Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Lia Antico
Con questo racconto ha vinto il settimo premio all'edizione 2006 del Premio La Montagna Valle Spluga.



La mia Bella Addormentata


Il vento soffia tra le foglie, le gocce di pioggia picchiettano contro il vetro e John siede davanti al New York Times con occhi socchiusi. È lì, con aria assorta, che guarda suo nonno davanti al focolare, segue ogni parola e nota ogni piccola contrazione del volto, mentre legge il grande libro della Buonanotte. Ad un tratto suona il pendolo in salotto e il piccolo John si ritrova già grande a sfogliare un quotidiano e pensa: " È da tanto che non torno nella "happy house". Allora ripone il giornale e, dirigendosi verso la cucina, dice: "Margaret, vado nella vecchia casa dei nonni, non mi aspettare per la cena".
Dopo un paio d'ore di viaggio arriva in Tullytown, imbocca il viale dei faggeti e si ferma in Via Charles De Gaulle numero 5. Come da bambino, si avvicina al portone e suona il campanello, la porta si apre e immagina la nonna che gli viene incontro. Si divertiva molto in compagnia dei nonni, ogni giorno inventavano un gioco nuovo ed era difficile andare via. Quando c'era un forte temporale, si riunivano attorno al fuoco: il nonno raccontava le sue avventure da ragazzo, la nonna preparava una cioccolata calda e tutte le paure svanivano. Accennando un sorriso, si sfila l'impermeabile, siede sulla poltrona e tira fuori dalla tasca un foglio ingiallito.
Qualche giorno prima era salito in mansarda alla ricerca della camicia a quadri e, frugando nel vecchio cassettone, gli era capitata tra le mani una lettera. L'aprì e riconobbe con gran sorpresa la grafia di nonno Giovanni, ma preso dall'ansia di fare tardi alla riunione, la mise nella tasca e non vi pensò più... fino a quel momento.


Tullytown, 15 giugno 1985

 

Mia Bella Addormentata,
Che gioia rivederti, anche se è solo un sogno. Eri lì con quegli occhi grandi che mi chiamavi e, ancora una volta, mi hai appuntato un leggero sorriso in viso. Alla finestra mi è sembrato di rincorrerti, ma poi il vento ti ha portato via mutandoti in uno sbuffo di nuvole. Ho perso il conto dei giorni dall'ultima volta che ti ho visto.
Ricordo il rumore della nave che si staccava dalla terra ferma, i saluti e le lacrime dei miei cari quel martedì del lontano 1960. Con un fazzoletto rosso intorno al collo ero pronto a sfidare l'ignoto che si apriva davanti a me, lo sguardo si perdeva nel blu dove il cielo si confondeva con il mare. Fu allora che girandomi indietro ti vidi, bella e viva, illuminata dal sole. Per un attimo la nostalgia mi rapì e portò con sé sui pendii trapuntati di uliveti, tra i torrenti di montagna e sui verdi prati imbiancati di pecore. Poi con l'occhio basso giunsi fino al mio paesello, scoprii la mia casetta e dissi: "Quanto è triste il passo di chi, cresciuto tra voi, si allontana". Un filo di vento fece scendere veloce una lacrima e a pieni polmoni ripresi: " Ghiacciai, aspettate a sciogliervi, rondini, tardate e tu fiore, non affrettarti a sbocciare, quando tornerò, sentirò le voci delle acque chiamarmi, vi vedrò volare sopra la mia testa e ti regalerò alla mia bella".
L'America mi ha accolto bene, si è mostrata giorno dopo giorno con sembianze a me sconosciute. Nei ritagli di tempo ho imparato ad alzare lo sguardo fin lassù seguendo il profilo di un grattacielo, ho riposato all'ombra di un'antica sequoia e d'inverno ho pattinato sui laghi ghiacciati del Central Park. La vita aveva un sapore nuovo e dopo un incontro ha iniziato a chiamarmi Giò e mi ha stretto la mano fino ad oggi.
Una sera, rientrando a casa dopo il lavoro, come di consueto, appendo la borsa, mi rinfresco il viso e invece di preparare la cena, mi dirigo verso la finestra e appoggio i gomiti sul davanzale. Era stata una giornata lunga e faticosa e non mi andava di bazzicare in cucina, volevo solo osservare il mondo al di là del vetro. Ad una prima occhiata sembrava che ogni cosa fosse al suo posto: la gente che tornava nelle proprie case, le auto che scorrevano una dietro l'altra, le luci dei palazzi confondersi con le stelle del cielo. Tutto era come l'avevo sempre visto eppure sentivo che non bastava: qualcosa di forte e che prima era scontato mancava all'appello. Mi sei venuta in mente tu. Quando ero di là dall'oceano, bastava affacciarmi alla finestra e vederti fissa e chiara, illuminata dalla luna: la tua immutabilità riusciva a confortarmi, il tuo luccichio velava le inquietudini e sembrava quasi che mi sorridessi. Mi piaceva spiarti al tramonto e accarezzare con un dito il tuo velato e sinuoso profilo, ti osservavo di nascosto per ammirare la tua pacatezza e coglierne l'arcano segreto.
Tuttavia, arrivavi anche a sorprendermi. D'estate vestivi il rosso dei papaveri dalla corolla di carta velina tra l'oro del grano e sapevi di cereali appena macinati. Ogni anno la gente usciva dalle proprie case e veniva nei boschi e tu diffondevi danze di lucciole e mille profumi nella notte di mezza estate. In autunno ti ornavi di porpora e arancio in contrasto con le cortecce argentee innervate di muschi e licheni scuri. Assieme attraversavamo a cavallo la schiera predominante dei faggeti e le altre essenze della corte: gli aceri montani, i meli selvatici e i noccioli. Ai loro piedi giaceva un piccolo tesoro: ranuncoli e fiordalisi, narcisi poetici e orchidee selvatiche, di cui andavi superba. Ogni tanto intravedevi uno scoiattolo su un ramo raccogliere le ghiande e custodirle gelosamente nella sua tana, un piccolo antro scavato nella roccia. Camminando, la pioggia di foglie si tramutava in fiocchi che ti bagnavano il viso, d'un tratto ti avvolgevi con una sciarpa timida e tersa, dal caratteristico rumore della prima neve, e ti addormentavi: lì, dove le driadi dai bianchi petali sfidano le raffiche d'alta quota e tra i fiori alpini che splendono come diademi delicati e rari. Spesso venivo verso di te e ti sussurravo nell'orecchio le mie storie per risvegliarti, finché distese rosa e celesti di crochi ti solleticavano il capo e gli uccellini ti chiamavano con voci di primavera. D'incanto si aprivano davanti ai miei occhi esplosioni allegre e smaglianti di gemme, coraggiose violette sui prati da poco liberati dal lenzuolo nevoso e una cornice di verde tenero e innocente delle fronde. Come fili di un magico telaio mosso da un'essenza divina, partecipavo a questo spettacolo di colori di cui eri la protagonista.
Mi hai visto crescere, hai imparato a conoscermi e mi hai intravisto partire, come allora non so se ti rivedrò, ma porterò con me il tuo dolce profilo di donna. Grazie!


Tuo Giovanni



John chiude la lettera e durante tutto il viaggio di ritorno, le parole continuano a tornagli in mente, proiettando l'immagine di quei posti incantati.
"John, ti vedo pensieroso, va tutto bene?"- chiede Margaret appena lo vede rientrare.
"Margaret, mi è capitato tra le mani un piccolo grande amore, devo assolutamente parlarti". Seduti a tavola la ragazza inizia ad incuriosirsi e lui le comunica la scoperta di qualche giorno prima. " Il nonno amava raccontare di sé e delle sue avventure, ma non aveva mai accennato a questa donna misteriosa e da come ne parla sembra che si conoscessero da molto tempo. Insieme contemplavano il miracolo della natura e in silenzio godevano. Nella lettera la chiama Bella Addormentata e come un pittore la ritrae al susseguirsi delle stagioni"- continua John.
"Devono aver sofferto tanto alla partenza e i primi tempi non saranno stati facili per entrambi"- aggiunge Margaret, cominciando ad appassionarsi.
"A quanto ne so, non si sono più rivisti... forse solo nei sogni"- e, dopo una breve interruzione, John riprende tenendo la lettera tra le mani: "Dovresti leggerla per capirne l'intensità, le mie parole sono vuote in confronto".
La ragazza inizia a scorrere le righe e si delizia di ogni parola e alla fine dice: "Devi partire! Questa lettera appartiene a lei ed è giusto che sia tu a portargliela".
John, sorpreso, non sa cosa dire, ma in fondo ammette di essere rimasto affascinato dalle parole del nonno e non si accontenta di vedere solo con gli occhi dell'immaginazione: "Hai ragione, anch'io vorrei partecipare a quello spettacolo di colori, ma non so dove iniziare. Non saprei chi cercare." Subito Margaret risoluta risponde: "Beh torna indietro nel tempo, nella lettera tuo nonno dice di essere partito nel 1960 e, da quello che sappiamo, non ha più fatto ritorno nella sua terra natia. Cerca di ricordare le storie che ti raccontava da bambino, i nomi dei suoi amici e il paese dove è nato".
John chiude gli occhi, torna alle giornate piovose e ripensa a quei momenti. Dopo qualche minuto: "Ricordo delle gare di pesca che faceva in montagna con i suoi amici Guido e Mario e dei bagni nelle acque della sorgente del Vitello d'oro. Amava la montagna e andava fiero del suo paese perché si trova ai suoi piedi e ne porta il nome, s'illuminava quando nominava Montebello. Chissà se i suoi amici sono ancora in vita e come farò a trovare la donna misteriosa?" - e Margaret: " La chiave è la lettera, sarà tuo nonno a condurti da lei. Adesso va', prendi tutto quello che può servirti e parti finché il desiderio è forte e vivo".
John sa di contare sulla prontezza e forza d'animo di Margaret, ma non l'ha mai vista così decisa e piena di ardimento. Questo gli dà coraggio e lo accompagna per tutto il viaggio in aereo. Lassù non riesce a chiudere gli occhi eppure, guardando le nuvole, non può fare a meno di pensare a lei, la Bella Addormentata. Una donna che da sempre aveva convissuto nel cuore di suo nonno senza mai venire fuori in una frase, in un racconto, in un sogno. Ora è desideroso di solcare quella terra e di conoscere quel lato di vita, alla riscoperta di un mondo che pareva perduto.
Al suo arrivo dapprima trova un Abruzzo madreperlaceo dalle coste miti e decorato dai colori dei ciottoli marini, salendo percorre un Abruzzo striato dai vigneti e verdi campi delle dolci colline e infine scopre l'Abruzzo solitario della Majella e quello intarsiato dalla roccia del Gran Sasso. Nelle vie del paese si celano tanti abruzzesi, tante visioni e tante emozioni. Dalle mura traspaiono ancora i segni della quotidianità e le storie di diverse culture.
John si ferma a guardare un fabbro che lavora il ferro dando espressione alla propria creatività in una piccola bottega e, qualche passo più in là, un ceramista che con le proprie mani riesce a creare qualcosa di singolare. Vicino alla fontana osserva una nonna che, mentre ricama, tramanda alla sua bambina le storie raccontate dal vento che s'insinua tra le antiche e tenaci mura di Montebello. Dall'alto di una finestra sente cantare una donna che sbatte le uova e impasta diffondendo una leggera nebbiolina di farina.
" John, non dovresti lasciarti incantare dal paesaggio, ma indagare sulla vita di tuo nonno."- si rimprovera in un primo momento, ma poi riprende scuotendosi: "Le tradizioni sono parte integrante della vita e riescono a spiegare la faccia di un popolo".
Intanto, parlando tra sé, arriva in piazza e assiste al tipico spettacolo del mercato. "È l'ideale per far due chiacchiere qua e là e prendere confidenze con i paesani"- pensa ad alta voce.
Per tutta la mattinata fa domande in giro, conosce tante persone dalle più diverse personalità e gusta quelle delizie che si chiamano confetti, ma nulla si sa circa la Bella Addormentata. Alcuni ricordano suo nonno così: "Sì, quanto tempo è passato! Giovanni era quel giovane che col fazzoletto rosso scorrazzava tra i campi e tornava a casa dopo il tramonto del sole".
Stanco e spossato John si siede sul bordo di una panchina che si affaccia su un dirupo mostrando un fianco della montagna e fissa un punto lontano, quando d'un tratto si avvicina un anziano signore dall'aria interessata che domanda: "Che spettacolo! Voi avete l'aria di qualcuno che viene da molto lontano, lo leggo nei vostri occhi. Sì, fa uno strano effetto la prima volta. Riesce sempre ad impressionarmi, eppure io la vedo tutti i giorni da più di settanta anni. Non l'avete ancora vista al tramonto, vero? Perché non tornate qui quando inizia ad imbrunire?". Il giovane fa sì con la testa anche se non aveva seguito tutto, quel signore era arrivato dal nulla e per una volta non era stato lui il primo ad iniziare la conversazione.
Passano delle ore, John controlla l'orologio, guarda alla finestra e intuisce che è ora di andare. Torna a quella panchina e il signore è lì che lo aspetta. In un attimo l'orizzonte si tinge di rosso, tutto diviene magico e surreale e allora si siede a godere appieno la straordinaria bellezza del posto. "Ha ragione, non potevo perdermi questo spettacolo di colori!"- dice John e l'altro risponde: "Da giovane mi piaceva guardarla e un giorno un mio amico con il dito descrisse il contorno delle cime disegnando il profilo di una donna e da allora la chiamano la Bella Addormentata. Adesso che ci penso, quando ti guardo mi sembra di rivederlo in te: avete la stessa bocca e lo stesso sguardo perso nel blu che si colora di rosso". A John sembra di essere in un sogno e di aver immaginato tutto, ma si accorge di aver capito bene e pensa che forse è di fronte a Guido o Mario, uno degli amici di suo nonno.
"Mi permetta di presentarmi, io sono John, vengo da New York e sono qui perché mio nonno Giovanni è nato e ha vissuto fino alla sua giovinezza tra queste mura e lei se non sbaglio deve essere un suo carissimo amico".
"Io sono Guido e non mi aspettavo d'incontrare un giorno il nipote del mio Giovanni"- e da lì fino a sera, tra lacrime e risate, si aggiornano sullo sfondo della Bella Addormentata.
Il giorno seguente Guido decide di mostrargli il vero volto della montagna e di addentrarsi nel bosco. Nell'attraversarlo il giovane prova due forti sensazioni: la percezione di entrare in un luogo arcano e sacro e l'illusione di un viaggio a ritroso nel tempo alla ricerca delle proprie origini in una natura primigenia e selvaggia. Continuando a salire, il bosco di faggi si dirada e compaiono numerosi noccioli con un letto di rosa canina. Il sentiero è segnato da gialle ginestre e termina in uno scorcio della vetta del Gran sasso e Guido dice: "John, guarda lì somiglia ad un enorme castello diroccato e lassù si mostra maestoso e inaccessibile".
Qui il silenzio è assoluto e, voltandosi, ammirano la variegata distesa della valle fino alla lontana riga blu che segue la costa.
"Ancora oggi non credo a quello che abbiamo fatto grazie al nonno"- sussurra John seduto alla panchina stringendo la lettera tra le mani e, voltandosi verso Margaret, compare un sorriso sui loro volti, -"nessuna bellezza può andare perduta, se la si sa ricordare e conservare, nemmeno quell'amore di montagna "- e, felici come due bambini, tornano a fissare l'orizzonte.


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 Ins. 28-11-2007