Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Laura Tenti
Con questo racconto ha vinto il terzo premio all'edizione 2006 del Premio La Montagna Valle Spluga.


L'ACROBATA DELLE NUVOLE



UN' AURORA INSOLITA
 

Sembrava una delle tante albe che sussurravano dolcemente l'arrivo del nuovo giorno.
Eppure, tra i pianori e dirupi del Pizzo Stella, ancora sonnacchioso, Nembo si era accorto che il cielo aveva regalato al bosco un piccolo incanto:un'aurora boreale.
"Peccato" pensò &endash; "che debba finire così in fretta…".
Di lì a poco infatti, i crinali sarebbero lentamente stati salutati dal sole gentile e quello spettacolo sarebbe svanito, il cui ricordo sarebbe stato custodito da quello stambecco e dal bosco.
Nembo amava le sue valli e ne assaporava ogni più piccolo angolo. Era uno stambecco ancora giovane. Le zampe corte sorreggevano un corpo muscoloso, dall'aspetto pesante: come tutti gli stambecchi non era elegante come un cervo, né delicato come un capriolo.
Ciò che più lo distingueva dagli altri, era la macchia bianca a forma di nuvola sul muso.
Si narrava nel bosco che gli stambecchi avessero ricevuto in passato molta attenzione dagli esseri umani: erano raffigurati negli stemmi di antiche famiglie nobiliari e le imponenti corna a mezzaluna erano usate per creare calici o amuleti che tenessero lontano gli spiriti maligni.
Nembo non aveva paura degli esseri umani. In fondo era stato proprio uno di loro a soccorrerlo quando, ancora piccolo, durante una pioggia prolungata, era crollata improvvisamente una roccia, uccidendo i suoi fratelli e i suoi amici, mentre lui era rimasto ferito ad una zampa.
Era stato lì tutta la notte, aspettando di morire nella sua valle come i suoi fratelli. Invece era giunta una ragazza, una guardia forestale, che aveva chiamato immediatamente i soccorsi.
Venne portato ancora frastornato in quello che gli umani chiamano centro di riabilitazione; la ragazza gli aveva parlato, lo aveva accarezzato a lungo…Nembo era riuscito a sentire il calore di quelle mani così piccole, ricordava i suoi occhi blu, blu come i riflessi dell'aurora boreale di quella mattina.
Ormai erano passate molte lune da quella volta, ma Nembo si ricordava molto bene di quella ragazza, pur non sapendo come si chiamasse.
La sua zampa certo era guarita, ma non il suo cuore, che era rimasto laggiù, in quella valle, con i suoi fratelli e compagni. "Avrei preferito morire anch'io" - pensò- "ora sono costretto a vivere qui, sull' Altopiano Primalpe perché la mia zampa zoppica e non potrò mai essere uno stambecco come gli altri…" .
I precipizi tagliati a picco, le muraglie rocciose, i declivi, le paurose spaccature tra pietre taglienti e poi… il cielo. Insomma vivere dove solo gli stambecchi riescono: sul tetto del mondo.
Lui certo non avrebbe potuto, la zampa non glielo permetteva…o forse era un altro il motivo?
 
Forse Nembo si sentiva in colpa per essersi salvato, per non essere riuscito ad aiutare i suoi fratelli, i suoi amici. Ora era solo uno stambecco incapace.
Aveva smesso di sognare. Aveva rinunciato alla sua vetta.


LORENA
 
Da lassù il lago di Montespluga era tutto un'increspatura d'argento che le montagne, coperte da un bosco di larici arancione e oro, dividevano dal cielo.
Le nuvole parevano soffermarsi su di esse, così basse che pareva toccarle.
L'estate era ormai finita:la stagione dei colori era proprio cominciata.
A Lorena piaceva quella stagione: tutta la natura sembrava scivolare dolcemente verso i silenzi di ghiaccio; eppure anche in quei silenzi le montagne le parlavano: di favole d'infanzia, di splendidi elfi e folletti dispettosi, di mulattiere percorse da uomini e donne del passato, con le loro speranze e i lori timori. Invidiava in fondo queste montagne che vedevano il passato, il presente, il futuro.
Anche lei aveva lasciato qualcosa alla sue montagne: si ricordava ancora del piccolo stambecco con una macchia bianca sul muso, incastrato in quella roccia e della gioia mista a tristezza egoistica nel liberarlo una volta guarito.
"Ora è libero…" pensò.
Libertà… di sentirsi vivi e perché no, di sognare.


UN SOGNO ANCORA LONTANO

"Sei solo una stupida capra!" esordì Forticorna, capobranco degli stambecchi.
"Stai sempre qui, a Primalpe perché non sei capace di affrontare "La Grande Vetta" !
Sei un inutile e pauroso stambecco! Non assomigli per niente ai tuoi fratelli così forti e coraggiosi".
Nembo non aveva replicato. Non perché non ne fosse capace, ma credeva che in fondo fosse vero. Non era riuscito a salvare i suoi cari e non era uno stambecco come gli altri, era diverso.
Dopo l'episodio con Forticorna, Nembo si era messo a riposare ai piedi di un grande abete.
"La Grande Vetta", il Monte Suretta: che bello sarebbe stato raggiungerla: da lì lo sguardo si perdeva su tutto il mondo, il vento lo avrebbe potuto ascoltare magari portando con sé un messaggio dei suoi cari.
Così vicina e allo stesso tempo così lontana, come tutti i sogni.
GLI SCRIGNI DEL MONDO
Che strana la vita: a volte le risposte non arrivano mai, le difficoltà sembrano portarti lontano dai sogni; poi accade qualcosa, attraverso vie inaspettate.
Nembo stava dormendo sotto il grande abete, lontano dal resto del branco, quando dal prato emersero due zampette bianche e soffici: era un coniglio selvatico.
"Ciao! Tu devi essere Nembo, vero?"
"Come fai a sapere il mio nome?"
"Ti ho riconosciuto dalla macchia bianca sopra il muso. Sai, conoscevo i tuoi fratelli e mi parlavano spesso di te: erano stambecchi forti e coraggiosi, con splendide corna. Io li invidiavo perché non possiedo corna simili con cui difendermi o combattere, né ampie ali come i falchi per volare e sfuggire al mondo e nemmeno le zanne poderose di un orso. Io so solo correre veloce e per questo gli umani definiscono le persone poco coraggiose "conigli", in segno di disprezzo".
"I tuoi fratelli mi rispettavano, sai?" - continuò il coniglio - "per loro scavavo buche sotterranee dove nascondere scorte di erbe pregiate e succulente per i freddi inverni, amavano ascoltare i miei racconti sulle fate e sugli elfi, ammiravano la mia velocità… Da loro ho capito come la diversità sia la più grande ricchezza. Ognuno di noi cela uno scrigno unico da condividere con chi ci vuole bene".
Nembo ascoltava quel simpatico coniglietto attentamente.
"Grazie a loro" - continuò il coniglietto- "ho imparato ad accettarmi, amare ciò che faccio, a correr a perdifiato per Primalpe e quando sarò abbastanza forte, percorrerò le Pianure a sud, dove conoscerò altri conigli e animali con tanti scrigni da raccontare. Realizzerò il mio sogno.
Accadrà anche a te e mi racconterai della "Grande Vetta"; ci ritroveremo qui proprio sotto a questo abete. Fino ad allora rincorri i tuoi sogni! A presto!".
"Aspetta!" urlò Nembo - "come ti chiami?"
"Soffione, perché il mio pelo è soffice e bianco come quel fiore e perché sono veloce come un soffio di vento. Questo è il nome che mi hanno dato i tuoi fratelli" rispose.
"Grazie Soffione. Ti prometto: raggiungerò la "Grande Vetta", come i miei fratelli e porterò il tuo entusiasmo con me. Ci ritroveremo qui!".
Un amico credeva nel suo sogno, quando lui stesso non ci aveva mai creduto.
"Affronterò l'inverno con forza," - disse fra sé- "il Signore dei Ghiacci fermerà il tempo, il freddo pungerà gli occhi, mi procurerò il cibo da solo e forgerò il mio corpo. Quando la primavera risveglierà lo spirito del bosco, partirò verso la "Grande Vetta"".
Guardò verso la notte: le stelle si mostravano al mondo secondo disegni ignoti, eppure anche loro non erano lì per caso. A loro si rivolgevano tutti gli esseri della terra, disorientati ma pieni di speranze.


IL RITORNO

Eccola la primavera:un'acrobazia di colori, un esordio inaspettato.
Lorena ogni volta rimaneva stupefatta: faceva da tanto tempo la guardia forestale, tuttavia quel tripudio di nuova vita la sorprendeva ogni volta.
La montagna con il suo bosco aveva mantenuto il consueto appuntamento.
Quest'anno le era stato affidato un incarico più importante: sorvegliare tutta l'area del Monte Suretta. C'era infatti il pericolo di possibili frane e slavine a causa dello scioglimento dei ghiacci.
Era contenta del nuovo incarico e impaziente di partire alla scoperta di un angolo non ancora conosciuto.


VEDERE CON IL CUORE

Il cammino non era che all'inizio: occorreva prestare attenzione ai guadi dei ruscelli e ai crepacci, anche se Nembo sapeva cosa lo aspettava.
Il pascolo d'altura era la prima tappa, dopodiché avrebbe raggiunto il lago Nero e infine il Monte Suretta.
A causa della sua zampa, scivolò più volte nei piccoli guadi, ma si rialzò sempre imperturbabile.
La "Grande Vetta" però sembrava ancora troppo lontana. Pensò quindi di fermarsi a riposare al pascolo d'altura. Stava per arrivare alla grande distesa erbosa, quando s'incastrò in un crepaccio.
"Maledetta zampa!" esclamò singhiozzando per il dolore.
"Non maledire ciò che un giorno potrebbe portarti in alto…" intervennero due voci squillanti. Erano due caprette gemelle del gregge poco distante.
"Ora ti aiutiamo" - "Bucaneve spingi di qua!" disse una - "E tu Ranuncolo tira di là!" disse l'altra.
"Ecco fatto sei libero!"
"Stai andando alla Grande Vetta tutto da solo, vero?"
"Già, ci siete mai state?"
"Certo che no! Noi siamo semplici caprette da pascolo, non ci arrampichiamo su ripidi pendii."
"Come," - replicò Nembo, "vi accontentate di questo angolo di prato? Non desiderate vedere il mondo?"
"Vedere dici?" - replicò una delle due caprette nere e Nembo si accorse che era cieca da un occhio.
"Molti pensano che solo ciò che si vede sia il mondo: con un solo occhio ho imparato non solo ad apprezzare di più il mio piccolo mondo, ma ad accorgermi di cose che prima , con due occhi non vedevo. Ho imparato a conoscer il mondo attraverso gli occhi degli altri, attraverso i loro racconti, le loro emozioni. Quando la strada è incerta e faccio fatica a vedere, c'è Ranuncolo che mi dà una mano!" .
Intervenne Ranuncolo stesso: "e se non riesco a capire i segreti del bosco, Bucaneve mi mostra la vera realtà delle cose…questa è la nostra vita: dare il latte al nostro pastore, senza chiedere nulla in cambio se non dell'erba verde e un sole accogliente. Ognuno vive per qualcosa e per qualcuno: di qualunque cosa si tratti, mai smettere di sognare, di aspirare alla vetta più alta, anche se gli ostacoli ce lo impediscono. Buona fortuna!" .
"Grazie Bucaneve e Ranuncolo, tornerò un giorno portandovi ciò che ho visto con gli occhi e col cuore" .
All'orizzonte nuvole cariche di pioggia portavano il sibilo del vento. Nembo non aveva paura.


LA TEMPESTA

Lorena si infilò un giubbotto più pesante che la tenesse calda: sapeva che sarebbe arrivato un bel temporale. Le nuvole che prima erano all'orizzonte, avevano oscurato il sole e una cupa ombra avvolgeva il versante della montagna.
Il lume del rifugio brillava ma era troppo distante: si sarebbe accampata nel bosco per quella notte. D'altronde non era la prima volta che si ritrovava a trascorrere la notte in montagna.
Divenne buio presto e il temporale sfogò tutta la sua forza.
Fu svegliata dalle sferzate di vento che soffiavano negli spiragli della tenda e finirono col scaraventarla a qualche metro di distanza, col risultato che la tenda cadde a valle. Invano il tentativo di recuperarla; il suolo era inzuppato dalla pioggia e Lorena scivolò per terra più volte.
"Devo essermi lussata una spalla…non ci voleva proprio!".
Che fare? Poteva solo aspettare al riparo…tra i bagliori dei lampi le sembrò di scorgere una grotta nella roccia…Cadde sfinita a terra, aspettando e sperando che qualcuno del soccorsi sarebbe venuto a cercarla, altrimenti sarebbe scesa a valle il mattino seguente.


IL RITROVO DI DUE VECCHI AMICI

Il temporale aveva colto di sorpresa anche Nembo che decise di non proseguire verso il Monte Suretta. Tuttavia era deluso: ogni volta che trovava degli amici e riacquistava l'entusiasmo veniva ripagato con ostilità dalla montagna.
Si stava quasi arrendendo, poi vide una grotta per ripararsi: occorreva anche pazienza per inseguire un sogno, non bastava solo la volontà e il desiderio, anzi queste a volte possono finire col bruciare le tappe. Decise si entrare nell'anfratto incuriosito dall'odore di un animale, un odore che aveva già sentito: un fulmine illuminò il pallido viso della ragazza che dormiva. Nembo ebbe un sussulto…era lei, l'amica che lo aveva salvato da piccolo!
Non ci pensò due volte: si sdraiò accanto a quel corpo intirizzito e freddo, cercando di scaldarla e di sorvegliare la grotta: l'avrebbe protetta anche con quella zampa.


ARRIVERDERCI GUARDIANO

Il mattino seguente il sole era tornato a rallegrare il bosco e asciugare la montagna dall'acqua; le squadre di soccorso stavano già cercando Lorena.
Nella grotta intanto i raggi del sole stavano risvegliando la ragazza…quando li aprì vide quel muso con la macchia bianca: stette ferma in silenzio per un bel po', incredula…
Poi dai suoi occhi blu uscirono delle lacrime e abbracciò Nembo:
"Ma sei proprio tu? Che gioia, come sei cresciuto, uno splendido stambecco!
Non ti sei dimenticato di me!" .
Nembo si rese conto di aver reso felice una persona, non una qualsiasi, un' amica che lo aveva salvato quando ancora era un cucciolo e che aveva creduto in lui prima degli altri. Ed ora, proprio lui, con una zampa zoppicante, l'aveva salvata!
Nembo percepì dei rumori; stavano arrivando i soccorritori, quindi uscì dalla grotta cercando di attirare la loro attenzione tenendo nella bocca la sciarpa della ragazza.
I soccorritori lo videro e capirono; Nembo non poteva rimanere : doveva proseguire verso l'ultima tappa, da solo, alla "Grande Vetta", realizzando il suo sogno che ora poteva condividere con i suoi amici.
La ragazza fissò quegli occhi gialli e gli accarezzò la fronte:
"Eri un cucciolo, ma hai sognato grande. Ora potrai salutare il tetto del mondo, ascolterai il vento, parlerai alle stelle. Sarai l'acrobata delle nuvole: ricordati sempre che chi non sogna grande resta piccolo".
Nembo uscì dalla grotta, girandosi ancora una volta verso Lorena. Era un arrivederci.
Con un grande salto si inerpicò sulla nuda pietra, roccia dopo roccia, salto dopo salto. Le sue zampe parevano danzare, volare su quel ripido pendio.
Ecco la cima: davanti a lui tutto ciò che era stato dietro: la Valle Spluga, gli amati boschi, la solitudine, gli amici Soffione, Bucaneve e Ranuncolo, il cammino difficile.
Al cospetto dei ghiacciai abbaglianti le vicine creste smorzavano l'effetto dei venti, portatori di storie lontane. In basso a valle il sereno specchio d'acqua di Montespluga rifletteva il cielo terso.
In quel silenzio che tutto ammantava, Nembo pensava ai suoi fratelli, che insieme alle nuvole vaporose lo guardavano orgogliosi.
"Ora so… lo spirito, le aspirazioni di libertà e soprattutto i grandi sogni di ognuno possono raggiungere le vette più alte…"

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