Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti
Lidia Pieri
Ha pubblicato il libro
 
Lidia Pieri, Appunti di una favola incerta
Collana Le schegge d'oro (i libri dei premi) 12x17 - pp. 96 - L. 16.000 - Euro 8,26 ISBN 88-8356-181-3
 
 
Questa pubblicazione è stata realizzata con il contributo de "Il club degli autori" in quanto l'autrice è 11a class. nel concorso M. Yourcenar 2000 sez. narrativa
 
Appunti di una favola incerta
 
 
per te
 
 
Guardo
in fondo al cielo
stanotte.
Ma cosa cerco
in fondo al cielo?
Tra quelle stelle leggere e il buio che mi parla silenzioso, cosa c'è lì in fondo, oltre la notte, che mi chiama?
Forse solo perdersi, come dopo aver camminato per giorni lungo questo binario in questo strano deserto... poi ad un tratto quando le stelle sembrano cadere e il buio tremare diventa tutto chiaro, tutto scritto in un'antica poesia... tutto insieme parole e musica. Notte infinita...
È un momento. Si passa tutta una vita a volte senza chiedersi cosa si cerca nel cielo.
Ma cerchiamo quella cosa nascosta come l'unica che abbiamo...
Lungo questo binario nel deserto ho raccolto fogli bianchi come sogni ancora non sognati,
perduti
da viaggiatori
distratti
e stanchi passati per caso di lì. Li ho raccolti tutti in un sacco. Mi fermo allora stanotte. Per curiosità, per stanchezza se non altro, per sedermi sotto questo cielo su questo binario,
per contare
una
ad una
le stelle...
per sapere che questo è impossibile. Per amore. Per i pensieri solitari di una notte intera, oppure i sogni. Penso a quante sono davvero le stelle. Oltre quelle che so, che sono sui libri. Ricordo quelle parole, una sera. Ero seduta ad una caffetteria, vicino ad un prato che già si bagnava di notte.
Ti ricordi, luna assente?
Stavi lì lì sotto l'orizzonte. Qualcuno mi raccontò che ci sono posti dove se guardi un punto, nel cielo, questo dopo un po' si riempie di stelle, e tu non vedi più il cielo, non vedi quasi più la notte, in quel cielo. Da buon animale di città quasi non gli credetti... mangiavamo una fetta di torta alla frutta.
Tante stelle quanti sono i sogni che durano, si fanno a pezzi, tornano nella vita. Tante come quei desideri da cinque centesimi che cadono in un lago o si nascondono timorosi negli occhi chiusi della luna...
Fa freddo stanotte, più freddo delle altre notti. Forse perché sono ferma. Quasi addormentata.
Niente, mai, scompare senza lasciare tracce, e la terra restituisce un giorno o un altro la sua storia, o vendetta, terra o sabbia di un deserto straniero. Così voglio leggere nei miei pensieri qualcosa per riempire questo sacco, pensieri raccolti in una vita o in pochi giorni lungo questo binario, mentre aspettavo un treno che ancora non passa, e che mi riporterà a casa, da qualche parte. Tante cose quasi da scriverci un libro... tante quasi per ricordarmi qualcosa. Quel sogno di Schumann, ad esempio. Perché non cominciare proprio da lì? Perché non farne teatro?
Non conosco le note. Nemmeno te. Ma lascerò il mio peso al silenzio assente di questa notte, e immaginerò
un palco vuoto,
un binario nella sabbia,
come questo qui... che a vederlo non sembra nemmeno vero. L'occhio di bue fissa un angolo, unica luce sulla scena. Siediti lì, come me adesso, con me, a gambe incrociate. Alza gli occhi al buio, e lascia che il cielo canti per te... immagina
un palco,
e un'anima
triste
vestita
di nero...
come un'ombra. Lasciati guidare.
Voglio lasciarti questo, prima di correre via.
 
A volte la vita non ti lascia altra scelta. Con la sola luce vecchia della luna come testimone. Come avere un paio di scarpette da punta e un palco vuoto, e non saperci ballare. Cominci a ballare.
 
Un sistema di luci potrebbe accendere una volta scura, di tessuto o cartone, punto per punto fino all'infinità di diamanti che ci sono qua sopra.
Quasi fossero
tasti
di un pianoforte,
scaffali
di una biblioteca.
Una tastiera infinita per le dita lontane del pensiero e del sogno, da Saiph e Rigel a Mirfach, come dal Do al Si. Basta più tempo perché il cielo si accenda di più. Tante stelle per un tono alto, un po' meno per uno più basso.
Quando arrivai a quell'appuntamento - accanto alla vecchia stazione, l'ultima prima del deserto - non avrei mai pensato di ritrovarmi qui stanotte,
quasi a rubare
vecchi segreti
dalla polvere...
in ogni caso segreti senza risposta...
Un altro foglio. Un pezzo.
Come quando si dice: - E allora non mi ricordo - ma ci si è solo chiusi in un posto la cui chiave è nascosta in qualche parte dell'anima. Come una bufera, che ci sconvolge e ci strappa il cuore a tal punto che non ce ne siamo nemmeno resi conto.
Forse è lì, l'anima d'argento. Forse la sua è solo una colpa da mille chilometri... forse la tua, o la mia, non è che una colpa da mille chilometri. La tua o la mia. Dipende solo da dove guardi.
E allora non mi ricordo, perché sono qui.
Però ho bisogno di un filo nascosto, per comporre questa trama segreta, che vive in un atto dopo un altro, secondo un ordine che non conosco, tra l'abbassarsi e l'alzarsi incerto di un sipario.
Potrei ad esempio davvero suonare le stelle, come tasti di un grande pianoforte.
Idea buffa, ma non pazza.
Provo allora a far riempire il cielo in un punto, e chiamo quel tasto Aldebaran. Lo chiamo Fa. Seguo poi una costellazione che non esiste. Finora.
Ho preso allora a caso dal sacco il primo atto che ancora non è scritto. Comincio da capo.
Una matita.
Un appunto,
come gli altri,
di una favola
incerta...
 
 
Atto uno
 
Un giorno un uomo venne dal mare, con la sua barca a remi... era un giorno in cui cadeva la neve sul mare, e la spiaggia era una pallida distesa di luce, con gli scuri steli degli ombrelloni chiusi... venne con la sua barca a remi, poco prima dell'alba, e batteva i remi nell'acqua quasi cantando solo pause...
La neve cadeva sui suoi capelli. Quel giorno passava un uomo sulla spiaggia, ai piedi scarponi pesanti, e in mano un ombrello. Camminava a fatica sulla neve, e vi lasciava grandi buchi neri. Nell'altra mano aveva una pala, e cominciava a togliere la neve accanto agli ombrelloni, maledicendo la caduta dei fiocchi d'argento...
L'uomo venuto dal mare nella notte di neve lasciava cadere i suoi remi come note su un pentagramma di acqua e la sua barca faceva piccoli giri a pochi metri dalla spiaggia. Sembrava esserci un gran silenzio nel mare, quasi come se quei colpi di remi facessero parte del silenzio stesso, o fossero essi stessi silenzio... teneva gli occhi chiusi, e non diceva niente. L'uomo venuto dalla spiaggia continuava a spalare la neve e ogni tanto si fermava per pulire la pala. La sbatteva con forza contro gli ombrelloni. Faceva un gran rumore. Guardava con sospetto quell'ombra nel mare tra la nebbia. Poi cominciò a urlare.
- Chi sei? -, ma nessuna risposta venne dal mare.
- Cosa fai? -, ma nessuna risposta venne dalla neve.
- Parla, accidenti a te! -, ma nessuna risposta venne da quella macchia che stava appena sorgendo tra le nuvole.
- Io ci lavoro qui, io ci cado a pezzi qui -, ma nessuna risposta venne dai remi.
- Leva questa neve, portatela via, accidenti a te! -, ma nessuna risposta venne dall'uomo.
- Cosa vuoi da me?, che ti chieda se mi porti con te? - ... l'uomo venuto dalla spiaggia si avvicinò all'acqua per vedere la faccia dell'uomo venuto dal mare...
- Che ti chieda se mi porti con te? -, ma nessuna risposta venne dal silenzio...
... poi l'uomo che venne dal mare aprì i suoi occhi e... oh che spavento per l'uomo venuto dalla spiaggia!, erano proprio i suoi occhi, ed era proprio il suo volto, ed erano proprio i suoi stessi sogni... negli occhi di quel volto da vecchio danzava ancora la vita a piccoli passi su scarpette da punta. Sopra i ciottoli, ma leggera come una farfalla...
L'uomo venuto dalla spiaggia non volle più vedere i suoi sogni persi nel mare, e tornò tra gli ombrelloni a spalare la neve. Spalò per minuti con la rabbia del primo uomo sulla terra di fronte alla neve. Poi si girò per chiamare l'uomo venuto dal mare ma questo era scomparso. Al suo posto, la si poteva vedere dietro le nuvole tanto era bianca, la luna. Per un secondo soltanto, il tempo di un pensiero. Per scomparire anch'essa, dentro il mare. E la neve... la neve non cadeva più... come una farfalla che cade in una pozzanghera, e muore.
Ancora oggi, ogni giorno che cade la neve sul mare, l'uomo venuto dalla spiaggia cerca l'uomo che venne dal mare e da lì se ne andò.
Quasi vede un'ombra, e una barca. Ma è solo per il tempo di un battito del cuore.
Non lo trova.
 
Sul palco intanto l'ombra si muove, cammina, quasi sconvolta, quasi a scatti, convulsa, quasi stanca. Cerca di ritrovare il senso del suo corpo. Del suo peso. Segue i binari, e racconta. Forse, sotto l'occhio di bue, sempre in quell'angolo, la scena continua, mima il racconto, lo parla.
Sta per finire l'acqua nella borraccia. Ho le labbra secche, e freddo, e paura degli scorpioni. Ma non ho sonno, perché ho dormito fino a sera, nella tenda. Non ho voglia di montarla di nuovo. Smetto di chiedermi quante ossa mi fanno male, quanta febbre ho, quanti appunti non riuscirò a leggere, a scrivere, quante stelle non conterò, quante note non suonerò, stanotte.
Se dovessi scrivere qualcosa per te, da essere messa in scena, comincerei così...
 
 
Atto due
 
"Solo una voce fuori campo... poi solo una scena...
... non ho lacrime negli occhi, solo l'ombra del mattino con il suo pianto... mentre cammino per strada camminano con me una vita che non ho vissuto e una sera malinconica che viene come in sogno e che ci appartiene fino al mattino, e fino nei giorni di pioggia... quando la dolcezza che ha assopito il corpo e l'anima rimane nell'aria come polline o nuvola... e un respiro fatto d'aria e di luce accompagna da anni la malinconia che scende di sera, da tanti anni, dalla prima volta che scese, era una sera di pioggia nell'universo, era la sera in cui tutto ebbe inizio, dal vuoto... solo dal vuoto...
l'ingresso del teatro...
un vuoto di malinconia e di silenzio, un lungo sospiro... niente altro... e un vagito... la nascita della prima stella... luce... solo luce... solo toni leggeri d'aria e di luce... il respiro di un sogno...
Cammino sul palco di legno ricoperto di foglie dai colori d'autunno, dietro la torre con la stanza buia è ancora notte, o appena mattina, le luci si tingono di rosso sul fondo della scena, e io cammino con gli occhi bassi, in attesa di passi conosciuti...
i passi delle ore che mi trascorrono addosso, delle emozioni che mi passano attraverso, nel sangue rosso, rosso come la luce del mattino, cupo come la luce della notte, un incontro tra corpo e anima, una bianca passione o una preghiera... rosso come le vene delle foglie secche che pulsano mentre cammino... i passi conosciuti ora, a interrompere il silenzio improvviso dal respiro dell'aria...
e all'improvviso un applauso, e qualcuno, un volto dal buio mi dà una chiave di ferro, e corre via, scomparendo tra le quinte...
fantasmi di nebbia del tempo e supporti di ferro per le torce, intorno, tutto intorno, i muri lisci ti stringono, gli scalini di marmo perduti nei secoli, cento e poi cento e poi cento, sotto il passaggio sempre più stretto verso la torre, la torre nera, nelle nebbie dell'oblio e dell'oscurità, ancora nebbie, nebbie di buio improvviso, intorno, intorno agli occhi, intorno al collo, ti toccano la pelle con la loro pelle di ghiaccio...
salgo di nascosto per la scala a chiocciola, che gira intorno, e gira intorno, e mi lascia... e mi porta fino ai doccioni, fermi verso la luna sotto il cielo chiaro, raccolti per caso dentro un ciottolo di tempo, perduti come quel cielo nell'oceano...
com'è bello perdersi...
salgo per la torre per la notte triste... solo una porta, piccola, di legno, e una serratura... devo far presto, prima che arrivi il giorno e che mi trovino qui. Il buio viene inghiottito dalla serratura, boccone dopo boccone, tutto il mondo precipita dentro questa serratura, dietro questa porta, mi rapisce... farei a pezzi la luna che schiarisce la notte con fuochi fatui e le nega la luce legata al suo trascorrere... giro la chiave nella serratura, e gli ingranaggi scricchiolano sotto i colpi del tempo. Uno scatto, un altro scatto, uno scatto... la chiave è bloccata, un senso di panico mi cade addosso, un leggero senso di anima come foglie nel vento, poi la notte... come cenere dispersa nel mare una chioma di luce e silenzio, di calma e oscurità...
dolce malinconia, che addormenta il corpo nell'anima e permette a un sogno di una notte di prendere fuoco...
faccio forza sulla serratura chiusa da tanti anni e un ultimo scatto in un tratto la libera... immobile nella notte, solo un respiro del tempo, immobile... spacco una fessura nel buio dalla vecchia porta, un fascio di luna entra prepotente nella stanza... la copro con l'ombra del mio corpo e tendo la mano verso la luce della notte che dorme nella stanza chiusa... chiudo la porta dietro di me, la chiudo a chiave e io sono dentro...
una voce dentro il mio silenzio racconta la sua storia come quel giorno... sono una goccia di pioggia, di nuovo, inghiottita dalla notte...
tutto intorno nella stanza è malinconia e oscurità. È luna, quella stessa che non avevo capito, quella stessa che ha il mio silenzio adesso.
Forse io stessa mi addormento, forse io stessa dormo... caduta dal cielo su una mela di foglie di nespolo e di albicocco...
cerco a tastoni qualcosa... trovo una scatoletta, di fiammiferi forse, e accanto una candela... uno dopo l'altro i fiammiferi sfregati contro la scatoletta accendono solo la parte di legno e si spengono in un soffio... mi fermo allora nella notte, e la lascio attraversare il mio corpo senza più resistere... un solo respiro... il fiammifero accende il fuoco e lo stoppino della candela...
sento comporsi un volto nella fiamma della notte... quel volto lontano che rideva e che piangeva, un giorno, sotto la pioggia...
Cauti i passi del giorno fuori dalla porta, in punta di piedi dopo un altro viaggio... con la sua tovaglia a quadratoni bianchi e rossi piena di ore e di lavoro ripiegata sui quattro angoli e legata a un bastoncino tarlato che tiene su una spalla, è arrivato anche oggi... si ferma e stanco scioglie i nodi della tovaglia, ne lascia uscire il mattino, dove ancora camminano le ore nei sogni addormentati... giro di nuovo la chiave nella serratura, una volta, un'altra ancora, un'altra volta e ancora una... e la porta è aperta sulla torre... di nuovo la luce del mattino mi acceca, e poi giù per le scale, di corsa, giù per la torre stretta e umida, per le scale di marmo, appoggiata ai muri freddi e scuri, e di corsa fuori dalla torre, attraverso il cortile del castello, complice la notte che sta per cadere con la luna nel giorno, senza essere vista, fino alla parte opposta del ponte...
nella notte senza stelle sono caduti sulla terra i sentieri del possibile e io li ho perduti... stringo forte tra le mani un pezzo di stoffa e la chiave di ferro...
poi senza voltarmi indietro sono fuori fino a perdermi dietro le quinte".
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