Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Giovanni Pieri
Con questo racconto ha vinto il decimo premio ex aequo del concorso Città di Melegnano 2002, sezione narrativa

Fine millennio
 

31/12/1999, h. 23,40

 
Non mi rendevo conto da quanto tempo fossi seduto accanto a lui osservandolo nell'oscurità di quella stanza rischiarata dal fioco bagliore di una lampada al neon. Due ore, forse tre o quattro. Ogni particolare, ogni oggetto, ogni contorno di tutto ciò che mi circondava sembrava immoto, cristallizzato come in un'antica piramide egizia, avvolto da un profondo silenzio, scalfito soltanto dai suoni lontani di un televisore acceso nella saletta adiacente la corsia e dal suo fievole respiro.
In verità avrei desiderato che fosse stato così, che il tempo improvvisamente cessasse la sua inesorabile corsa o, addirittura, tornasse indietro, all'epoca in cui ero un bambino, quando lui mi portava la domenica mattina sulle spalle robuste a vedere i treni alla stazione oppure, nel pomeriggio, i film western che proiettavano nel circolo del paese.
Era un ricordo lontano, sbiadito, sospeso sul confine fra l'immaginario e la realtà, ma che riaffiora adesso, a poco a poco, dalle tenebre della mia mente, quasi per incanto. Lo rivedevo con la pelle del viso tesa, il busto eretto, i capelli scuri ed ondulati, lo sguardo fiero e sorridente mentre la sera, pur tornando a casa tardi dal lavoro, si sedeva sul tappeto, mi prendeva fra le sue braccia e si lasciava assalire dall'irrefrenabile impeto che mi animava trascinandoci in una lotta vorticosa, come quella di epici guerrieri.
 
Un frettoloso infermiere entrò nella camera a controllare il livello del flacone della fleboclisi. Aveva l'aria rassegnata di chi doveva svolgere il turno di lavoro proprio l'ultimo giorno dell'anno. Prima di andarsene mi disse che anche nell'ospedale, a mezzanotte, sarebbe stata stappata una bottiglia di spumante nella saletta della televisione.
Mi alzai verso la finestra e sbirciai fra le fessure della persiana. Sembrava una notte come tutte le altre e non traspariva affatto quel fermento che aveva pervaso il mondo nei giorni precedenti. Tornai vicino al letto ed il pensiero di essere ad un passo dal duemila richiamò ancora i miei ricordi.
 
Una volta mi aveva accompagnato in città ad assistere alla novità cinematografica "2001 Odissea nello spazio". Ero troppo piccolo per comprendere il significato del film, ma non abbastanza per rammentare che l'anno duemila, così lontano, sembrava davvero appartenere alla fantascienza, ad un altro pianeta, ad un'altra dimensione, come si trattasse di un'entità eterea, intangibile, inimmaginabile.
"Adesso c'è la disoccupazione, c'è chi muore di fame, ci sono malattie incurabili, ci sono persone che per governare promettono sempre tante belle cose senza mai mantenerle, ci sono le guerre - mi diceva serio come preoccupato di soppesare bene le parole - ma nel duemila...".
Poi proseguiva, schiudendosi in un sorriso: "Quell'anno sarai quarantenne, proprio come me adesso".
Infine, fissava i suoi grandi occhi neri nel vuoto e sospirava con una nota di sconforto: "Chissà io dove sarò".
Quell'espressione aveva così turbato la mia sensibilità che, per quanto potevo, aveva tentato di confortarlo: "Ma cosa dici! Saremo insieme, come sempre", e riuscii a stringergli il pollice, grande quasi quanto la mia minuta mano di bambino.
 
Adesso ero lì vicino a lui e, almeno per il primo giorno dell'anno, avrei mantenuto quella promessa.
Accarezzavo con lo sguardo i suoi capelli grigi, scomposti dalla lunga permanenza nel letto, e le rughe impietose che gli attraversavano il viso. Un improvviso senso di tenerezza mi strinse il cuore, immediatamente seguito da una sorta di doloroso rimorso. Non riuscivo a capacitarmi della mia passata ottusità, di come avessi potuto malgiudicare quell'uomo senza aver prima approfondito la verità, barricandomi dietro un muro di indifferenza e di astio che mi aveva tenuto lontano da lui per anni. Non sopportavo l'idea di come avessi potuto gettare al vento tutto quel tempo, da quando aveva lasciato la famiglia, ostinandomi a rifiutare ciecamente ogni sua spiegazione, limitandomi ad offrirgli soltanto un'impassibile freddezza.
 
Dal corridoio giunse un rumoreggiare di gente in ciabatte che dalle camere convogliava verso la sala della televisione. "Presto, mancano solo pochi minuti ormai" esclamava qualche voce concitata.
Il mondo, come una bomba innescata, era sull'orlo dell'esplosione, ma il suo respiro si faceva sempre più debole e quegli occhi, semichiusi, parevano in perpetuo torpore. Mai come ora avevo ardentemente desiderato che si aprissero. Avevo cento, mille, troppe cose da raccontargli della mia vita, del mio matrimonio con una donna eccezionale, del nipotino che avrebbe voluto giocare con lui, della mia professione, dei miei successi. Avrei voluto commentare con lui il campionato di calcio, l'automobile che stavo per acquistare, le novità bibliografiche.
Il volume della televisione fu alzato ed un coro di voci scandiva il conto alla rovescia verso la mezzanotte. "Quindici, quattordici, tredici...".
Avrei voluto camminare insieme a lui per i viottoli di campagna, dialogare di tutto quello che ci circondava, delle condizioni atmosferiche, del paesaggio, della vita, dell'amicizia, del nuovo millennio che stava per arrivare, constatare con amara ironia che la disoccupazione, la fame, le malattie incurabili, le guerre e i governanti che promettevano senza mantenere mai c'erano ancora, proprio come trenta anni fa.
"Dieci, nove, otto...".
Avrei voluto trovare conforto nei suoi consigli, ascoltare le sue storie che un tempo mi avevano affascinato, dissetato, riempito la fantasia e che mai avevo dimenticato. Avrei voluto stringerlo a me con tutta la forza come un naufrago avvinghiato ad una trave galleggiante in mezzo all'oceano.
"Sei, cinque, quattro...".
Mentre i cori scandivano i secondi, il battito del mio cuore segnava i rintocchi di un amore di ancestrale memoria che ritronava prepotentemente la sua forza.
"Tre, due, uno...".
Un fragoroso scoppiettio di petardi squarciò il silenzio della notte ed una miriade di bagliori colorati filtrò dalle fessure della finestra come fossero raggi di sole.
Mi avvicinai a lui ed abbracciandolo forte sussurrai: "Auguri babbo".
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