Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Maria Carmela Forlenza

Con questo racconto ha vinto il settimo premio del concorso Club Poeti 1999, sezione narrativa

 
 
Il buco
 
Si sporse oltre il ciglio erboso, ansioso di capire cosa stesse producendo quei rumori. Sentiva lo stomaco torcersi, la colazione di quella mattina che tentava di guadagnare la luce con la violenza del neonato durante il parto.
Quando finalmente la vertigine si esaurì e il mondo tornò ad avere le sue leggi, impose alla mente di abbandonare il margine a cui era incatenata. Dovette lottare.
Lasciò che il suo sguardo abbracciasse le villette che si gettavano a picco nella campagna, senza che nulla di quel paesaggio penetrasse al di là degli occhi stanchi. Da qualche tempo si rifiutava di prendere parte a ciò che accadeva fuori da sé, ed era come se vedesse ogni cosa per la prima volta. Era un estraneo.
Tornò ad avvicinarsi al buco nel terreno. Doveva guardare. I due incerti passi che fece in quella direzione gli parvero eterni come la vita, o forse come la morte.
Tentò di ricordare come fosse iniziata la sua attesa e, per un attimo, quasi non vi riuscì. Poi si vide fermare l'auto sulla ghiaia che soffocava la strada e allontanarsene velocemente. Rientrava dall'ufficio, due giorni prima.
Era sembrato che la terra stesse tremando sotto i suoi piedi, ma aveva continuato a camminare. Forse l'inquietudine che lo divorava da qualche tempo si stava prendendo gioco di lui, beffandosi dei pensieri e dei ricordi, spazzando con forza ciò che era stato.
Facendo appello a tutto il coraggio che aveva racimolato alla questua di se stesso, si era sporto oltre il ciglio erboso. Ma non aveva visto nulla. Solo la terra, e il buio che riempie tutti i buchi del mondo.
Non aveva visto nulla ma aveva sentito la gravida umidità che proveniva da quel budello inondargli la pelle del viso, come un umore maleodorante. Interno.
Da allora aveva evitato di guardare ancora nel buco. Eppure non era riuscito a ignorarlo. La mattina, prima di andare al lavoro, passava di là e si sedeva a terra a meno di un metro dall'apertura. E aspettava. La sera ripeteva accuratamente lo stesso cerimoniale, come se quelle mosse gli fossero penetrate nella carne oltre che nella mente.
Si riscosse dal corso dei pensieri e arretrò, impaurito dai rumori che originavano dalle viscere della terra. E ripeté quella danza come una marionetta. Avanti, indietro, avanti. Se qualcuno lo avesse visto compiere quei gesti, avrebbe semplicemente pensato che stava vivendo. Come tutti.
Alla fine si lasciò cadere, incurante delle promesse a cui non poteva mantenere fede. E d'un tratto si accorse di avere una scarpa slacciata. Da quanto era in quello stato? Perché non se n'era accorto prima? Si chinò lentamente, di colpo più vecchio di dieci anni e si allacciò la stringa. Tra le dita il tessuto delle sue pantofole gli parve quasi inconsistente. E anche qualcosa che stentava a identificare, all'interno di sé, gli sembrò avere la stessa consistenza.
Sentì un rumore smorzato provenire dalla sua destra. Qualcuno, in una delle villette in fondo alla strada, si stava occupando dell'erba del giardino. Riuscì a malapena a scorgere in lontananza una sagoma scura che si muoveva al rallentatore dietro a una carcassa metallica.
E d'improvviso seppe perché quel buco era là; rappresentava il buio in cui versava, le tenebre che l'avviluppavano. Puntò i gomiti a terra e prese a spingersi con le gambe. Voleva lasciarsi la voragine alle spalle, richiudere il volume polveroso che aveva aperto per errore.
Ma non spinse nella direzione del piccolo faggio accanto a cui aveva parcheggiato l'auto. E non spinse verso il masso su cui sedeva spesso in quei giorni, stropicciandosi nervosamente le nocche come in chiesa, quando attendeva il sollievo che seguiva alla Confessione. Spinse verso la mancanza, verso il buco. E allora decise che non avrebbe chiuso gli occhi, che avrebbe accettato l'umidità satura degli odori della terra che esalava dal basso. E alla fine arrivò sul margine estremo del mondo.
'Ti butterai?' gli chiese la flebile vocina di sua moglie, morta l'anno prima di cancro, quando ancora non aveva venticinque anni. La cosa più bella che la vita gli avesse concesso. E se n'era andata. E la sofferenza era stata atroce.
'Rispondi. Ti butterai?'
«No, Angela. Voglio solo vedere» si sentì dire. Forse. Non lo sapeva ancora.
'Ti butterai'.
Raddrizzò la schiena e contrasse i muscoli del viso, poi si sporse nel vuoto. Per la seconda volta in due giorni, assaggiò l'alito caldo che si alzava dal buio.
Un sacco. Un sacco e una mano.
Si ritrasse istintivamente per far spazio allo sconosciuto che si stava faticosamente issando fuori dalla voragine, in lotta contro la forza di gravità.
«Chi sei?»
L'uomo alzò il capo, poi prese a scuotersi la terra dagli abiti. Raccolse il sacco arrotolato fermato con uno spago e lo sciolse, poi lo stese a terra e si sedette. Solo allora era sembrato rammentare la sua domanda. «Sono uno che esce da un buco».
«Questo l'ho visto. Ma chi sei?»
«Sono uno dei tanti e sono uno per i tanti».
Lo strano individuo indossava una camicia di jeans e un paio di pantaloni di velluto crema. Aveva tante piccole rughette attorno agli occhi e la pelle chiara di chi non passa una giornata all'aperto da molto. Ma sorrideva cordialmente e pareva divertito dalla situazione, anche se il suo sguardo era preda della stanchezza.
«Si esce dai buchi?» gli chiese d'acchito.
«L'uomo esce dai buchi» fece quello.
«Non tutti escono».
«Tu no?»
Abbassò il capo, vergognandosi vagamente di se stesso. Al contrario lo sconosciuto parve soddisfatto di quanto si erano detti, così si alzò e rimboccò le maniche della camicia troppo grande. Pareva che tutta l'energia del mondo gli appartenesse, mentre si chinava e afferrava il sacco per i bordi. Lo fece a metà e prese ad avvolgerlo. Poi si guardò attorno in cerca dello spago che lo aveva fermato durante la scalata.
«Non puoi andartene così!» gli disse, la gola stretta.
«Non sarai mica uno di quei dannati freudiani, vero? Quelli per cui buco uguale orifizio uguale vagina?»
Scosse il capo.
«Non è che sei uno che deve interpretare tutto, vero?»
«No», finalmente era riuscito a parlare. E doveva sapere. «Ma i buchi sono dentro o fuori di noi?»
«Ogni uomo ne ha qualcuno dentro e altri fuori. Alcuni sono collettivi, altri personali. E spesso quando credi di averne uno in te, capisci che altri ne hanno uno simile e che è un buco di interesse sociale. Altri buchi invece sono solo tuoi».
«È difficile»
«Guarda gli artisti, loro sentono i buchi che stanno dentro la loro anima e percepiscono con chiarezza quelli che stanno fuori, di cui sono parte. E passano la vita a confrontarcisi, per indicarli a noi».
Ripensò alle tele che non toccava da quando era morta Angela e l'angoscia gli impedì di fare altre domande.
Allora l'uomo lo fissò e disse: «Aspetta l'acqua».
«C'è l'acqua nei buchi?»
«No, i buchi sono asciutti. Ma quando qualcuno esce da un buco, a volte sgorga l'acqua».
Diede uno sguardo alle profondità della voragine, domandandosi se non lo stesse prendendo in giro. «Che faccio quando vedo l'acqua, devo bagnarmi? Ma arriverà l'acqua?»
«Forse. Se questo è il tuo buco».
«Era il tuo?»
«Lo è stato» concluse l'uomo. Poi raccolse il sacco e, portandosi una mano agli occhi, se ne fece scudo per scrutare l'orizzonte. Alla fine si voltò e si allontanò, lasciandolo solo come non si sentiva da anni, a guardare quella figura che diventava piccola piccola e poi spariva. Un attimo dopo, anche il rumore del tagliaerba cessò.
Era tornato il silenzio.
Si sedette comodo a non più di un metro dal buco e si mise ad aspettare.
 

 

Classifica Concorso Club poeti 1999 sezione narrativa
 
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inseritoil 28 magio 1999