Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Maria Lurini

Con questo racconto ha vinto il sesto premio all'edizione 2007 del Premio di Scrittura Creativa Lella Razza



Lontano dall'Isola che non c'è

Le due donne, in auto, tacevano. Loro, che di solito non riuscivano a stare zitte un istante ogni volta che stavano insieme! Diverse in tutto, la vita le aveva accomunate nel destino: stesso lavoro, stessi guai. Simili persino i mariti che, "scaduta la garanzia" di un amore adolescente ed intenso, non ce l'avevano fatta a restare a casa e se ne erano andati con donne più giovani, forse più belle, certamente più feroci. Loro, feroci non erano mai riuscite ad esserlo. Noiose, rompiscatole, magari un po' stronze, questo si, ma feroci mai. Eppure ci avevano provato. Come quei fumatori che con promesse solenni decidono di smettere e dopo due ore riprendono così loro, ogni tanto, giuravano di cambiare, di diventare come quelle là, che camminavano sul cuore del mondo, persino sulla pelle dei loro figli, pur di ottenere quello che volevano.
Poi, però, non tanto per cattiva volontà o per grandezza d'animo, desistevano. Ma come fai ad essere spietata se la tua primogenita deve fare l'esame di Stato o c'è da organizzare il Natale in famiglia?! Sotto sotto loro, feroci come le altre, le "ladre" che avevano rubato i loro uomini deboli, non se la sentivano di diventare. Forse perché quelle, più disperate, non avevano nulla da perdere, o non sapevano di perderlo, loro invece... Eleonora, sghignazzando, in una delle loro "serate delle ragazze" (alla veneranda età di cinquant'anni, solo per quelle serate sceme ci sarebbe stato da ricoverarle!), davanti ad un bicchiere del limoncello fatto da lei, affermava con il sussiego dei brilli di ogni tempo:
«Sarà che, comunque, la nostra vita l'abbiamo avuta, compreso l'amore vero per un uomo, corna e sc...te comprese! Sarà per questo che non riusciamo ad essere abbastanza cattive!».
Aurora, più incline alla sbornia depressivo-filosofica, sottolineava:
«Sarà che non ne siamo capaci e basta o, forse, che riusciamo a vivere in modo adeguato il nostro impegno e la nostra dignità». Di solito, a questo tipo di affermazioni, se non erano del tutto sbronze, reagivano con una esplosione di risate, di quelle che devi correre subito in bagno, soprattutto se hai già compiuto i cinquanta. Loro erano così, non riuscivano mai a prendersi del tutto sul serio. Questa loro caratteristica ad Eleonora, la più romantica delle due, ricordava una poesia che parlava di una donna piena di contraddizioni che riusciva a sopravvivere alla insensibilità ed alla solitudine aggrappandosi ad un piccolo ciondolo portafortuna. Un po' matte quelle due lo erano sempre state e adesso, con tutte le rogne ed i lutti che, come ad ogni umano essere, erano caduti loro addosso a gragnola, avevano imparato a viaggiare un po' come i pistoni dei motori: una volta Eleonora su, si trascinava l'altra un po' ammaccata, un'altra volta Aurora, più in forze, sosteneva Eleonora. Ora era il turno di guardia di Eleonora, infatti era lei che guidava. Pochi minuti prima era giunta la notizia: Luigi, l'ex marito di Aurora, aveva avuto un infarto. Uno di quelli tosti, coi fiocchi.
Nell'abitacolo l'atmosfera era così densa da tagliarsi col coltello: una fetta per i ricordi, una per il dolore, una per la paura di Michela, la figlia di Aurora, che se ne stava a mangiarsi le unghie con gli occhi sbarrati, raggomitolata in un cantuccio del sedile posteriore. Arrivavano intanto le prime telefonate di parenti ed amici preoccupati. Un lontano parente (purtroppo qualcuno non è mai abbastanza lontano!) telefonò per dire che Luigi il pronto soccorso se lo era fatto da solo perché la sua donna, da qualche giorno, lo aveva scaricato. Telefonò, tra gli altri, anche qualche vecchio amico. Per intenderci, uno di quelli che, in tutti i dolorosi anni del distacco, quando Aurora era lì lì per uscir di testa e Luigi andava in giro come un adolescente tardivo e frastornato, si erano fatti i fatti loro, magari sentenziando un po'. Ora telefonavano per sapere. Arrivarono al grande ospedale. Luigi era sotto i ferri. Nella sala d'attesa sedevano sua madre in lacrime e sua sorella, attonita dallo spavento. Dopo un'ora Luigi uscì, era ormai fuori pericolo.
"L'altra", che all'arrivo delle due amiche si era arroccata, con piglio da pirata, in una postazione di difesa nel centimetro più vicino alla sala operatoria, attivò, con grande efficacia frutto di anni di allenamento all'arrembaggio, immediate manovre di difesa del territorio conquistato, marcando fisicamente la barella appena uscita con tutto il bottino. Eleonora e Aurora, abituate a comunicare con gli sguardi, obbedirono al loro programma interiore: c'era ancora da calmare Michela, in pieno marasma, e rassicurare Umberto, l'altro figlio, che si stava scapicollando disperato da Roma dove si trovava per motivi di studio. Dopo un'oretta Eleonora e Aurora erano in macchina, sulla strada del ritorno, sole. Quella cretina di Eleonora se ne uscì con una delle sue solite battute infelici: «Il Santo protettore dei puttanieri è molto potente!». Si fermarono, per ricompattarsi un po', a casa di Aurora. Davanti ad un caffè bollente e troppo lungo (Aurora non era mai stata una cima coi caffè!), finalmente se la piansero tutta, ringraziando in cuor loro quell'anonimo Santo a cui era toccato l'ingrato compito di proteggere i Peter Pan tardivi, i loro bimbi sperduti e le loro Wendy un po' vecchiotte.

Maria Lurini


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Lella Razza 2007

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 Ins. 05-04-2008