-
- L'elefante non
dimentica
-
- Era un tenebroso giovedì sera e novembre
colava giù dagli edifici; tutto annunciava una
serata piuttosto tranquilla.
- La grossa berlina grigio scuro, attraversava
l'ultimo incrocio che la separava dalla galleria del
ricevimento. L'autista Rashid conduceva a fatica
l'auto tra l'intensa pioggia opaca ed il caotico
traffico serale.
- Nessuno aveva pronunziato una sola parola, ma
era consuetudine.
- Lui era seduto comodamente sui sedili
posteriori, immobile osservava il cemento nero e
lucido: gli sembrava vivo.
- Nell'istante in cui la mano destra accarezzava
il suo corrispettivo ginocchio, Rashid interrompeva
quel lungo silenzio meditativo:
- "Siamo arrivati sig. Suerte!".
- Il tempo di curvare il collo che a lato della
portiera posteriore si era piazzata una signorina in
soprabito chiaro, che agitava la mano, tenendo
nell'altra un grosso ombrello nero.
- "Rashid, hai la serata libera, la macchina
portala via con te, questo sono l'extra per stasera,
non bere troppo, ci vediamo domani".
- Elencò Ernesto Suerte, pittore cileno
trapiantato a Venezia.
- "Grazie..." Aveva balbettato l'autista nella
solitudine di una macchina vuota.
- "Sono felicissima d'incontrarla sig. Suerte,
tutti la stanno attendendo". Erano le parole che lo
accompagnarono dalla vettura all'ingresso della
galleria. Una scrollata all'ombrello fuori la porta,
poi definitivamente dentro. Lungo il corridoio della
moquette rossa, lui avanzava insieme al suo bastone in
ebano con la testa di giaguaro e la sua gamba
artificiale, col far sicuro di chi sa il fatto
suo.
- Per l'occasione non aveva fatto neanche la
barba.
- Troppa gente questa sera, la maggior parte di
loro mi vedrà per la prima volta e farà
finta di conoscermi, pensava.
- Sinceramente era la minima parte di tutto
quello che rovesciava sin dal pomeriggio, in quella
cava a forma di testa.
- Qualcuno si accorse del suo arrivo ed il brusio
si fece più intenso, straripando in un applauso
naturale che stranamente lo commosse. La sala
crepitava.
- Lui sorrideva con il giaguaro in mano.
- Dopo pochi minuti, nauseato dai soliti
complimenti si era spostato verso il tavolo del
rinfresco, con l'aria di chi ha bisogno di appartarsi
per non vomitare in mezzo alla sala; mentre
automaticamente portava la sua gamba dietro l'altra,
continuava a domandarsi il perché non avesse
optato per la solita serata in solitudine, a casa,
degustando qualcosa e fumando una delle sue sette
pipe, magari cariche d'erba, ascoltando l'intreccio
musicale di Bach.
- Solo punch al mandarino, ma che razza di
rinfresco è questo?
- Prese la bottiglia di minerale e se ne
servì un bicchiere.
- Sentiva il gorgogliare dell'acqua e la sua
testa si era allontanata di un paio di continenti. Si
capiva da quella ruga di fianco alla bocca, simile
alla smorfia per un morso d'asino.
- "Mi scusi, io volevo veramente complimentarmi
con lei, non credo che possa capire, io la ringrazio
per quello che fa, insomma, lei senza saperlo mi
dà la forza, non so se mi comprende".
- "Lei si preoccupa troppo di farsi capire e
lascia perdere l'istinto. Si ricordi una cosa..."
schiocco di dita, s.o.s.
- "Laura, mi chiamo Laura".
- "Beh... Laura, si ricordi che può
risultare fondamentale seguire il proprio istinto, e
comunque la ringrazio per avermi aspettato con
l'ombrello. Se non sono bagnato lo devo a lei". Disse
lui con tono molto formale.
- Addosso Laura non aveva più
l'impermeabile chiaro, e lui la stava a guardare,
fissandola e senza aspettare che la conversazione
continuasse.
- Quanti anni aveva e perché lo stava
aspettando fuori con l'ombrello scuro come il
cemento?
- "A che ora la vengono a prendere?".
- "Me ne andrò in taxi fra poco".
Esternò Ernesto ammiccando una sottile
complicità, che lasciò anche lui un po'
spiazzato.
- "Vuole per caso fingere un malore?". Sorrideva
come una bimba.
- "Bell'idea".
- "Non sia sciocco, non la lasceranno mai andare
via in taxi se si dovesse sentire male. La adorano
tutti, se n'è mai accorto? Facciamo
così, lei finge qualche fitta intercostale, ed
io poi penso ad accompagnarla con la mia macchina.
Sempre se non le dispiace".
- Era una scheggia, mentre pensava cosa
rispondere, la sua bocca pronunciò un
"perché no?".
- L'ultimo sorso di minerale, quasi a prendere
coscienza di una probabile ambiguità in una
situazione normale; "di prassi", avrebbe detto Carlo
Mentarini, suo unico amico e responsabile delle sue
pubbliche relazioni.
- Mentre nella sala di quadri poco brillanti
l'aria si riempiva di un mormorio di commenti, Ernesto
stava entrando a fatica dentro l'auto non troppo
piccola ma decisamente più scomoda della
sua.
- Si sentiva un ragazzino, era eccitato come
quando aveva conosciuto sua moglie, defunta insieme
alla gamba in un incidente stradale.
- Lui non guidava, le stava accanto, nei sedili
posteriori.
- L'anima di un uomo poteva scindersi dal proprio
corpo ed Ernesto Suerte ne era la prova
vivente.
- "Ma si sente bene?". Quasi squittì
Laura.
- "Certo, stavo pensando a dove potrebbero essere
le chiavi di casa!".
- "Spero che non si offenda se le chiedo di
entrare a casa sua, tanto per non terminare il sabato
sera in questo modo".
- "Lei lo sa che io ho una gamba
artificiale?".
- "Certo, crede che voglia venire a letto con
lei?".
- "Mi scusi, è che sono un po' stanco: un
bicchierino con qualcuno non può farmi che
bene".
- "Non frequenta molta gente, vero?".
- "La gente mi schifisce, frequento poche
persone".
- Dopo di che silenzio.
- Probabilmente erano soddisfatti di ciò
che si erano detti, e stavano godendo la
regolarità ed il rispetto del loro
incontro.
- La strada, asfaltata d'acqua, sembrava essersi
allungata, ed il tempo dilatatosi rendeva i silenzi
più partecipi.
- Si trovavano già nel salone della grande
casa, spuntata in mezzo al verde come un fungo, non
commestibile.
- Al centro della stanza dominava una grande
scrivania di legno scuro, piena di carte. Sopra di
queste, un sasso, delle dimensioni di un melone: un
fermacarte a forma di elefante.
- "Sembra un elefante!". Indicò Laura con
l'indice, sottile, bianco, dito curioso.
- "La sala dove bere qualcosa è da questa
parte".
- Fece andare avanti la ragazza minuta, dal
soprabito chiaro, perché si agitava quando
qualcuno lo seguiva e poteva osservarlo.
- Lei camminava a testa in su, studiando il
soffitto affrescato, stringendo le braccia incrociate
al petto, sperando di trovare un camino acceso,
perché lì dentro l'aria sembrava
gelida.
- Entrarono in una stanza più piccola che
deludeva il gran corridoio. Sorpresa e contenta si
sedette sul divano trapuntato di velluto bordeaux, di
fronte al camino stranamente acceso, quasi
scenografico.
- "Rahid deve essere già rientrato".
Spiegò indicando il camino.
- "È stupendo... lei è un uomo
fortunato". Disse lei con il naso ancora
all'insù.
- "Ti prego chiamami per nome, ma soprattutto non
credere mai a ciò che vedi".
- Si era fermato di fronte ad un tavolino basso e
rotondo, il legno con cui era costituito sembrava
perdersi nella quantità d'alcolici che lo
sormontavano.
- Ernesto ammiccò un sorriso in direzione
del suo ospite, disse che era abituato a berlo liscio,
precisando che la pancia che si presentava prima della
sua persona non era dovuta al Whiskey, ma al fatto che
apparteneva a forchette troppo viziose.
- Lei rispose assecondando ogni sua
dichiarazione, sostenendo d'avere problemi di linea e
di rischiare lo sfascio totale se si dovesse far
guidare dalla propria gola.
- "Ti dispiace se mi metto comodo?".
- "Ti pare? Anzi volevo chiederti se mi potevo
togliere le scarpe".
- "Okay, intanto potrei mettere su un po' di
musica, hai preferenze..."
- "Qualcosa d'inglese".
- Lui zoppicò sino alla fine della stanza,
dalla parte opposta del camino, frugò qualche
secondo nella libreria infestata da materiale audio,
video e carta stampata, si girò di scatto
dicendo solamente:
- "SMITHS!".
- Un piccolo stereo prese vita; "This Charming
Man" accompagnava fuori lo zoppicante
pittore.
- Alla fine della seconda traccia, mentre Laura
terminava di mettere due tronchetti di legna dentro il
camino, Ernesto entrò in stampelle, senza la
metà della gamba destra. Solo dopo qualche
secondo Laura notò il suo pigiama blu, pigiama
in doppio petto.
- "Ti senti in imbarazzo?". Disse lui, sperando
non la prendesse come una provocazione, perché
si divertiva a farlo.
- "No, scherzò. Che hai fatto?".
- Altro Whiskey, disse lui, mentre lei si
apprestava a sedersi sul divano bordeaux.
- Lo guardava in volto senza preoccupare il suo
animo di sembrare scortese e notò per la
seconda volta quella ruga incontrata al tavolo
rinfreschi.
- "Mia moglie stava per partorire; io ed un
giornalista che mi stava intervistando a casa
correvamo veloci nel traffico di mezza sera per
portarla in ospedale: erano passati quasi sette minuti
da quando le si erano rotte le acque, c'era tutto il
tempo ma lui continuava a correre come un pazzo. Io
ero eccitato, fatto d'adrenalina, la velocità
m'infastidiva, solo perché preoccupava mia
moglie. Aveva iniziato ad urlare all'uomo al volante,
che continuava a correre come un pazzo ripetendo di
non preoccuparsi perché aveva il patentino da
pilota...
- Esplosi dopo che mia moglie mi ferì
l'occhio facendolo sanguinare.
- Il giornalista guardò nello specchietto
retrovisore giusto il tempo per far fondere la
macchina attorno ad un albero, o un lampione, non
ricordo. Mia moglie sul cofano a pancia in giù,
il giornalista di fianco alla macchina che si
lamentava, io ero uscito vomitando sangue dalle
orecchie e in queste condizioni".
- Il dito indicò il divano di fianco alla
gamba sinistra.
- "Io mi scuso, ti prego perdonami, hai tutto il
mio rispetto, scusa".
- Disse lei cercando di non scusarsi nuovamente
per non doverlo rifare. Lo aveva abbracciato,
commossa, sola, anche Rashid non era mai
rincasato.
- "Servo un altro goccio".
- "Bene, può essere utile". La voce era la
sua ma Ernesto fece difficoltà a
riconoscersi.
- Traccia 12: "Some girls are bigger than
others".
- Alle volte perdo la ragione, e faccio cose che
in altri momenti reputerei devastantemente
compromettenti, tanto da poter vessare tutta la
passione per la pittura, mi mangerei una valigetta di
colori ad olio, m'inietterei acrilico in vena... morte
sicura e veloce. Ma me ne sono sempre fregato della
velocità e della morte. Forse non sempre, ma in
tutto questo tempo ho definito che la morte è
come una vincita... se la cerchi è difficile
che ti venga incontro.
- Sapeva di naufragare e ne conosceva anche il
motivo: il bacio umido, morbido, caldo quanto il
camino, al Whiskey, inalato, inaspettato, lo fece
quasi gemere.
- Il bicchiere che con un lancio atletico si
sarebbe dovuto infilare dentro il camino, si era
sbriciolato sul lato sinistro dello stesso, rendendo
impraticabile il suolo per tutta l'ampiezza del
divano.
- Ernesto Suerte: condannato a sudare per
togliersi i vestiti di dosso.
-
- Il sangue cola giù dal cofano
dell'autovettura, quasi sente il vagito provenire dal
motore, abbracciato al palo più solido di
questa terra.
- Non dovevamo essere già
arrivati?
- Respira ti prego, non mi senti? Respira e
girati che ti fai male, Amore ti stai schiacciando la
pancia.
- Il fumo, la gente che passa indica e poi
riparte, una rondine si nutre della placenta come un
avvoltoio: fragole rosse fatte poltiglia.
- Non riesci a girarti?
- Il giornalista idiota parla di colpe, lui ha
famiglia, ripete. Striscia chiedendo scusa.
- Non ti avvicinare, testarda testa di cazzo, non
mi tirare... dove sta la mia gamba?
- Il cemento è liquido, porpora, fumante
di sangue. Questo è l'ultimo "mi dispiace" che
pronuncia questo nano baffuto lacchè di
belzebù, che ora sfoggia in mezzo alla fronte
una grossa pietra, incastrata nel cranio come fosse
preziosa.
- La pietra a forma d'elefante accucciato,
ritorna nella mano del Davide ormai zoppo, per sparire
con un balzo al lato della strada, nella savana
d'erbacce.
- Prima di rimbalzare per l'ultima volta, un
barrito assordante si miscela ad urla spettrali e
disumane del dolore, alimentato dal ferroso e
dolciastro sapore di denso sangue.
-
- Elefanti, urla, rondini carnivore, si leggevano
scritte con il sudore nel pigiama poggiato sul petto
nudo d'Ernesto.
- La stanza era vuota di lei, ma la luce chiara
del giorno spazzava via la paura degli incubi
intrapresi in solitaria.
- Echeggiava il barrito del sasso elefante, ma
era solo il telefono, nella stanza della grande
scrivania.
- "Pronto". Grugnì Ernesto.
- "Ciao, sono lo stronzo che gestisce le tue
pubbliche relazioni, nonché il tuo unico amico.
Ho saputo che ieri sera te la sei svignata con la
figlia del gallerista: era incazzato nero, pensa che
per calmarlo ho dovuto raccontare che oltre che zoppo
sei anche impotente. In ogni modo è andata
benissimo. Sono subito da te".
- "Oggi no Carlo". Chiuse il telefono.
- L'unico piede che aveva pralinato al vetro; ci
mise circa un'ora per estrarne i pezzi dalla
pianta.
- Giusto il tempo di ricapitolare.
- Poi si girò verso la sinistra,
fissò il sasso guardiano di carte e vide che vi
era attaccato un post-it, con sopra scritto:
- "Preparati per le 21,15, passo io. Baci,
Laura".
- Davanti allo specchio ascoltava il suo riflesso
che continuava a spiegargli che nell'universo le cose
andavano così:
- l'uomo muore, una stella collassa,
- l'uomo uccide, un buco nero si succhia un
astro,
- un pittore intraprende una nuova strada, un
sole esplode e crea il caos.
- La solita ruga aveva trovato compagnia,
accoglievano le estremità di un sorriso,
spontaneo proprio come il caos.
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