricordo che disse il mio orafo di fiducia quando gliela mostrai anni fa, all'incirca due anni dopo la morte di mio marito.
<<Attualmente questo materiale non è classificabile...>> aggiunse in un secondo momento col tono carico d'euforia di un ricercatore universitario di fronte a una grande scoperta.
Insistette tanto per tenerla, voleva fare altri accertamenti, ma non ho mai acconsentito.
Senza questa catenina sarei perduta.Resta ancora l'unica difesa contro questa dannata Vecchia mai doma.
Negli ultimi tempi, poi, appare molto impaziente.Resta ore e ore ad osservarmi nella penombra degli angoli di ogni camera che oltrepasso.Sembra quasi indispettita dal fatto di non potermi avere tutta per se.Eppure in passato è rimasta giorni interi, mesi, anni ad aspettare il momento propizio, nascosta chissà dove.Adesso, invece, m'insegue con una bramosia famelica quasi palpabile.
Non riesco a spiegarmi il perché, ma la sento più vicina di quello che dovrebbe essere.
Lei sa...ha sempre saputo.Io l'ho scoperto soltanto circa tre mesi dopo la morte di mia madre, esattamente nel giorno della raccolta delle more.
Dopo l'incontro con la Poesia, della catenina non se n'era accorto ancora nessuno.Fu solo dopo il funerale della mamma che zia Marta, la mia preferita, quella che mi teneva per mano nella camera, mi domandò dove l'avessi presa.Gli raccontai tutta la verità e lo stupore che mostrò andò di sicuro oltre i limiti della coscienza di una bambina.Disse che si trattava di un miracolo, che un angelo me l'aveva donata e che non la dovevo toglierla per nessuna ragione.Quell'argomento riempì i brusii della casa per settimane e non vi nascondo che in seguito quelli di mio marito e i miei figli non sono stati da meno.
A quei tempi, poi, la superstizione usciva fuori da ogni logica.
Tuttavia, nonostante non capissi il senso di quel discorso, la fede a quell'età risulta una parola troppo grossa, le diedi retta.Poi ci fu il giorno delle more e fui io stessa a convincermi.
Si trattava di un evento speciale per noi bambini.I nostri genitori ci svegliavano di buon mattino e ci mandavano a raccoglierle per la torta.La sera c'era una sagra in paese e alla famiglia che aveva fatto la torta più buona, veniva offerto un grande cesto di formaggio nostrano.
La sagra di quell'anno la ricorderò non soltanto per il terrore che provai, ma soprattutto perché si trattava della prima festa senza mia madre.Era lei a consigliarmi la rotondità delle more migliori, lei a darmi il bacio sulla guancia e augurarmi buona fortuna sulla soglia della porta.
Quell'anno la sostituì zia Marta, che oltre a baciare i miei due cuginetti Rita e Ferdinando, baciò anche me.
Quella mattina di agosto partorì una delle giornate più afose dell'estate.
Il sole ignorava i reticoli verdeggianti della boscaglia irradiando prepotentemente il suo calore.Il sudore concretizzava la sua presenza ad ogni movimento.
Malgrado l'attenzione, anche quell'anno fui sopraffatta dall'attacco dei rovi.Limitai sì i danni, ma vuoi la frenesia, vuoi l'ingenuità, l'ordinario bruciore sulla pelle non riuscii ad evitarlo.Il classico sintomo, immancabile in quell'occasione, che qualche graffiettino ero riuscita a procurarmelo.Ma non mi fermavo, non potevo.Intorno a me c'era chi stava peggio e non lo faceva, figuriamoci se mi arrendevo proprio io, l'unica in famiglia a non essere riuscita nelle precedenti due partecipazioni a dare un apporto decisivo alla vittoria finale.In fatto di tagli, la fronte di mio cugino Ferdinando non scherzava, per non parlare poi di Simone e Romeo, i suoi amici del cuore.Loro due, sbandierando di proposito l'ancora acerba mascolinità, per accaparrarsi le more migliori insinuate nelle zone più nascoste dei rigogliosi cespugli, avevano mani e gomiti insanguinati.
Avevo riempito quasi metà cestello quando accadde l'imprevisto.Senza rendermene conto, m'ero allontanata di un bel po' dagli altri, finendo quasi ai limiti dei drappelli cespugliosi di more.Da dove mi trovavo si poteva origliare il gorgoglio del fiume.
Indossavo uno di quei vecchi vestitini di cotone, quelli che in una giornata estiva normale dovevano tenerti fresca, ma il sole cocente di quel giorno mi stava davvero torturando.
Pertanto, vista la lontananza degli altri, decisi di sedermi un attimo sotto la folta chioma di una querce.Ero stanca, ma tutt'altro che arrendevole.Mi ripromisi solo un minuto, l'invitante chioma della querce scacciava gran parte del tepore.
Richiusi gli occhi, cercando di godermi quei pochi istanti di freschezza.
Il cinguettio degli uccelli regalava un dolce sottofondo rilassante.
Li sbarrai non so quanto tempo dopo, forse neanche un minuto, non appena origliai il grugnito del cinghiale che mi stava fissando.
Trasalii, rimettendomi in una frazione di secondo in posizione eretta.Mentre lo facevo, una parte del cervello, quella non ammantata dalla paura, tentò di avvertirmi che nel frattempo avevo perso qualcosa, era caduto qualcosa, ma ero troppo atterrita per darle retta.
L'animale, intanto, mosse un paio di passi verso di me.
Grugniva, ma non con l'espressione di chi volesse interloquire, grugniva perché aveva fame ed io ero il suo probabile, prelibato pasto.
Aveva gli occhi iniettati di sangue e il pelo scuro inumidito di chissà cosa. Mi fissava famelico, poi appoggiò uno zoccolo sul suolo erboso, iniziò a strofinarlo ed io capii, anche se avevo solo nove anni, che mancava poco alla carica.
Ricordo quel momento con una paura nel cuore incapace di sparire perfino adesso, fra le mura sicure della mia casa, col camino impegnato a infondere il suo rassicurante calore.
Della Vecchia Signora me n'avvidi solo quando alzai lo sguardo in alto, in cerca di un possibile appiglio sull'albero.Era nascosta nell'intruglio frondoso, la chiostra di denti nerastri ben in mostra, le orbite vuote simili a due abissi aspiranti.
Udii il cinghiale davanti a me gettare un furioso grugnito e nello stesso istante, librandosi nell'aria con la sua lugubre veste nera, la Vecchia Signora si proiettò verso di me.Abbassai il capo, sicura ormai d'essere giunta alla fine, quando, mentre il panico mi spingeva a serrare gli occhi, scorsi la catenina a terra vicino ai miei piedi.
Credetemi se vi dico che non so cosa mi abbia spinto a raccoglierla, ma sono più che certa che se non l'avessi fatto, ora non sarei qui a scrivere questa storia.Mi chinai, la afferrai in una mano e uno sparo rintronò nell'aria sconquassandomi i timpani.Seguì un tonfo sordo a pochi centimetri da me.
Smisi per un attimo di respirare.
L'animale era morto stecchito ai miei piedi, la Vecchia Signora una traccia nel nulla.Mi voltai, intontita, nella zona dove era provenuto lo sparo.Ad una decina di metri da me, tra il fogliame, c'era mio padre, la canna del suo fucile ancora fumante.Ci guardammo per un istante apparentemente infinito, poi mi corse incontro e ci abbracciammo con tanta veemenza da farci lacrimare gli occhi.
Non udii il vocio circostante dei bambini accorsi in seguito allo sparo, la felicità di quel momento mi aveva letteralmente rapita dalla realtà.
<<Iris, non potevo perdere anche te>> mi sussurrò mio padre mentre mi stringeva tra le sue possenti braccia.
Sono le uniche parole che gli uscirono dalla bocca, poi piangemmo, piangemmo tanto, piangemmo di gioia.
Mi salvò la vita mio padre, anche se più tardi, quando mi spiegò cosa ci facesse nella boscaglia quella mattina, prese subito corpo un'altra agghiacciante ipotesi.
La catenina, il simbolo scelto dalla Poesia, era a quest'immenso dono che dovevo e devo tuttora la mia sopravvivenza.
La Vecchia Signora ne ha paura, non osa avvicinarsi.
La potenza sprigionata dal cuore umano, la percezione introspettiva, il solo pensiero che un essere possa sfiorare la comprensione: la logorano.
E' la Poesia l'arma, è l'aprire il cuore alle profondità interiori dell'essere a sconfiggerla.
Mio padre era soltanto uno strumento, un verso sciolto generato al momento giusto in un componimento ancora incompleto.
Se quella mattina non si fosse trovato a meditare nel bosco, sono convinta che non sarebbe accaduto nulla.Ed anche se fosse accaduto, sarei riuscita lo stesso a cavarmela, in un modo o nell'altro.Semplicemente perché c'era la Poesia, la corrente emotiva capace di tenere stretto il confuso mondo sentimentale dell'essere: addolcendolo, emozionandolo, spronandolo, donandogli la capacità d'amare.
La catenina è solo un simbolo, come la mela di Adamo ed Eva, una magia concessa dall'Onnipotente incapace di farsi gli affari suoi e vedere il mondo andare a rotoli.
La verità, comunque, resta che io sono ancora dannatamente attaccata alla mia vita, ancora fervida di sentimenti, ancora legata a questa schiera di componimenti che riempiono il sognante complesso chiamato mondo.
Non cederò, se l'artrite un giorno m'impedirà di scrivere, allora le canterò le mie poesia, se la paralisi mi atrofizzerà la lingua, le mimerò, ma troverò il modo per esternare al mondo il mio amore, il mio odio, la mia bontà, le mie debolezze, le mie emozioni...troverò il modo per allontanare la Vecchia Signora.L'uomo ha paura della morte e tutte le lamentele sulla sofferenza sono futili sfoghi derivanti dal troppo benessere.Vivere è un sogno irrinunciabile, vedere crescere i tuoi figli, coltivare i tuoi sogni, amare...rappresentano il cibo dell'anima.
La Vecchia Signora può attendere, ha atteso cent'anni e dunque non vedo perché non può attenderne altri mille.
Mi accontenterò delle piccolezze, come ho fatto finora, del resto è quello il segreto, anche se continuo a credere che l'umanità s'ostini a non comprenderlo.Gli anni sembrano lunghi, il tempo una porta sbatacchiante sempre lontana dallo spalancarsi, ma in realtà la vita è più veloce della discesa di una stilla.L'uomo, purtroppo, non avverte ancora la rapidità di questa discesa e s'intestardisce a cercare una felicità assoluta negli eccessi, nell'apoteosi della possessione.Non s'accontenta del sorriso di un figlio, della tranquillità familiare, dell'amore del prossimo, di un emozionante panorama naturale...vuole, desidera, pretende, è simile a un felino costantemente alla ricerca della sua preda.Poi, quando si perde, si rifugia tra le quattro mura del suo credo chiedendo conforto, come un bambino tra le braccia del genitore.
Ho sempre creduto che forse è proprio la debolezza dell'uomo ad attenuare la rabbia di questo rassegnato Ascoltatore, forse è proprio la nostra ingenuità a intenerirLo.Sì, forse è proprio questo a intercedere per noi, forse è proprio l'emotività umana a impedirGli di morsicare il lato del cono dove cola la pallina del nostro mondo, spingendoLo invece a leccarla lentamente, quasi con paura.
Ma queste sono soltanto assurde teorie di una vecchia rachitica e sognatrice, affamata della vita...
Sento dei passi al piano di sopra, di sicuro quelli della mia cara nipote.
Credo sia giunto il momento di concludere questo racconto, questa sorta di sfogo che mi ha svuotato di un peso fino a oggi davvero insostenibile.Se devo essere sincera, non pensavo di farcela.Non per l'improvvisa intromissione di mia nipote, ma per l'intervento della Vecchia Signora.
E' ferma nell'angolo dietro di me da quando ho preso la decisione di scrivere questa storia.Non mi sono voltata a guardarla, ultimamente faccio fatica a sostenere quella figura senz'ombra, ma sento il suo odore.Da un po' di settimane a questa parte, cosa mai successa in tutti questi anni, percepisco il suo odore.Un odore putrido, stagnante con cui ho imparato presto a convivere.Forse un altro misterioso segno premonitore?Bah, chi lo sa.So solo che non voleva che scrivessi queste pagine, desiderava che le tenessi seppellite dentro me stessa.
Il potere della comprensione la fa impazzire, quasi quanto l'ardore del cuore umano.
Adesso, però, seppure a malincuore, devo compiere ciò che m'ero prefissata.
Eccoci al camino, dove il crepitio della legna m'informa di un fuoco rovente in frenetica attesa del prezioso cibo.
L'ardore del cuore umano...
Mia nipote sta scendendo le scale, devo farlo ora, non posso perdere più tempo.Questo racconto non può essere letto da occhio umano, né tantomeno udito.
Brucerà nel fuoco del mio camino, perché se la Vecchia Signora adora essere al centro dell'attenzione, l'amica Poesia, quell'autentica, quella proveniente dall'ardore del cuore, vive di attimi, attimi rivolti all'infinito.
 

Matteo Galdi


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 Agg. 05-07-2005