Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Laura Frigeri
Con questo racconto ha vinto il quinto premio del concorso Angela Starace 2003, sezione narrativa

TI AIUTEREMO A VINCERE.
 
Finalmente la notte era calata. La luna e le stelle si erano innalzate e osservavano la quiete diffondersi. Il silenzio aveva preso il sopravvento, regnando indisturbato fra le vie, fra le case... fra i pensieri.
Era difficile per Sara dormire, la giornata era stata dura da sopportare. Mille pensieri le avevano tormentato il cuore, mentre una voce ininterrottamente aveva continuato a sussurrarle una parola: PAPA'!
Non ce la faceva più, quell'angoscia, quell'ansia, la stavano uccidendo. Prese il cappotto e una sciarpa e piano, piano uscì da casa. Era molto tardi. Forse l'una o le due del mattino, pensava Sara uscendo. I suoi genitori dormivano e anche le sue sorelle. Nessuno l'aveva sentita. Fuori l'aria era gelida e pungente e un leggero vento le lambiva il viso, obbligandola a coprirsi fino sopra il naso. Il buio che l'avvolgeva a mano a mano che faceva qualche passo, non le faceva paura. C'erano i suoi pensieri a tenerle compagnia, non la lasciavano mai nemmeno per un minuto. Camminò per un po', finendo a sedersi nei gradini della scuola elementare del suo paese. Ora era completamente sola e libera di piangere. Per tutto il giorno aveva trattenuto le lacrime ma ora basta non ce la faceva più. Scoppiò in un pianto disperato e convulso e per un po' non ci fu nessun pensiero in grado di calmarla. Smise solamente quando sentì il vento soffiare forte vicino a lei. Forse voleva solo abbracciarla, forse cercava di asciugarle le lacrime che le rigavano il viso. Quel pianto irrefrenabile, solo dopo un po' si trasformò in uno sfogo silenzioso.
Sara chiuse per un istante gli occhi e cominciò a rivivere quella giornata da quando quel maledetto telefono squillò. Il nastro registrato di quel giorno cominciò a riavvolgersi. Ma perché si stava facendo del male in quel modo? Perché cercava di ricordare le parole, i visi, gli sguardi? Eppure era consapevole che tutto quel dolore le stava schiacciando il cuore. Ecco...il nastro si era fermato...
"Pronto" rispose Sara, intenta a fare un segno nell'ultima parola che aveva letto del libro.
"Buongiorno, sono il dottor Mazzoli dell'ospedale" rispose una voce.
Sara sapeva benissimo con chi stava parlando, conosceva bene quel nome ed è per questo che repentinamente sentì stringersi un nodo attorno alla gola.
"Buongiorno dottore" sussurrò Sara
"Lei è la figlia del signor Brini?"
"Sì"
"Desidererei parlare con suo padre o con sua madre"
"Non sono ancora tornati"
"Quanti anni ha lei signorina?"
"Venti"
"Bene, allora è abbastanza grande".
Sono abbastanza grande per cosa? Pensò Sara.
"Dovrebbe riferire a suo padre che sono arrivati i risultati della Tac e che ho assolutamente bisogno di vederlo. Pensa che riesca a venire da me per le 14:00?"
"Sì" Sara non riuscì a dire nient'altro.
"Bene, perché ho bisogno di discutere con lui di alcune cose".
"Arrivederci"
"Arrivederci".
Sara spense il cordless mentre la sua testa si riempì di orribili pensieri. Cosa doveva fare? Non voleva dirlo a suo padre, doveva rintracciare sua madre e lasciare a lei l'arduo compito. Da un mese circa, suo padre accusava un forte male alla gola, pensava fosse un'infiammazione, un'infezione... una rottura di scatole in poche parole. Si era deciso dopo molto a farsi vedere dalla dottoressa di famiglia. Lui lavorava lontano da casa e perciò gli era difficile andare dal medico. Il responso fu che doveva prendere delle pastiglie e uno spray, niente di preoccupante.
Dopo alcune settimane il dolore era cresciuto, forse perché era un fumatore incallito, ma quel presunto mal di gola non voleva passare. La dottoressa si era raccomandata di farsi vedere da un Otorino se il dolore si fosse prolungato. E infatti...
Quel giorno all'ospedale per la visita erano andati: suo padre, sua madre, lei e la sua gemella Marta. Non sapevano bene perché, ma tutti e quattro erano molto tesi, come se sentissero che qualcosa stava succedendo. Quando l'infermiera chiamò i suoi genitori lei e Marta rimasero fuori e senza essere viste si misero vicino alla porta ad ascoltare. Era difficile sentire, l'unica cosa che capirono fu: RICOVERO! Marta e Sara si guardarono, avevano capito che qualcosa non andava. Dopo che i suoi genitori uscirono, con una lettera dovettero recarsi nel reparto O.R.L. per parlare con il primario. Era l'inizio di un qualcosa di brutto, lo sapevano tutti, ma nessuno ci voleva credere.
Gli avevano detto che era un polipo e che sicuramente doveva essere tolto. Perciò non serviva angosciarsi. Eppure seduti nella sala d'attesa, tutti e quattro tenevano lo sguardo basso cercando di convincersi che mai poteva essere..."uno di quelli là", come diceva suo padre. Il primario non si sbilanciò molto, occorreva una Tac e una biopsia. Passarono una ventina di giorni prima di conoscere l'esito e quel momento era arrivato proprio quella mattina. Suo padre quel pomeriggio andò all'appuntamento forse ancora con l'idea che tutto si sarebbe risolto in poche ore. I suoi genitori tornarono a casa verso le tre e mezzo. Sapevano l'esito della Tac e le loro facce infrangevano tutte le speranze che avevano avuto fino a qualche ora prima. Quando tornarono, in casa c'era solo Sara e Marta. Ambra e Barbara erano al lavoro. Sua madre entrò nella loro stanza dicendo a bassa voce: "Bruttissime cose, è un tumore maligno, lo opereranno, non parlerà più, gli faranno un buco per respirare". Avevano veramente capito bene? Ma cosa diavolo stava succedendo? Per un attimo si sentirono confuse e Sara guardò immediatamente Marta. Lei era al secondo anno del corso di laurea in Scienze infermieristiche e forse sapeva dirle di che cosa stava parlando la loro mamma.
"E' tremendo, dovranno tracheotomizzarlo, avrà un tubo nel buco che gli faranno in gola" disse Marta ansimando per lo shock ricevuto.
Quando finalmente trovarono il coraggio di andare dal loro papà, lui cercò di sdrammatizzare tutto con una battuta, ma era palese che il dolore era tanto.
Per tutto il pomeriggio stettero in silenzio, avevano avvertito le sorelle ma nient'altro. Improvvisamente il male si era calato sulla sua famiglia e non era facile accettarlo.
Fino a sera, Sara aveva cercato di rispondere alle sue mille domande: perché a mio padre? Perché la vita è così ingiusta? Morirà? E se vivrà come vivrà?...
Le risposte non c'erano e nessuno poteva dargliele nemmeno quel silenzio, in cui quella notte si era rifugiata.
Era ora di alzarsi. Le lacrime erano scese, ma il dolore era rimasto. Piano, piano si diresse verso casa, aprì la porta e si sdraiò sul divano. Shhh...si era addormentata.
Trascorsero tre interminabili settimane da quella notte e tra pianti, giorni di terrore e d'agonia, il giorno dell'operazione arrivò.
 
19/02/2003
Caro diario,
stamattina alle otto hanno operato il mio papà. Prima di entrare in sala operatoria lo abbiamo salutato con un bacio. C'eravamo io, Marta, Ambra, Barbara e la mamma. Un bacio e un abbraccio profondo era tutto quello che potevamo fare per lui in quel momento. Ho visto i miei genitori darsi un bacio straziante. Se chiudo gli occhi lo vedo ancora...sì, sta entrando e si sta allontanando da noi...ha girato l'angolo, ma prima si è rigirato un momento per farci l'occhiolino...la porta si è chiusa. Era chiara la sua paura! Paura di non risvegliarsi mai più, paura di svegliarsi e di non trovare la forza di reagire, paura di perderci.
Che terribile ansia è stato saperlo là dentro, con gli occhi chiusi, mentre i dottori stavano cercando di salvargli la vita.
Le 9:00, le 10:00, le 11:00, 12:00, le 13:00, le 14:00, le 15:00, le 16:00, le 17:00....eravamo tutti nella sala d'attesa e la tensione ci ha divorato per ben nove ore. Le più lunghe della mia vita. Ad un tratto un'infermiera ha chiamato mia mamma perché il dottore voleva dirle com'era andato l'intervento. Sono scoppiata a piangere, in quel momento tutta l'ansia che avevo accumulato è esplosa. Non ho voluto vederlo uscire. Dopo che l'hanno sistemato nella sua camera l'infermiera ha fatto entrare mia mamma che qualche secondo prima era scoppiata a piangere.
Quando poi, l'infermiera ha detto che potevano entrare le figlie, mi sono sentita il cuore balzare alla gola.
Ho fatto un respiro profondo e ho aperto la porta. Era disteso sul letto, una fasciatura gli copriva il collo, aveva mille tubi ovunque e respirava con l'aiuto dell'ossigeno. Teneva gli occhi socchiusi e sembrava...un'altra persona! Dov'era finito il mio papà? Dove? Dopo pochi minuti, mi sono sentita mele e sono scoppiata a piangere. Chissà cosa stava provando?
Quando Sara richiuse il diario, era ormai tardi, ma il sonno non arrivò per tutta la notte.
Il giorno dopo fu molto duro, l'effetto dell'anestesia di suo padre stava svanendo e lui stava sempre diventando più consapevole che la sua vita era cambiata.
Era arrabbiato e sembrava essersi chiuso in se stesso. Sara non riusciva ancora a stargli vicino senza dover uscire per piangere ed era sicura che non ci sarebbe mai riuscita.
Il medico disse a sua mamma che purtroppo il tumore non era stato asportato del tutto. L'operazione era durata troppo e sarebbe stato rischioso continuare l'intervento. Dovevano aspettare una quindicina di giorni per sapere se anche i linfonodi della parte destra della gola erano stati intaccati dal tumore. Naturalmente era sicuro che occorreva fare la chemioterapia una volta ristabilito.
A 53 anni suo padre si era ritrovato a non poter più lavorare, a non poter più parlare, a dover combattere contro un male difficile da sconfiggere. Tutti i parenti, gli amici continuavano a dire che l'importante era che fosse ancora in vita... sì era vero, ma che vita gli sarebbe aspettata?
Erano trascorsi sei giorni dall'operazione e suo padre cercava di reagire e imparare a gestire gli impulsi che il suo corpo gli dava.
Aveva imparato a pulirsi la cannula da solo, si aspirava le secrezioni che gli uscivano dal naso e che gli restavano in bocca. Sopportava il sondino che lo aiutava a mangiare, ma non imparava completamente ad accettare di non poter parlare.
Una sera quando Sara tornò dall'ospedale, si sentì più triste del solito. Si sedette sul divano dove suo padre passava gran parte delle sue serate e dei suoi week-end. Le sembrava di sentire il suo profumo. Si era promessa di non piangere e con forza cercò di trattenere le lacrime che le offuscavano gli occhi.
Ad un tratto si accorse che sul tavolino vicino al divano c'era la lettera che lei e le sue sorelle gli avevano scritto, prima che andasse all'ospedale.
Gliela avevano fatta trovare sopra il tavolo del salotto una mattina in modo che la leggesse appena sveglio e quando era solo.
PER PAPA' OSCAR. Sara aprì la busta e iniziò a leggere.
Ciao papà,
abbiamo deciso di scriverti una lettera perché è un modo semplice per farti capire quello che stiamo provando in questo momento. Quando lo abbiamo saputo, dobbiamo ammettere che c'è crollato il mondo addosso, come a te e alla mamma del resto. Non riuscivamo e non riusciamo a credere che stia succedendo tutto questo al nostro papà. Tu per noi sei sempre stato (e lo sei ancora) un uomo invincibile, un papà che per la sua famiglia donerebbe l'anima, che ha sempre aiutato il prossimo e che nella sua vita ha lottato tanto per avere quello che ha, però è proprio per questi motivi che noi ci siamo fatte forza e abbiamo in qualche modo cercato di accettare quest'ingiusta realtà. Noi sappiamo che lotterai anche questa volta, anche se in alcuni momenti ti sentirai vinto e scoraggiato. NOI SAPPIAMO CHE VINCERAI TU...COME SEMPRE! A volte ci riuniamo a parlare e cerchiamo assieme di farci forza. Ognuna di noi l'ha presa in modo diverso. Marta continua a ripetere, che dobbiamo vivere questa situazione facendo un passo dopo l'altro, concentrandoci sui singoli eventi senza riempirci la testa di idee troppo esagerate.
Lei è convinta che tutto si risolverà.
Barbara piange sempre e continua a dire che lei data la sua malattia agli occhi, sa cosa vuol dire essere diversi, ma sa anche che prima o poi si accetta e si continua a vivere normalmente.
Ambra sta vivendo tutto questo con tanto dolore che non riesce a manifestare, ma che tiene chiuso dentro di lei. Infine ci sono io, che mi sto facendo coraggio in mille modi. Cerco di vivere le tua malattia non pensando al futuro ma al presente.
Sappiamo che dovrai affrontare momenti orribili, ma sappiamo anche che ce la farai...e sai perché? Perché al tuo fianco hai l'aiuto incondizionato delle tue figlie e dell'amore della mamma. Noi la guardiamo con tanta ammirazione perché nonostante in questi momenti stia vivendo una forte depressione è riuscita con la forza dell'amore profondo che prova per te a farsi coraggio per affrontare la cosa nel modo giusto.
Non preoccuparti per noi...ce la facciamo. Abbiamo la fortuna di far parte di una famiglia numerosa e unita...una famiglia che tu hai creato!
Non vogliamo dirti di farti coraggio perché sappiamo che è dura, ma solo che ti vogliamo bene.
Ti regaleremo tante soddisfazioni, te lo promettiamo.
Marta ed io ti regaleremo la nostra laurea, quel giorno sarà un riconoscimento non solo per noi, ma soprattutto per te e per la mamma, per i tuoi sforzi e per le tue rinunce che hai fatto per farci studiare, per tutte quelle settimane che hai lavorato lontano da casa, trascurando anche la tua salute. Grazie non lo scorderemo mai.
NON LOTTERAI DA SOLO, MA CON LA TUA FAMIGLIA. SARA, BARBARA, MARTA, AMBRA.
Sara richiuse la lettera, tradendo la promessa che si era fatta. Le lacrime che scendevano, bagnavano la lettera che aveva appoggiato vicino al cuore.
 
Passarono quindici giorni e suo padre era ancora all'ospedale, aveva iniziato a mangiare da solo, aveva ricominciato a ridere e ogni giorno la sua famiglia e i suoi amici gli erano vicino per fargli capire che ce la poteva fare, che ce la doveva fare. Lo aspettavano giorni duri, terapie e forse un secondo intervento, ma avrebbe continuato a lottare, cercando di farsi spazio, cercando di arrivare primo contro un male difficile da sconfiggere.
La vita può cambiare da un momento all'altro. Non penseresti mai che possa succedere proprio alla tua famiglia o a te. Cosa fare? A chi dare la colpa? Non bisogna incolpare nessuno, non bisogna nemmeno sentirsi sfortunati e perseguitati. Bisogna combattere. Occorre aggrapparsi disperatamente a qualcuno. A Dio, alla famiglia, a un amico...No, non è facile.
So che si vorrebbe solo arrendersi e lasciarsi andare, lasciare che il male prenda il sopravvento e accettare di perdere. Ma è sbagliato perché la vita è una sfida e un'avventura sin dal concepimento e lottare perché questa ci appartenga il più a lungo possibile è un nostro diritto.

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 Ins. 09-12-2003