Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Maria Gabriella Oliva
Con questo racconto ha vinto il nono premio al concorso
Age Bassi - Castiraga Vidardo 2005, sezione narrativa

«L'ora del tè»

La cucina della nonna odorava sempre di torte appena sfornate e di pane. Le sue mani erano vecchie e rugose, ma sapienti al punto tale da saper miscelare tutti gli ingredienti delle sue deliziose ricette, così, istintivamente. Sapeva quali erano le quantità giuste, senza servirsi di misurini, bilance o altri strumenti. Quelle stesse mani che sapevano creare dei capolavori di delizia, erano in grado di ricamare, cucire, curare l'orto. Mani d'oro. Io e mia sorella passavamo molto tempo con la nonna perché i nostri genitori lavoravano, così da quando avevamo iniziato la scuola, la corriera ci lasciava a casa sua. Abitava un po' lontano dal centro, in una casetta immersa nel verde. Lì aveva vissuto da quando si era sposata, aveva partorito i suoi tre figli e aveva atteso invano il ritorno di suo marito dalla grande guerra, come la chiamava lei. Quella casa era stata testimone silenziosa della vita dei suoi abitanti, che lì avevano amato, pianto, gioito e sofferto. Insomma lì avevano vissuto la vita con tutte le sue sfaccettature.
Quel nonno che non avevamo mai conosciuto si chiamava Giovanni ed era stato uno - dei tanti soldati arruolati e mandati nei Balcani. Mia nonna non sapeva dove fossero i Balcani, ma per lei erano un luogo lontano e ostile, che per tanti giovani aveva significato solo dolore e morte. Il nonno era rimasto lì molto tempo, poi era stato catturato e mandato in un campo di concentramento in Germania, lì era morto. Forse di stenti, forse di fame, forse di malattia. La nonna non l'aveva mai saputo e non aveva potuto avere neanche una tomba su cui piangere.
Non era la sola vedova o madre senza questa consolazione. Io e Rossella, mia sorella, uscivamo da scuola alle quattro in punto e arrivavamo a casa di nonna mezz'ora dopo. Papà le aveva comprato una cucina economica, ma lei non si era mai rassegnata a perdere la sua bella cucina a legna. Sul fornello un bollitore con l'acqua calda fischiava e, appena entrati, avevamo solo il tempo di baciarle la guancia prima che ci spedisse a lavarci le mani.
Eravamo grandi, ma ci trattava sempre come bambini Poi versava il te e ci metteva davanti quello che aveva preparato al mattino; le focaccine, la torta di mele, la sbrisolona. E, mentre noi facevamo merenda, lei iniziava a preparare la cena. La cucina aveva un grande tavolo al centro e lì la nonna tagliava, miscelava, impastava. - Quando io ero giovane non si pensava ai video giochi, al calcio o alla roba di marca. Quelli erano tempi duri e si combatteva la fame, la povertà, il fascismo e la guerra.
Per vent'anni abbiamo sofferto prima di levarci quel giogo - le sue parole erano un monito burbero per noi. - Pensate a vostro nonno. È stato chiamato a combattere una guerra che non voleva ed è stato mandato tra gente ostile che vedevano in lui, non un padre di famiglia e un valente artigiano o un uomo buono che non sapeva nulla della guerra, ma solo un nemico. È morto senza sapere perché, senza una ragione - Le parole erano ancora amare. Non aveva dimenticato. Come poteva dimenticare? Il nostro papà non aveva conosciuto suo padre, la nonna lo stava aspettando quando lui era andato via. Proprio in onore del marito la nonna aveva dato al figlio lo stesso nome del padre, Giovanni. - È morto in Germania, vero? - La nonna fece di sì col capo. Aveva vissuto la guerra e aveva sempre cose importanti da raccontarci. E dai suoi racconti ricavavamo sempre la stessa morale. La guerra è priva di senso e niente può giustificarla. Non ci sono vincitori né vinti. Solo morte, dolore e distruzione. Mia nonna portava ancora il lutto dopo tanti anni. - Sì - ripetè. -
Riuscì a mandare una cartolina non so come e dopo tanto tempo, finalmente, avemmo sue notizie. Quanto ho pregato insieme alla vostra bisnonna per il sospirò, come se avesse ancora un conto in sospeso con Dio. - Lui e altri soldati erano stati catturati e mandati in un campo di concentramento in Germania - Avevamo sentito quella storia un milione di volte, ma era sempre come sentirla per la prima volta tanto era terribile. La nonna non voleva che noi dimenticassimo, quindi riprese il suo discorso come tante altre volte. - Non sapevamo neanche cosa fosse un campo di concentramento. Certo, avevamo sentito parlare della sparizione degli ebrei, ma chi poteva mai immaginare tutto quell'orrore? - Fece una pausa, come un segno di rispetto per le vittime dell'olocausto. - Poi a mio padre venne in mente di chiedere aiuto ad un soldato tedesco. Un giovane tenente che mio padre aveva conosciuto e con il quale aveva stretto amicizia. Mio padre era guardiano della riserva e i tedeschi sapevano che lui teneva sotto controllo il pescato - Parlavate con i tedeschi? - la interruppe Rossella. - Non erano ragazzi cattivi, anche loro si chiedevano perché venivano qui a morire.
Anche loro lasciavano la casa, le madri, le mogli e i figli - Era questo l'equo tributo a tanti giusti, perché la morte e la guerra non conosce nazionalità. -
Questo giovanotto avrà avuto ali'incirca la stessa età del nonno. Mio padre gli chiese da dove venisse la cartolina. Il tenente spiegò a mio padre che rischiava la fucilazione per tradimento se avesse parlato con noi, quelle erano notizie che il regime non voleva far trapelare - Allora come faceste a sapere? - chiesi.
- Alla fine però si convinse e, pregandoci di non farne parola con nessuno, ci raccontò la verità. Ci disse che veniva dalla Germania e che il mio Giovanni si trovava in un campo di concentramento.
Fummo felici di sapere che era vivo, che non aveva fatto la fine di tanti lì nei Balcani - Ho pensato che fosse un segno, che Giovanni sarebbe tornato presto.... Chi poteva immaginare? - Si chiese come se ancora non trovasse una risposta. - Tanti orfani, tante vedove, tante madri da consolare. Un paese distrutto, anzi un continente in ginocchio - Ma il dolore non era prerogativa di una parte sola, tanti avevano sofferto. - Come lo eravamo noi, come lo ero io. Una delle tante barchette nel mare in tempesta - I nostri libri di storia giacevano abbandonati sul tavolo. Che senso aveva studiare in quel momento? La nonna raccontava la storia, quella stessa storia che lei aveva vissuto e le sue parole penetravano in noi mille volte più in profondità una pagina studiata più volte. - A voi non deve mai capitare. Voi non dovete conoscere queste sofferenze - ci guardò alzando una delle sue mani - La mia storia, come tutte le storia vere, è una di quelle in cui la verità supera la più crudele fantasia. Due figlioli e un terzo in arrivo! Senza soldi né aiuti. Sono stata una vedova bianca per sette anni e lo sarò per sempre, perché nel mio cuore aspetterò sempre mio marito che ritorna - gli occhi le si riempirono di lacrime - La sera metto ancora una candela alla finestra e mi chiedo se c'era freddo o fame e mi chiedo perché, perché è accaduto tutto questo. Ma l'uomo peggiore è quello che non ha ricordo, perché finché si ricorderà non ci sarà un'altra catastrofe come quella... -

Maria Gabriella Oliva


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Age Bassi - Castiraga Vidardo 2005

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