Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Matteo Galdi
Con questo racconto ha vinto il decimo premio del concorso Angela Starace 2002, sezione narrativa
IL DISPENSATORE DI SOGNI
 
Se ne stava andando, ormai sentiva che non si trattava più soltanto di un crudele presentimento.
Non era riuscita a proferire un suono quella sera, neppure quando il suo amato bambino le aveva mostrato il disegno era stata capace d'animarsi.Si era limitata a sorridergli, anche se solamente distendere le labbra aveva richiesto uno sforzo enorme.
La sensazione che la bestia avanzasse a piede libero, le fauci spalancate pronte ad azzannare quel poco che le era rimasto, si stava trasformando lentamente in qualcosa di concreto, di quasi palpabile.
Risalire all'ultima volta che era scesa dal dannato letto in cui giaceva, risultava essere un compito mnemonico sul serio arduo da risolvere.Il corpo scarno avvolto nelle lenzuola, divenuto oramai un leggero fardello insensibile, si stava uniformando sempre di più ad un mucchietto di carne estraneo ai residui di materia cerebrale rimasti.Non sapeva se fossero passati giorni o settimane, uno dei pochi ricordi limpidi ancora intatto, riguardava il viso smunto che aveva osservato nello specchio chiesto con insistenza al marito tempo addietro.
Due occhietti acquosi l'avevano fissata da orbite così sprofondate da sembrare due puntini neri in lontananza.La fronte raggrinzita, alta si estendeva su di un cuoio capelluto fino a quattro mesi prima invaso da una chioma di capelli biondi.Le guance emaciate e le labbra screpolate, infine, avevano manifestato senza alcun ritegno i pietosi tratti di un volto in preda alla desolante metamorfosi generata dalle gravi malattie.
Quell'immagine non smetteva di torturarla, neanche adesso, distesa in un letto fungente da casa, con gli arti inabissati in una staticità irreversibile.
Le mancava la forza di muoversi, ma soprattutto l'impulso di un cervello incapace di dettare le più banali funzioni vitali.Faceva fatica perfino a pensare, ricordare, tenere gli occhi aperti come in quel momento, lo sguardo perso in un concerto d'ombre danzanti sul soffitto cadaverico di quella deplorevole camera vuota d'ospedale.
La cognizione del tempo rappresentava una semplice inezia e se non fosse stato per
l'orologio a muro appeso alla parete che aveva di fronte, molto probabilmente sarebbe stata l'oscurità a comunicarle l'avvento della notte.
Il marito le era stato vicino per l'intera serata e spesso, quando lei riusciva ancora a parlare, si era fermato anche per la notte, poi con il passar dei giorni era peggiorata e i medici l'avevano trasferita sotto gli assidui controlli del reparto di terapia intensiva.
La bestia, infatti, la desiderava sola e indifesa, senza nessun allaccio emotivo, adorava osservarla annegare nel suo dolore, stritolarla tra le sue grinfie mentre si diffondeva famelica in cerca della sua meta.
A quell'ora, però, da un po' di tempo a quella parte, quando le lancette toccavano le dodici, le faceva visita una persona, un uomo speciale, unico nell'aiutarla a combattere la bestia.
 
Dalla finestra entrava un terso bagliore lunare.
Nel buio, con indosso la solita candida divisa, s'intravedeva la figura dell'infermiere ritta a capo del letto.
I lineamenti del viso, a causa dell'abituale e misterioso gioco di luci che accompagnava ogni sua venuta, risultavano sempre difficili da scorgere.La sua voce, però, restava lo stesso così soave da librarsi nell'aria simile a dolci note musicali di una rilassante sinfonia melodica.
<<Ciao!Come stai oggi?>> le domandò la sagoma immobile davanti a lei.
<<Continua a divorarmi>>.
Il tono, insieme alla riacquistata consapevolezza di avere un ago in un braccio, due tubicini infilati nelle narici e una serie di elettrodi sparsi sul torace e sul capo; ritornò ad essere nitido pur se in realtà la gola non emetteva nessun suono.
<<Non preoccuparti, i muri corporei raffigurano solo la barriera difensiva più sottile di ciò che hai dentro.Non riuscirà mai a varcare i confini del tuo mondo, s'addentrerebbe in un territorio sacro>> cercò di confortarla l'uomo senza accennare un minimo movimento.
<<Ho paura…paura non della fine, ma del dolore che proverà il mio bambino, mio
marito e...>> s'arrestò di colpo, sorpresa dalla gioia e l'amarezza recatole dal sentirsi scivolare una calda lacrima sul viso.
Nelle visite precedenti, specialmente quando l'uomo le concedeva l'inappagabile
dono di ricordare, non aveva mai vissuto quell'emozione. Riassaporarla, attivò una
struggente nostalgia che non le impedì comunque di gustarsela fino in fondo.
<<La fine è una brutta parola se viene legata al dolore e poi non eri tu quella che diceva di lottare, di resistere fino all'ultimo spicciolo di coscienza?Perché questi pensieri, perché preoccuparsi quando hai concesso già tanto di tuo alla vita?>>.
<<Non so, è che sento che si avvicina e…hai visto il disegno che mi ha portato il mio bambino?Guarda quanto è bello>> gli suggerì additando la parete adiacente.
<<Ero in lui quando lo disegnava>>.
Un'improvvisa ventata di silenzio riempì la stanza.
<<Scusa, ma credo di non aver cap…ahi…to…ahi…>> tentò di interromperlo la donna, ma un lacerante dolore parve restringerle il cranio.
<<Chiudi gli occhi>>, le chiese gentilmente l'infermiere accostandosi al letto, poi, appoggiandole una mano sulla fronte:<<E' ora di allontanarci dalla bestia>>.
 
Nell'aria si percepiva un'umidità asfissiante.
Rinvenne nel bel mezzo di quella che sembrava una fitta nebbia: infreddolita, il corpo di nuovo roseo e rinvigorito da un'ottima salute.La camicia di notte azzurra, unico particolare che richiamava le sue vere condizioni fisiche, le si era appiccicata addosso come investita da una copiosa pioggia invernale.
<<Dove sono?>> domandò alla vacuità confinante.
Un trasparente mantello di spirali bianche l'avvolgeva in una silenziosa realtà senza senso, mentre dall'indiscernibile suolo su cui poggiava i nudi piedi, salivano intensi pennacchi fumosi che si disperdevano verso l'alto serpeggiando lungo le sue gambe.
Si fissò per un istante i capezzoli turgidi, poi, per avere un'ulteriore conferma che si trattasse solamente di un sogno, allungò una mano in direzione dei capelli e ne afferrò una ciocca.
C'erano e di sicuro mancavano anche i solchi delle cicatrici sul cranio, come era certa della presenza dell'infermiere.
<<Dove sei?>> chiese smorzando un sorriso e continuando:<<Lo so che ci sei e mi farebbe davvero piacere se mi spiegassi dove mi trovo>>.
L'aveva portata in tanti posti quell'uomo, guidata con la sua voce avvenente,
realizzato tanti desideri, ma più di tutto l'aveva aiutata a ricordare ed i ricordi non hanno prezzo.
<<Sei nella creazione del tuo bambino, quella in cui l'ho aiutato>> le rispose, poi un inusitato e terrificante sibilare cominciò a riempire l'aria circostante.
 
L'allarme della camera di terapia intensiva stava lampeggiando da circa una ventina di secondi quando i due infermieri piombarono nella stanza.Il giovane medico di turno vi giunse soltanto tre minuti dopo.
La frequenza dei battiti cardiaci della donna stava diminuendo, l'elettrocardiogramma composto da onde sempre più piccole.
<<La stiamo perdendo>> asseriva il dottore gettando svariate occhiate sugli strumenti situati nell'angolo che fiancheggiava il letto.
<<Defibrillatore!>> urlò in un secondo momento, gli occhi imperniati senza alcun motivo sulla parte della borsa per colostomia spuntante da sotto le lenzuola.
Lo sguardo nervoso del dottore corse di nuovo sui grafici, fermandosi improvvisamente su quello dell'encefalogramma.
Di primo acchito non se ne accorse, ma quando notò che l'operosità cerebrale contrariamente a quella cardiaca era in piena attività, le sue convinzioni scientifiche subirono un violento scossone.
Il cervello lotta contro questo dannato tumore ed il cuore…si chiedeva incredulo senza staccare gli occhi dal grafico.
 
Al di fuori della prospettiva biancastra in cui sostava il suo sguardo, s'innalzarono una serie di vorticosi manti ululanti le cui volute si estesero fino a circondarla.
<<Non avere paura, qui la bestia non può farti del male.Guarda, si libra nell'aria ma teme avvicinarsi alla tua nuvola…teme il tuo mondo>> la confortò la voce amica in quella sorta di sogno.
<<Nuvola?Come nuvola?Oh, Dio mio!Dicevi sul serio allora?Sono davvero sulla nuvola del disegno fatto dal mio bambino, questo intend…>> cercò di concludere, ma una luce accecante illuminò l'ambiente troncando sul nascere la sua reazione.
 
L'efferato turbinare dentro cui una forma oscura continuava a dimenarsi convulsamente sparì di colpo e, tra i radiosi raggi celestiali, scorse due figure venirle incontro.
 
<<Cristo!Se ne sta andando, mi passate o no questo dannato defibrillatore?>> inveiva contro gli infermieri il giovane medico di turno.
Le palpebre della donna, intanto, si mossero leggermente.
 
Le due figure dai contorni sfocati avanzavano nella luminosità frastornante.
La donna, seppure abbagliata dall'intenso fascio splendente, scrutò comunque un particolare molto importante: una delle due non superava il metro d'altezza e quando l'ambiguità della sua impressione finì col trasformarsi ad ogni passo che compivano in assoluta certezza, il tono dolce tanto desiderato tuonò nell'aria diramandosi in una miriade di echi melodiosi.
<<Nel posto in cui andrai nessuno più potrà portarteli via, perché vivrai nei loro cuori in una meravigliosa attesa di ricongiungimento>> proclamò, infine il volto di suo figlio e del marito le inondarono la visuale facendola rabbrividire di gioia.
Le tesero le mani e lei ebbe giusto il tempo di stringergliele prima di ritrovarsi di nuovo tra le quattro mura di un'animata camera d'ospedale.
 
Lo sguardo del giovane medico volava dall'elettrocardiografo, prossimo ad appiattirsi, a l'elettroencefalografo, finché non incontrò gli occhi azzurri della donna.
Sembravano due biglie luccicanti perse nell'invisibile mare dell'incoscienza, ma una parte di lui credeva in qualcos'altro, in qualcosa che di certo andava al di là di una semplice diagnosi.
Gli passarono il defibrillatore e lui scaricò nel gracile corpo una prima scossa a due
mani, due scosse…quattro scosse, però il grafico dell'elettrocardiogramma non accennò a stabilizzarsi.
 
Nonostante la stanza fosse piena di gente che continuava ad agitarsi forsennatamente, i suoi occhi non si allontanarono dalla figura folgorante impalata sulla soglia della
porta.Sprizzava luce da tutti i pori, tanto da non lasciare scorgere i tratti del viso, delle mani e dei piedi, le uniche parti del corpo a non essere rivestite dal tessuto
bianco che indossava.
Non si muoveva, eppure lei, ad ogni respiro ansimante, alimentato da un cuore stanco di combattere, la vedeva sempre più vicina.
<<Chi sei?>> bisbigliò cosciente come non lo era da tempo, il tono soppresso dal tramestio che l'attorniava.
<<Colui che allevia il dolore…il dispensatore di sogni>>.
In quel momento udiva distintamente anche il nugolo di voci sopra alla sua testa:
<<La perdiamo…riproviamo con il defibrillatore…poverina…il defibrillatore…la stiamo perdendo…la stiamo perdendo…>> ripetevano pregne di preoccupazione.
<<Non darti pena>> proseguì il tono melodioso, amico di tante notti, avvicinandosi al letto:<<Ora verrai con me, ti porterò su una nuvola dove risplende un sole eterno e non esiste sofferenza>> disse mostrandole finalmente il volto.
Il viso del suo bambino, di suo marito, dei suoi genitori e di tutte le persone che aveva amato, si susseguì in una meravigliosa sfilata di sorrisi, poi una mano le si posò dolcemente sugli occhi e una luce raggiante l'avvolse nel suo calore.
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 Ins. 10-01-2003