Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Laura Bianco
Con questo racconto ha vinto il terzo premio del concorso Concorso Letterario Marguerite Yourcenar 2000 sezione narrativa
 
L'arcipelago dimenticato
 
 
Il vecchio chiuse il libro e prese a guardare il piccolo porto. Osservò un peschereccio che stava arrivando ed un gruppo di ragazzi intenti a fotografare un veliero ormeggiato.
Allontanò da sé il bicchiere ormai vuoto e si appoggiò allo schienale della sedia.
"Le piace?" domandò un ragazzo seduto al tavolino accanto.
"Sì, adoro il porto di Naoussa", rispose il vecchio senza voltarsi.
"Veramente mi riferivo al libro..."
Il vecchio ne accarezzò la copertina con la mano rugosa.
"No".
"Invece parrebbe proprio di sì... Ho visto poche volte una persona così rapita dalla lettura di un libro!"
"Ho detto che non mi piace", replicò il vecchio con tono infastidito.
"Secondo me è un libro stupendo, forse il più bello in assoluto!"
Il vecchio, per la prima volta dall'inizio della loro conversazione, si voltò verso il suo interlocutore.
"Non mi dire che sei tra quelli che hanno riscoperto Pierazzoli e L'arcipelago dimenticato?"
"Sì", rispose l'altro pieno di entusiasmo. "E le dirò di più: Pierazzoli è sicuramente il più grande autore italiano del Novecento!"
"Ma lo sai che non ha scritto nient'altro?"
"Sì, ma ne conosco anche il motivo!"
"Sentiamo".
"Con L'arcipelago dimenticato è riuscito ad esprimere dei concetti talmente elevati, utilizzando uno stile così sublime, che non ha più avuto bisogno di scrivere altro per affermare il suo talento".
Il vecchio si rabbuiò. Una famiglia tedesca prese posto ad un altro tavolo ed il marito, in un inglese alquanto stentato, ordinò da bere ad una giovane cameriera.
"Lo sa che Pierazzoli ha scritto tutta la sua opera durante il suo primo soggiorno a Naoussa?" tornò alla carica il ragazzo. "E lo sa che era solito trascorrere i suoi pomeriggi seduto in questo dehors? Mi hanno raccontato che veniva qui con i suoi fogli e che si metteva a osservare il porto, esattamente come stava facendo lei fino a un attimo fa, e che poi, tutto ad un tratto, iniziava a scrivere".
"È per questo che sei venuto a sederti qui?"
"Sì", rispose l'altro con slancio. "Solo qui riesco a cogliere appieno la sua presenza e a comprendere fino in fondo il messaggio che ci ha voluto trasmettere col suo capolavoro! Lei capisce che cosa intendo dire, non è vero?"
"No".
"Ma non avverte nemmeno la sua presenza? Non sente che qui ogni cosa ne è impregnata?"
"No".
La cameriera portò le bibite ai turisti tedeschi ed il vecchio, vedendola, ne approfittò per pagare.
"Si è fatto tardi", disse alzandosi in piedi. "Devo andare".
"Posso farle ancora una domanda?" chiese timidamente il ragazzo.
Il vecchio annuì.
"Perché viene proprio qui a leggere L'arcipelago dimenticato?"
"Uhm, non credevo che ti fossi accorto di questa mia strana contraddizione!". Fece una breve pausa. "Vengo qui perché, come ti ho già detto, mi piace molto il porto e leggo questo libro perché, essendo stato scritto quando ero un ragazzo come te, mi ha accompagnato lungo tutto il corso della mia vita".
"Ma che cosa c'è in quest'opera che non le piace?"
"Giovanotto, tu mi hai chiesto il permesso per farmi solo una domanda, no due!"
Il ragazzo rimase interdetto ed il vecchio, dopo averlo salutato, se ne andò.
 
Dopo aver girovagato per circa due ore, giunse nella pensione dove alloggiava. Entrando, comunicò alla padrona che quella sera non avrebbe cenato e salì nella sua stanza. Chiuse a chiave la porta e da una vecchia valigia estrasse un album contenente dei ritagli di giornale. Il primo era datato 2 aprile 1947 ed annunciava, in poche righe, la pubblicazione di L'arcipelago dimenticato, opera prima di un giovane autore sconosciuto. Il secondo, datato 10 aprile 1947, era stato scritto da un noto critico letterario che ne tesseva gli elogi. Seguivano molte altre recensioni e la sua prima intervista. Saltò volutamente diverse pagine e s'imbatté in un articolo risalente all'autunno del 1948, edito dal New York Times, che lo eleggeva scrittore dell'anno. Un altro articolo, pubblicato dal quotidiano Le Monde, annunciava la nascita di un nuovo astro delle letteratura mondiale ed un altro ancora riportava i giudizi favorevoli di alcuni celebri scrittori.
Continuò a sfogliare l'album e giunse ad un articolo datato 22 agosto 1954. Poi, un salto di oltre quarant'anni, fino al 7 giugno 1997, giorno in cui un giornalista gli aveva dedicato mezza pagina per cercare di spiegare ai suoi lettori perché da circa un anno molti giovani avevano riscoperto quel vecchio libro. Seguivano molti altri ritagli di giornale, ma nessuna sua intervista: non aveva più voluto concederne per paura di sentirsi chiedere perché non aveva più scritto nulla...
Ripose il tutto nella vecchia valigia e si affacciò alla finestra. Fuori era già buio. Chiuse gli occhi e per qualche minuto prestò attenzione al rumore delle onde e all'odore di quel mare che, tanti anni prima, lo aveva aiutato. Si ricordò di quando, nel lontano 1952, tutti gli stavano alle costole per spingerlo a scrivere un altro libro e di quando lui, esasperato da così tanta insistenza, mentì annunciando che stava lavorando ad un'altra opera. Gli tornarono in mente le telefonate fiume del suo editore, che voleva sapere come procedeva quel suo nuovo lavoro, ed il giorno in cui, non riuscendo più a sostenere quella situazione, gli disse di averlo bruciato perché, dopo un'attenta rilettura, lo aveva trovato banale. Ripercorse poi, ad uno ad uno, i momenti più difficili della sua vita: l'editore che smise di cercarlo, i giornali che a poco a poco si dimenticarono di lui, la sua compagna che lo lasciò per un altro scrittore, il pubblico che smise di acquistare il suo libro, i soldi che finirono in fretta e le sue difficoltà ad adattarsi ad un lavoro ordinario dopo tanto successo. Non una famiglia, non un'occupazione stabile, non una donna fissa al fianco, non un ideale... Niente di niente, ad eccezione della solitudine e dell'oblio... E poi il nuovo successo, giunto del tutto inaspettato, che gli aveva ridato un po' di tranquillità economica, permettendogli di ritornare a Naoussa per una vacanza.
 
Quella sera si coricò tardi e, dopo una notte insonne, si alzò prima del solito. Verso le otto scese a far colazione e poi attese pazientemente le dieci per prendere l'autobus per Parikia.
Giunto nel capoluogo dell'isola, si recò direttamente a casa del dott. Kamazakis, suo amico da oltre mezzo secolo.
"A che cosa debbo che Pierazzoli venga a trovarmi?" esclamò l'altro in un italiano perfetto.
"Al mio bisogno di parlarti".
Il medico lo fece accomodare in un piccolo salotto e gli offrì una bibita fresca.
"Questa notte non ho chiuso occhio", esordì Pierazzoli tralasciando i convenevoli.
"Non hai digerito la cena?"
"Non ho cenato".
"Avverti qualche strano sintomo come, ad esempio, mal di testa..."
"No", lo interruppe lo scrittore. "Fisicamente sto bene, ma da quando sono arrivato qui mi sento particolarmente agitato. Forse ho fatto male a tornare..."
Il medico lo osservò attentamente e nei suoi occhi lesse i segni del suo tormento interiore.
"È da quando sei a Naoussa che non riesci più a dormire?"
"Sì".
"Come trascorri le tue giornate?"
"Non mi vedo con nessuno, vago per l'isola e leggo L'arcipelago dimenticato".
"Scommetto che stai di nuovo cercando di scrivere e che continui a non riuscirci..."
Lo scrittore scosse il capo.
"Questa volta ti sbagli di grosso".
"Che cosa c'è allora che non va?"
Pierazzoli esitò a lungo prima di rispondere.
"Sono stanco, stanco di mentire..."
"Di mentire su che cosa?"
"Su tutto, su di me, sul mio libro... La verità è che non ho mai scritto nulla e che non scriverò mai nulla perché non sono uno scrittore..."
Il medico sgranò gli occhi.
"Sì, io non ho mai scritto nulla!" ripeté Pierazzoli con voce ferma.
"No, no, questo non è vero... Tu sei l'autore di un libro bellissimo!"
"Io non ho mai scritto nulla", ripeté nuovamente Pierazzoli.
Il dott. Kamazakis si accese la pipa ed emise alcuni anelli di fumo.
"A diciannove anni lasciai la falegnameria di mio padre per entrare nei partigiani", prese a dire lo scrittore non sopportando più quel silenzio. "Conobbi subito un certo prof. Ascaris, docente di filosofia ed ex ufficiale, che mi prese sotto la sua ala protettiva trattandomi come un figlio. Un giorno mi chiamò in disparte e, dandomi un quaderno mi disse: "Promettimi che lo custodirai e che, se muoio, lo consegnerai a mia moglie affinché lo faccia pubblicare". Io annuii e lui, dandomi una pacca sulla spalla, aggiunse: "Ho sempre saputo di poter contare su di te!". Morì quel giorno stesso durante l'assalto ad un treno e la sua scomparsa mi lasciò un grande senso di vuoto. Per mia fortuna, però, la guerra finì dopo qualche settimana ed io feci ritorno a casa col prezioso quaderno e, naturalmente, con la ferrea intenzione di mantenere la mia promessa. Pur non essendo mai stato un amante della lettura, decisi di leggerne il contenuto prima di consegnarlo e così scoprii di avere tra le mani un vero capolavoro... Quella scoperta mi fece letteralmente perdere la testa e decisi di farlo pubblicare a mio nome... Cerca di capirmi: a quell'epoca ero soltanto un ragazzo pieno di sogni e, forse, dietro a quella pazzia si celava solo il mio desiderio di lasciare per sempre la falegnameria e di diventare qualcuno..."
"Perché l'hai chiamata pazzia?"
"Perché agii senza riflettere sulle possibili conseguenza del mio operato: se solo un'altra persona avesse letto prima di me quel quaderno o avesse trovato tra le sue carte le bozze di L'arcipelago dimenticato, io sarei stato smascherato..."
"Invece ti andò bene".
"Sì, devo ammettere che mi andò incredibilmente bene!"
"E poi che cosa successe?"
"Mio padre mancò nel luglio del '45 e, per quanto ciò possa sembrare disgustoso, la sua morte mi facilitò non poco le cose: grazie ai soldi della sua eredità mi fu possibile venire qui".
"Che bisogno avevi di venire proprio qui?" interruppe il medico sempre più disorientato.
"Prova un po' a riflettere: non mi ero mai mosso dal Piemonte e dovevo assolutamente trovare un modo per dimostrare di aver visitato questi luoghi prima di averli descritti tanto dettagliatamente. Solo così avrei potuto far credere di essere io il vero autore di L'arcipelago dimenticato..."
"E una volta giunto qui?"
"Ricopiai fedelmente il testo in modo che fosse scritto con la mia calligrafia e distrussi l'originale. Tornai in Italia e cercai un editore. Il resto della storia è noto".
"Finalmente ho capito perché non hai più pubblicato nulla!"
Pierazzoli sorrise.
"Se avessi scritto qualcosa, mi sarei dato la zappa sui piedi perché non sarei stato in grado di riprodurre lo stile del prof. Ascaris e la cosa non sarebbe di certo passata inosservata..."
Nella stanza calò il silenzio.
"È il rimorso che ti toglie il sonno?" domandò tutto ad un tratto il dott. Kamazakis.
"Sì... Non solo ho tradito la fiducia di una persona che ha creduto ciecamente in me, ma mi sono anche rovinato la vita..."
"Non ti è mai venuta la tentazione prima d'ora di svelare a qualcuno questo tuo segreto?" domandò l'altro posando delicatamente la pipa sul tavolino.
Sulle labbra di Pierazzoli ricomparve il sorriso.
"Sì, ma per farlo avrei dovuto essere meno vigliacco di quel che sono..."
"E perché hai deciso di farlo proprio ora con me?"
Pierazzoli abbassò lo sguardo, afferrò il bicchiere e sorseggiò lentamente la bibita.
"Tutto ha una fine", rispose giocherellando col bicchiere vuoto. "E per me è arrivato il momento di gettare la maschera..."
 
Il mattino seguente il dott. Kamazakis si alzò di buon ora e, preoccupato per l'amico, si recò a Naoussa. Entrò nella pensione dove alloggiava e chiese di lui ad una giovane cameriera.
"Mi pare che il sig. Pierazzoli non sia ancora sceso a colazione", rispose distrattamente la ragazza. "Se crede, può cercarlo in camera. Secondo piano, prima porta a destra".
Il medico si precipitò su per le scale e, giunto davanti alla porta della sua stanza, bussò. Non udendo nessuna risposta, bussò più forte e si accorse che la porta non era chiusa a chiave... Appoggiò la mano tremante sulla maniglia ed entrò. Nella penombra intravide lo scrittore disteso sul letto.
"Alessandro, Alessandro", chiamò con voce spezzata, ma l'altro non rispose.
Si chiuse la porta alle spalle ed accese la luce: il lenzuolo era completamente macchiato di sangue... Con passo veloce si avvicinò al letto, gli mise una mano sulla fronte e costatò che era già fredda. Sul tavolino scorse due lamette da barba insanguinate ed una busta con su scritto Per il dott. G. Kamazakis. L'aprì ed estrasse un bigliettino pinzato ad un'altra busta sigillata. Col dorso della mano si asciugò gli occhi pieni di lacrime e lesse:
 
Carissimo Amico,
 
ho finalmente capito che c'è un limite a tutto, anche alla menzogna, e che è giunto il momento della verità... Purtroppo, io non ho il coraggio di affrontarla e così ho dovuto farla finita...
Allegato a questo bigliettino, troverai un'altra lettera contenente la descrizione di come si sono svolti realmente i fatti. Ti prego, in nome della nostra grande amicizia, di divulgarla affinché si sappia che il vero autore di L'arcipelago dimenticato è il prof. Eugenio Ascaris.
 
Alessandro Pierazzoli
 
Circa un'ora dopo, la polizia fece il suo ingresso nella pensione ed il comandante, seguendo le solite procedure, interrogò subito tutti i presenti.
"So che è stato lei a rinvenire il corpo senza vita di Pierazzoli", disse rivolgendosi al medico. "Entrando nella sua camera ha per caso trovato una lettera o qualcosa di simile?"
"No", rispose l'altro scuotendo il capo. "Non ho trovato nulla..."
 

 

Concorso Marguerite Yourcenar 2000 a sez. narrativa
 
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©2000 Il club degli autori, Laura Bianco
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agg. 3 novembre 2000