Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Racconti di
Matteo Galdi
SBALLO MACABRO
 
 

...questa è la fine,


mia sola amica, la fine...


THE DOORS, THE END

 
 
SABATO, ORE 22.18
Un lieve venticello primaverile accompagnava una delle serate più limpide di quel piovigginoso aprile.
<<Teschio la chiudi questa canna o facciamo notte?>> sbraitò all'unisono il resto della compagnia, mentre una bottiglia di gin volava da una mano all'altra e l'abitacolo dell'auto s'impregnava di fumo.Franco Lorenzini lanciò un'occhiata ripugnante ai tre amici, poi, senza controbattere, s'affrettò a chiudere lo spinello.
<<L'avete sentita l'ultima su Cipolla?>>, esordì Mirco gettando la sigaretta dal finestrino.<<L'ama signori, vuole sposarlaaaaa>>.
<<Ma se Elena ha fatto più pompini di una puttana in pensione!>> dichiarò Andrea, con Daniele il "Pallido" che si sganasciò dalle risate sul sedile posteriore e Franco che lo imitò quasi rovesciando la cartina.
Andrea Sposini, detto lo "Strano" per le sue esilaranti trovate, era secondo tutti il più simpatico del gruppo, nonché il più drogato.Quando c'era da fumarsi una canna lo trovavi sempre là, con la colla fra le dita, quasi a succhiarsela come se fosse uno dei due capezzoli di Alessia Marcuzzi.Per non parlare poi dell'alcol e del viaggio del sabato notte, unico della settimana stando alle sue parole, anche se gli altri non ci avrebbero mai messo la mano sul fuoco.
<<Pallido ridi, ridi che acquisti colore>> continuò Andrea tra l'ilarità generale.
L'auto era parcheggiata a nord della "piazzetta dello sballo", così battezzata dalle comitive che la frequentavano, situata a pochi chilometri dal centro di Padova.
Ridevano ancora quando uscirono all'aperto, senza accorgersi minimamente dell'auto che imboccò il vialetto d'ingresso.
 
 
SABATO, ORE 22.27
Elena Trevisan stava cavalcando Piero Migliorini quando i suoi presunti amici la definirono con quel "cavalleresco" appellativo.
Si erano imboscati con l'auto in uno dei sentieri che portava ad un'immensa distesa
di campi vicino Rubano, non lontano da dove abitavano entrambi.Le conifere nascondevano la vettura quasi assorbendola.
<<Vienimiii dentrooo...siiiiii...vienimiii dentr...ho preso la pillola>> ansimava perduta nell'orgasmo.
Le mani di Piero le stringevano i fianchi, mentre colpi feroci le annebbiavano i sensi.Sussultava dal piacere, finché non si sentì riempita e man mano i movimenti rallentarono fino a cessare del tutto.Si baciarono appassionatamente poi, con i capezzoli ancora turgidi e la fronte imperlata di sudore, si spostò sul sedile di guida.Stirò i muscoli delle gambe indolenziti, si accese una sigaretta e fissò Piero che si stava rivestendo.
<<Perché ti chiamano Cipolla?>> gli domandò passandosi una mano fra i capelli biondi.
<<Dicono che ho l'alito che puzza di cipolla>> ribadì Piero, con gli angoli della bocca che smorzarono un sorriso.
<<Dio mio!Ma non è vero!>>
<<Lo so, come non è vero che Franco ha la testa uguale ad un teschio, che Mirco ha la faccia da topo...>>.
<<Hhmmmm.Qui ho i miei dubbi>> ribatté Elena, infilandosi gli stivali e riallacciandosi la gonna lunga.
<<Ma dai!Mirco non ha il viso da topo.Forse gli unici soprannomi azzeccati sono quelli del Pallido, anche se credo che debba stare attento sul serio all'anemia, e dello Strano che è davvero un tipo difficile da trovarsi>>.
<<Comunque sia, credo che sto un po' sul cazzo ai tuoi amici.Non so perché, ma lo noto da come si comportano con Marta e Laura e da come trattano me.Mi tengono le distanze, forse perché sono l'ultima arrivata o forse perché è solo una settimana che mi conoscono, ma di sicuro non gli sto simpatica>> precisò, mentre raccoglieva l'astuccio coi trucchi dalla borsa.
<<E' solo una tua impressione, poi c'è Andrea che ti conosce da molti anni>> la rassicurò il ragazzo.
<<E' proprio questo il problema!Sono convinta che Andrea o lo "Strano", come diavolo lo chiamate voi, mette in giro brutte voci su di me.Solo perché in passato ho avuto una storia con un suo vecchio amico>>.
L'isolato abbaiare di un cane e il trillare dei grilli erano i soli suoni che emergevano dalla natura circostante.
Piero le si avvicinò e, alzandole il mento con la mano, le disse delle parole che lei mai più avrebbe dimenticato.
<<Per me sei più importante dei miei amici, perché provo per te qualcosa che va oltre ciò che provo per loro.Perciò tu non devi preoccuparti di quello che pensano loro, ma deve importartene di ciò che penso io.Ed io penso che tu mi completi e voglio che questa storia continui, sempre se tu lo desideri naturalmente>>.
Fece per accendersi una sigaretta, ma Elena lo fermò.
<<Sai, credo di amarti, anche se ci frequentiamo solo da una settimana.Ed anch'io voglio che la nostra storia prosegua, però mi devi promettere una cosa>>.
<<Cosa>> le chiese titubante.
<<Che da stanotte la smettiamo coi viaggi, perché oramai ne ho la testa piena e perché quando lo facevo, e adesso lo sto rifacendo di nuovo con te, iniziavo ad avere delle strane...>>.
DRIIIN...DRIIIN...DRIIIN...
Lo squillo del telefonino di Piero irruppe nella piacevole quiete della campagna, poi tutto si alternò velocemente, tanto che Elena non ebbe neanche il tempo di continuare o fare domande.
Piero assentì due, tre volte, ripose il telefonino nel ripiano basso del cruscotto, la fece spostare, prese il controllo dell'auto e partì sgommando.
Un firmamento di polvere si alzò dal suolo e le luci delle finestre di alcuni rustici brillarono in lontananza.
 
 
SABATO, ORE 22.51
Al di là della porta del bagno, Marta si ammirava allo specchio dandosi gli ultimi ritocchi della serata, mentre l'amica l'aspettava seduta sul coperchio del water.
<<Farò colpo stasera su Andrea?>> chiese a Laura, evidenziandosi le carnose labbra con un rossetto scuro.
<<Spero di sì, anche se hai ancora i capelli corti come quell'idiota di Steno.Ma come cazzo facevi a stare con uno skinhead?>>.
<<Era bravo a letto, tutto qua>> le rispose senza voltarsi.
<<Ad essere sincera sono più ansiosa di lasciarmi cullare dal dolce e sfrenato sballo delle paste, che dalle possenti braccia di Mirco>> cantilenò arrangiando quelle parole in un'anomala parodia poetica.
<<Baldracca che non sei altro>> replicò ironicamente Marta, prelevando la matita nera dall'astuccio.
Dal soggiorno giungeva la voce di Paolo Bonolis che scherzava con uno dei bambini di Chi ha incastrato Peter Pan e le risate dei genitori di Marta.
<<Non li trovi patetici?>> asserì Laura alzandosi dal water e ponendosi dietro all'amica a ultimarsi l'acconciatura dei lunghi capelli castani.
<<Chi?>>
<<I tuoi genitori!I miei sì, pensano solo a lavorare, lavorare, lavorare e la sera alla TV, TV, TV...Oh cazzo!Piuttosto d'accontentarmi di una vita così m'ammazzerei!Poi c'è mio fratello.Pietà!Noi due mariniamo sempre, lui invece se potesse andrebbe a scuola anche di domenica.Dio mio!Ci manca solo che se li scopi, i libri!>>.
Dopo quell'ultima esclamazione scoppiarono entrambe a ridere, poi distinti rintocchi sulla porta le richiamarono all'attenzione.
<<Ehi, voi due?Ci sono i vostri amici che vi attendono giù>> proclamò la madre di Marta.
<<Digli che subito scendiamo>> rispose immediatamente la figlia.
<<Alè!Stanotte si balla e ci si sballa>> bisbigliò Laura elettrizzata.
<<E si scopa>> aggiunse Marta gettando alla rinfusa i trucchi nell'astuccio.
<<Diciamo che si tratta di una scopata continua>>, seguitò l'amica prendendo una sigaretta dal pacchetto:<<Dopotutto sballarsi questo è: una scopata infinita>>.
Risero ancora, e ancora il fastidioso fragore degli zatteroni echeggiò per le scale.
 
 
SABATO, ORE 23.03
<<Dovrò pure ribeccarlo da solo in centro!>> berciò Andrea, con Mirco che gli puliva il viso con un fazzoletto bagnato.
Si trovavano nella toilette dell'autogrill che precedeva Jesolo di una quindicina di chilometri, ultima tappa prima di recarsi in discoteca.Andrea era appoggiato al lavabo, con il capo rovesciato all'indietro, nel tentativo di non accelerare la discesa del sangue che gli colava dall'arcata sopracciliare sinistra.
Fuori, intanto, la nebbia scendeva raccogliendosi in intensi banchi sulla strada.
<<Sapevi che prima o poi sarebbe successo, Marta l'ha mollato per te e a lui non va giù.Gli skinhead sono fatti così, sembra tanto che non gli importi delle loro donne, ma se vengono piantati diventano la sola ragione della loro esistenza>> affermò l'amico, cercando di consolarlo.
<<Porca puttana!Topo, non l'ho mai toccata!>>, proruppe Andrea sfogando l'ira, poi<<Stasera però me la sbatterò fino alla morte>>.
Calò un improvviso silenzio, infranto solo dallo scorrere dell'acqua e dal rumore delle auto che transitavano sull'autostrada, finché Andrea non riprese a parlare.
<<Franco ha avvertito Piero che ci trovavamo direttamente alla Piramide?>>.
<<Lo sta facendo e gli ho detto di chiamare anche Roberto per farci mettere da parte una decina di pasticche.Sai com'è, se non glielo ricordi, quel pezzo di merda per disfarsene è capace di venderle anche ad una cane a quarantamila>>.
<<Forse...comunque credo più che se le faccia lui.Nella fabbrica dove lavora, non lontana dalla mia, girano storie che quella dannata scimmia s'impasticchi perfino là dentro>>.
<<Se lo fa, allora non è proprio un coglione>> concluse Mirco e, osservandogli il viso, <<Certo che te le sei prese, eh?Anche se ti poteva andare peggio.Fammi vedere...occhio e gran parte della faccia di merda tumefatto.Bene, per l'occhio stanotte ti presto i miei occhiali>>.
<<Vai a farti sfottere Mirco!Sei sempre il solito testa di cazzo!Anzi, cazzo di testa!Brutto imbecille, già sono stato fortunato che non si siano intromessi gli altri...>>.
<<A quel punto penso che sarebbe scoppiata una rissa, perché sicuramente intervenivamo anche noi>> lo interruppe Mirco con tono deciso.
Dal piazzale, intanto, giunse il suono di un clacson.
Mirco adocchiò l'orologio e rivolgendosi all'amico:<<E' meglio che andiamo.Stanotte ci aspetta un lungo viaggio di danze verso l'ignoto.C'è da divertirsi amico>> proferì, dandogli una pacca sulla spalla e scandendo quell'ultima affermazione come uno degli attori di film western di Sergio Leone.
Andrea annuì, adesso aveva sete e sperò con tutto il cuore che il Pallido fosse tornato dal bar e che Teschio avesse una "canna fresca" a portata di mano.
 
 
SABATO, ORE 23.04
Daniele aspettava al banco le due bottiglie di vodka che aveva appena ordinato, quando un uomo distinto, sulla quarantina, varcò la soglia d'ingresso dirigendosi verso lo spazio riviste.
I tavolini erano quasi del tutto vuoti, tranne qualche persona sparsa qua e là che beveva caffè e divorava tranci di pizza.
Ai suoi occhi, come era stato sempre, appariva tutto estremamente aberrante, manichini manipolati dalla quotidiana sfera di finzioni propria della società odierna, che tendeva a reprimere le loro voglie, distruggere il loro "io", suggestionava la loro libertà.Il libero arbitrio non era altro che una farsa, e lui si convinceva sempre di più che la teoria delle maschere di Pirandello fosse la bibbia moderna.
La cameriera, intanto, gli passò accanto lasciandosi dietro una scia di profumo femminile e si avvicinò ad uno dei clienti.L'uomo entrato poco prima, invece, avvolse in un giornale la copia di "Gay-Line" e s'indirizzò alla cassa.
<<Eccola la prova>>, pensò, esplodendo in un'improvvisa risata che fece voltare le poche persone che popolavano il bar.
<<Ma...ni...chi...ni...>> biascicò col tono strozzato dalle risate.
L'alcol e l'hashish si facevano strada nella testa puntando al cervello.
Il barista lo richiamò alla compostezza redarguendolo con lo sguardo, poi, con un gesto di diniego, gli diede le bottiglie di vodka.
Il suo corpo gracile era ancora preso dalle convulsioni quando raggiunse la cassiera che, vedendolo in quello stato, si tratteneva dal ridere.La donna aveva un gran bel seno che quasi le sporgeva dal reggipetto e, lo sforzo che compiva per tenersi, le faceva alzare così tanto il torace da metterne in evidenza la parte superiore.
Di colpo Daniele divenne serio e, mentre tirava su i soldi dalla tasca dei jeans, non staccava gli occhi dal triangolo che si veniva formando all'altezza dello sterno della signora, coperta solo di una sottile camicetta rossa mezz'aperta.
<<Ti piacciono vero?>> gli mormorò la donna, che non poteva avere più di cinquant'anni, senza alzare lo sguardo dalla cassa.
<<Cosa?>> boccheggiò Daniele come svegliandosi da un sogno.
<<Alla mia età sono poche quelle che se lo possono permettere>>, continuò porgendogli il resto, e infine ammiccando:<<Non esagerate stanotte, OK?Alla prossima>>.
 
 
DOMENICA, ORE 03.33
Le ombre erano in agguato e sentiva che prima o poi sarebbero apparse danzanti, come sempre.
Era seduta su una delle tante poltrone della discoteca "La Piramide", con il capo reclinato e sopraffatta dal down della prima pasticca: in quella fase le apparivano, quando la stimolazione energetica regrediva e i primi sintomi di apatia e abulia si facevano avanti.Riconosceva che era tutto sbagliato, ma aveva bisogno di un'altra "bomba" se non voleva impazzire nella ricerca del significato di quelle visioni.Per tanto tempo aveva sperato di non essere l'unica vittima di quegli enigmi, ma, parlandone, s'era convinta di essere la sola a vederle, specialmente tra i consumatori saltuari di "speed pills".
I suoi vecchi amici, infatti, dicevano di avere mostruose allucinazioni solo sotto l'effetto dell'acido, mai con l'ecstasy.
Alzò la testa di quel tanto da osservare la pista davanti a lei.Un barlume di coscienza le dipinse una folla di scalmanati che si dibatteva al ritmo martellante della techno e il suo Piero che ne faceva parte.Daniele, invece, si stava avviando verso il bar a tracannarsi un'altra tequila, mentre Mirco, Franco e Laura saltellavano così in alto quasi da fuoriuscire dalla sua visuale.Le luci, prima piene di vividezza, si stavano incupendo in un tetro bianco e nero.Sapeva che Andrea e Marta stavano scopando in uno dei bagni del secondo piano e, per una frazione di secondo, le sembrò di udire i
loro gemiti di piacere, poi le pupille si dilatarono e le ombre apparvero.Salirono sul pavimento insieme al fumo bianco emesso dai dispersori, poi ancora più su, fino ad avvolgere quei corpi vacillanti completamente inconsapevoli dell'immensa vita che possedevano.Venivano su danzando al ritmo della musica, deformandosi in mille striature geometriche, che ondeggiavano sulle pareti.Viaggiavano con l'intensità della luce dei faretti e man mano che un nucleo centrale si formava sul soffitto, neri bracci oblunghi si allungavano saettando all'interno della sala.Elena serrò gli occhi, sperando che una volta riaperti quella macabra visione sparisse, però un formicolio le attraversò le gambe morendo nell'addome ed anche quella speranza svanì.
Quello era il sintomo che non era finita, mancava la sensazione che una miriade di animaletti le scavassero nella pelle e non impiegò molto ad arrivare.La investirono scuotendole le membra e la musica terminò.Tutti i suoni cessarono.Le restavano, come ogni volta, le immagini, l'improvviso miasma e l'assiduo fischiettio che le tormentava i timpani.
Aprì gli occhi, affetti ormai da una persistente midriasi, e vide che Piero le stava davanti con mezza pasticca sulla lingua e che adesso riempivano la pista anche Marta e Andrea; poi spostò lo sguardo sul soffitto.
La piovra d'ombre si era materializzata e giaceva là, allungando, come mai aveva fatto prima, i tentacoli sui suoi amici.Uno di essi le era di fronte e lei riuscì a discernere perfino il turbinare oscuro che lo modellava.
Avvolgeva la testa del ragazzo che amava.
Piero la stava quasi per baciare, trasferendole metà pasta, quando Elena emise un urlo così forte da far accorrere alcune coppie che pomiciavano sulle vicine poltrone.
Perse i sensi.
 
 
DOMENICA, ORE 06.02
Il telefono squillò.
<<Piero!>> esclamò sua madre spaventata.
Stava preparando la colazione al marito che era di turno all'ospedale e, come puntualmente avveniva ogni sabato, quella notte non aveva riposato bene.
Si lanciò verso l'apparecchio, ma il marito già vi era sopraggiunto. Tremava, come solo alle madri accade in quei momenti e, quando Angelo Migliorini ripose la cornetta, le bastò il volto impietrito di suo marito, per capire , che non avrebbe più riavuto suo figlio.
 
 
UN ANNO DOPO, ORE 16.14
Il pomeriggio sfoggiava un cielo terso, dove un sole cocente diffondeva i suoi raggi ravvivando i colori dei fiori e delle piante che animavano il luogo.Tappeti di foglie si erano addensati rivestendo gran parte del corridoio centrale, accompagnato da platani, pini e magnolie su entrambi i lati.
Appariva tutto così delicatamente meraviglioso, i meteorologi avevano previsto che quella primavera era l'anticipo dell'estate più calda del secolo, ma niente poteva più riscaldare il suo cuore.Il desolante e doloroso silenzio del cimitero deserto sembrava agire da portavoce.Elena si trovava nell'ala ovest di quella spregevole realtà umana, che tanti definivano come 'luogo di pace ritrovata ', di fronte alla tomba di Piero Migliorini.
Era trascorso un anno ormai da quella maledetta assurdità e nella sua mente ancora si rincorrevano quelle reminiscenze vaghe.Ricordava dei commenti del tipo che l'aveva presa male, è andata in paranoia e robe del genere, poi la scena nitida che ancora le percuoteva il cervello svegliandola nel pieno della notte.L'autostrada velata dalla nebbia, l'improvvisa sterzata di Franco che sfondava il guardrail, le urla strazianti che precedettero la frenata di Piero e il disastroso urto che quasi le aveva rubato la vita.
Questo raccontò alla polizia sei giorni dopo, quando uscì dal coma, ma a nessuno confidò delle ombre, nessuno seppe mai di quei tentacoli che ogni sabato notte sceglievano nuove vittime.Quella notte avvolsero i suoi amici e i giornali titolarono: ECSTASY, SEI MORTI.Così fu allora, e così si ripeteva sui quotidiani ogni fine settimana.
Non aveva più messo piede in una discoteca e le paste facevano parte solo di un lontano sballo macabro, ma i sensi di colpa scalfivano ancora la sua anima.
<<Non ho potuto impedirlo>>, disse al giovano viso che la fissava sorridente dalla cornice affissa sul marmo bianco.
Rose, iris, tulipani, garofani e tanti altri fiori riempivano le anfore che circondavano la lapide.
<<Se solo avessi potuto>> mormorò con voce roca.
Il cinguettio degli uccelli risonava come melodia in sottofondo.
Pensò che forse aveva sbagliato a venire, stare lì alimentava ancora di più il dolore.Ma prima o poi sarebbe successo, perché era là che doveva sfogarsi.
Si passò una mano nei capelli, poi, col tono soffocato dal pianto, proruppe liberando lacrime e rabbia.
<<Te l'avevo detto che dovevamo smetterla!>>.
Si fermò, pulendosi col dorso della mano destra gli occhi e, cercando di calmarsi, proseguì.
<<Stamattina ho finito di leggere il libro di un certo Jack Kerouac.S'intitolava Sulla strada...Be', è stata una frase che mi ha spinto a continuare a leggere le pazzie di quel tipo e...a pensare a noi.Diceva: "...la vita è sacra e ogni momento è prezioso".Noi questo non l'abbiamo mai capito, ma ci siamo sempre comportati come dei Wile Coyote che non si accorgevano che stavano correndo nel vuoto, perché la roccia sotto si era infranta>>.
Le lacrime sgorgavano ora come acqua da una sorgente, lasciando scie nere di mascara sulle guance emaciate e sperdendosi all'interno della maglietta.S'inginocchiò, sistemando la rosa bianca che stringeva nella sinistra, osservò la foto e la baciò.
In quella foto Piero rideva, i suoi occhi ridevano e, mentre abbandonava il cimitero, stranamente anche Elena tirò le labbra, ma il suo era un riso amaro, il suo era l'unico muro difensivo che poteva erigere contro quel dannato cancro d'indifferenza che consumava la gioventù.
Aveva quasi raggiunto l'auto quando, a pochi metri, scorse un passerotto che tentava di alzarsi dal selciato.Provava difficoltà ed Elena capì che aveva appena lasciato il nido.Saltellava, sbattendo le ali, conscio però che alla fine ce l'avrebbe fatta.
Restò lì a fissarlo, finché l'uccello non si accorse della sua presenza.S'arrestò e, quando i loro occhi s'incrociarono, spiccò finalmente il volo.

Questo racconto è stato pubblicato nell'antologia "Euforie", edita da Il Poligrafo e curata da Giulio Mozzi e Marina Bastianello

 

SCAGLIE
 
La donna aprì la cassaforte situata nel suo studio e fissò titubante l'interno.Era indecisa se dare precedenza al diario bianco o iniziare con quello nero.Quel giorno, infatti, era stata impegnata su entrambi i fronti.Alla fine optò per il nero, lasciando ancora per un po' nel freddo cantuccio d'acciaio bronzato quello bianco.
Due minuti dopo era seduta dietro la scrivania, il diario aperto sulla data odierna e la mano pronta a riassumere le malvagità della giornata.
In quel momento, nel silenzio sinistro della casa, s'udiva solamente l'assiduo sfregare della sua mano sul foglio.
 
"La vita è un sogno dentro un sogno..." lessi anni fa su uno di quei vecchi tascabili da 1000lire tanto in voga una volta sulle bancarelle e, se devo essere ragionevole, non c'è affermazione migliore di questa.L'autore non lo ricordo, ma so di certo che si trattava di un uomo(gli uomini sono sempre stati i più accaniti netturbini dell'esistenza), un uomo con la "U" maiuscola.
La donna, quasi per dar consistenza a quell'ultimo periodo, si fermò un istante gettando lo sguardo sulla cornice d'argento ritta in un angolo della scrivania.Il volto dell'ex marito continuava a sorriderle.Vi sostò per pochi secondi, giusto il tempo di replicare a quel sorriso con un secco gesto di diniego con la testa, poi ritornò a scrivere.
Se penso che quel bastardo mi ha mollata perché non sono capace di generare "scaglie", la rabb...ma veniamo a noi, non ho nessuna voglia di dilungarmi sul pezzo di merda che ho tanto amato e che forse amo ancora(lo deduco dal fatto che non riesco tuttora a prendere la dannata decisione di ammazzarlo).
Oggi è successo per la quarta volta.Ed anche oggi nessun senso di colpa.La follia ormai galleggia nella mia mente come mucillagine su un mare piatto.Abbranca tutto, anche i più nascosti rimasugli della mia morale.In compenso, però, ad ogni nuova esperienza, mi gratifica con una salutare goduria macabra.
La paziente era una giovane 24enne alla sua prima gravidanza e alle prese con l'ultima ecografia.Il mio raggio d'azione, difatti, non trova ancora modo di andare oltre il limite dell'ecografia finale.Continua ad essere quella con i minori rischi in assoluto.D'altronde, se nell'imminente futuro dovessero sospettare qualcosa, in un ospedale sono sicuramente molte le ginecologhe "pubbliche", come altrettante le mammine gravide a recarvisi.La convenzionata di stamattina, in particolare, era peggiore di tutte le mie attuali pazienti private messe insieme.
Esibiva il pancione con una fierezza negli occhi al di là di ogni comprensione.Il risolino roco con cui scandiva ogni minimo movimento della bambina mostrato dal monitor, faceva vomitare.Non riesco ancora a spiegarmi il perché, ma mi sforzavo di trattenere i conati, almeno fin quando quell'idiota del ragazzo(nessuno dei due portava la fede) non ha deciso di sparare qualche domanda sensata.Soltanto allora ho ritrovato la calma.
Sarà difficile che quel ragazzo diventi suo marito, specialmente quando si ritroverà davanti l'orrenda scaglia partorita dalla moglie.
Non capisco...anzi, non riesco proprio a capacitarmi: come fanno le persone a fidarsi così ciecamente del prossimo?Sono in ospedale per un semplice check-up e si lasciano punzecchiare il corpo da aghi di sconosciuta provenienza.Si trovano dal dentista per una brutta carie e non si preoccupano dell'anestesia che sta usando in quel momento per lavorare sui denti.Vengono infastiditi da una debole emicrania e subito s'imbottiscono di pillole.
Perché tanta incoscienza?
E se in ospedale c'è un'infermiera impazzita che si diletta ad adoperare, senza disinfettarli, gli stessi aghi usati poco prima nel reparto malattie infettive?
Se il dentista è un omicida che uccide le sue vittime iniettandogli una dose di anestesia letale?Se nella produzione industriale delle pillole un dipendente si fosse divertito ad avvelenarne?
Idioti!Idioti!Idiotiiiiii... soprattutto a fidarsi di una folle e crudele ginecologa che senza alcun apparente motivo continua a propinare un micidiale farmaco nel gel usato per le ecografie.
La gente è davvero piccola, assomiglia sempre di più ad un branco di formiche stretto in un formicaio destinato oramai a soffocarle.
Be', il quarto passo è stato compiuto, non mi rest...
La squillante suoneria del telefono echeggiò nello studio.
<<Sì?>>
<<Buonasera dottoressa, sono Giulio Martini.Mia moglie ha rotto le acque e...attendiamo il suo arrivo in ospedale>>.
<<Arrivo subito>> puntualizzò riattaccando.
...a che dirti alla prossima... concluse in fretta e furia.
Chiuse il diario nero, s'alzò dalla scrivania e si diresse verso la cassaforte.
Lo ripose dentro e, prima di serrarla, scoccò un'occhiata al diario bianco.
<<Vado da una privata e come ben sai quelle sono intoccabili, almeno finché non voglio farmi scoprire>> gli confidò, poi, dopo un attimo d'esitazione << Tra un paio d'ore toccherà a te.Non t'aspettare niente di nuovo, perché si tratterà sempre della solita minestra: l'apertura al mondo di altre scaglie>>.
Cinque minuti e già si trovava in strada verso il suo amato ospedale.
All'incirca due mesi dopo la nascita dell'ultima scaglia, in un vivere qualunque di un formicaio qualunque, i TG nazionali aprivano con la sottostante notizia:
-Una serie d'incredibili fenomeni di malformazione congenita sta investendo le ultime nascite nell'ospedale di...-
<<Non si tratta di radiazioni, idiota!>> sbottò in seguito la donna stravaccata sul divano e infine, con lo stesso folle tono, aggiunse:<<Sono solo i primi frutti del mio lavoro>>.

SOLE NERO
 
La madre gli stava raccontando la fiaba dell'orco quando la terra tremò.Ricordava solo dei boati e di aver vacillato per un tempo infinito, mentre la mamma urlava, poi tutto gli era crollato addosso e un'enorme tenda nera gli aveva rubato il mondo.
Si trovava in cucina quella mattina, accanto alla finestra, e il sole aveva rappresentato un muro difensivo contro quella fiaba, perché ogni volta che veniva suggestionato da qualche episodio particolarmente orrido, lui si voltava e la palla di fuoco si librava lassù, riscaldandolo.Ora, invece, giaceva inerme sotto le macerie della sua casa, con i muscoli intorpiditi e gli occhi e le labbra serrati per non lasciar varchi al pietrisco, simile ad un'inesistente acqua solida capace di infiltrarsi dappertutto.La pietraia, infatti, si era ammassata sul suo corpicino lasciando miracolosamente illesa la testa; resa sì libera, ma nella desolazione della sopravvivenza, crudele limbo esistenziale che in quel caso gli permetteva solo di respirare.La paura, quella autentica, quella che ti scuote le membra e ti attraversa lo stomaco quasi volesse strapparti lo sterno, arrivò quando sentì i primi sparsi scricchiolii e la polvere iniziò ad intasargli le narici facendolo starnutire.Fu allora che aprì per la prima volta gli occhi, cerchiati da una spessa matita di pulviscolo, e osservò le orripilanti tenebre che aveva innanzi.Non riusciva a distinguere altro che non fosse un'indiscutibile serie di tetti scuri, finché non udì un vicino crepitio e l'arcano istinto, che l'animo umano si ritrova, fiutò un imminente pericolo.Alzò inconsciamente il capo, appena tre centimetri dal ruvido cuscino di pietra su cui poggiava, e la fronte incontrò qualcosa di acuminato.Un disegno mentale, per niente di buon auspicio, marcò i tratti di un grosso macigno, insolitamente aguzzo, che scivolava lentamente verso la sua testa.Il terrore crebbe paralizzandogli il sistema nervoso e proprio quando un impulso cerebrale gli ordinò d'invocare aiuto, i riflessi s'appannarono e i sensi l'abbandonarono.
 
Rinvenne quasi un'ora dopo, con la gola rinseccolita e le camere anteriori degli occhi celate da esili pellicole di polvere.Abbassò le palpebre e fu in quell'istante che comparve il tunnel.Era uguale alle gallerie che aveva percorso tante volte con il padre, soltanto che era vuoto, scarsamente illuminato e ondeggiante, con forme cupe che lo dilatavano da entrambi i lati.Sembravano persone intrappolate che cercavano di uscire dimenandosi convulsamente, ma tastando solo un'elastica muratura di gomma che le rimandava indietro.Pensò che si trattasse di un incubo, così tentò di riaprire gli occhi e quando lo fece il tunnel era ancora lì, pieno di improvvisi lamenti e con il rimbombo di pesanti passi in lontananza.Il panico gli si insinuò nel sangue che faceva pompare il cuore in un'aritmia truculenta; voleva piangere, desiderava i suoi genitori e voleva gridare, cercare aiuto, ma le labbra apparivano come cucite da cotone invisibile.I lamenti, suoni animaleschi per nulla umani, gli torturavano il cervello, mentre passi ponderosi s'avvicinavano.Smosse la nuca di quel tanto d'accorgersi che il macigno appuntito era giunto quasi a sfiorargli la fronte, poi starnutì di nuovo cacciando fuori un grumo grigiastro e il tunnel sparì.S'inumidì con la lingua le labbra screpolate, assaporando il gusto rugginoso del sangue e quello agro del muco.Aveva sete, tanta sete e neanche più la forza di respirare.
<<Da quanto tempo stava là sotto?>> si chiese la parte ancora lucida del suo raziocinio.Stava per morire, non ce l'avrebbe mai fatta, ormai a soli sette anni già sentiva la morte chiedergli la mano per l'inevitabile valzer macabro sulla pista dell'incoscienza.
<<Perché tutto questo?Perché proprio a lui che non aveva mai fatto del male a nessuno?Era solo un bambino!>>.
Perso in quelle riflessioni, s'assopì.
 
Si svegliò di colpo nel tunnel, dove i lamenti erano divenuti più alti e i passi della "cosa" sempre più udibili.Accennò un vano movimento, ma i muscoli avevano perso vigore, mentre constatava, atterrito, che la fronte stava avendo un debole contatto con qualcosa di tagliente.Un esiguo rivolo di sangue vi si fece strada sopra terminando sul sopracciglio sinistro e...un suono squallido, simile alla rottura simultanea di una dozzina d'uova, richiamò la sua attenzione.Una sagoma scheletrica e putrescente venne fuori dalla parete destra del tunnel, indirizzandosi verso di lui.La corporatura era quella di un essere umano affetto da una moltitudine di malformazioni, ricoperto da un mantello gelatinoso molto prossimo al liquido amniotico.Stentava a camminare, arrancando continuamente.Decine e decine di SPLASH repellenti, intanto, riempirono il tunnel e altre figure curve e annaspanti vennero alla luce diffondendo i loro strazianti lamenti.Si dirigevano tutti verso di lui, anime dannate in cerca del loro cibo, finché uno strepito disumano rintronò nel luogo generando miriadi d'echi spaventosi.
<<Il bambino è mio!>> sembrava volesse asserire.
Si zittirono, fermandosi.Ora i passi erano vicini, molto vicini e fauci enormi si materializzarono improvvisamente nell'aria azzannando, man mano che avanzavano, tutte le creature vaganti che si trovavano sul suo cammino.
Il macigno scivolava e -...fin quando non giunse sopra di lui e mostrò i denti mastodontici, incrostati di sangue ancestrale...-gli stava per perforare la fronte, ma-...la gola, un abisso profondo, era delineata da una sorta di sole nero su cui brulicavano giganteschi vermi...- un poderoso raspare annientò il tunnel e due mani umane gli accarezzarono il volto.Altri uomini s'affrettarono a liberare il suo corpicino dalle rovine di quella che una volta era stata la sua casa, lo sollevarono tra le braccia e lo allontanarono dall'oscura ballerina che per più di un giorno aveva provato a danzare con lui.Il bambino sorrideva, frastornato, ma contento che l'orco se n'era andato via e che i raggi sfavillanti del sole finalmente tornavano a riscaldarlo.
La gente che lo circondava era felice perché riponeva in quel viso la speranza, l'unico eterno sogno che ancora li spingeva a non arrendersi.L'uomo che lo aveva salvato, invece, restò inginocchiato sul posto, con il macigno nelle mani, come ipnotizzato.Gli era parso, per una sola frazione di secondo, di vedere dei grandi vermi sulla pietra, in un angolo sporco di sangue, corpi molli svaniti ancora una volta nelle minute fenditure dei tempi.


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