Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Gian Paolo Sammarco
Con questo racconto ha vinto l'ottavo premio del concorso Concorso Letterario Fonopoli 1999 sezione narrativa
 
Temporale
 
Marco era al mare, con i suoi amici. Le nubi si disposero fitte a coprire il sole, sempre più scure. Forse era meglio spingersi verso l'interno, dietro le dune di sabbia, dove la vegetazione andava crescendo. Avrebbero potuto trovare riparo sotto i pini, prima di abbandonare la costa.
C'era un'aria strana, pesante. Tutti si sentivano un'inspiegabile oppressione addosso. Il cielo aveva un aspetto insolito, cupo, come in una giornata d'inverno. La gente, spaventata, si era accalcata tutta dietro le dune. Marco salì sull'orlo del cumulo di sabbia: rimase senza parole. Il mare, di una calma inquietante, si stava ritraendo verso l'orizzonte. L'oscurità, che cresceva sempre di più, rendeva visibili, in lontananza, dei lampi che si stagliavano in alto, a nord. Venivano sempre più vicino. Marco scese verso i suoi compagni: "Presto! Sdraiatevi a terra!".
La confusione cresceva, ma, resisi conto del pericolo, cominciarono a distendersi tutti. Eccetto Matteo, che non dette in minimo peso a quell'incitamento ed al rischio che era ormai evidente. Cominciò a camminare, salì sulla duna e si diresse verso il mare. Marco provò a chiamarlo, senza ottenere risposta. Allora gli corse dietro, lo raggiunse e lo spinse a terra. Si ritrovò supina accanto a lui, con il braccio intorno alle sue spalle. "Sei pazzo! Vuoi fare da parafulmine! Guarda il mare, ma che sta succedendo?" Marco era terrorizzato, come tutto il resto della gente che ormai si era spinta verso il paese, oltre la pineta.
Matteo non rispose, alzò la testa e portò lo sguardo verso l'orizzonte. Dopo qualche secondo guardò l'amico e gli disse: "Hai paura, vero?".
"Come fai a rimanere impassibile?", rispose Marco.
"Sei tu, che fai tutto questo. Proprio non capisci?".
"Io! Ma che vuoi dire?".
"Guarda", Matteo indicò la linea fin dove si era ritirato il mare, "Si spingerà ancora oltre. Poi tornerà indietro con tutta la sua furia e ci sommergerà".
"Oh, no! Un maremoto!", Marco si lasciò cadere, si sentiva impotente.
"Come faremo a salvarci? Andiamo via, muoviamoci!".
"Non servirà. Ma stai tranquillo, se vuoi andiamo", Matteo si alzò in piedi e tese la mano al suo compagno.
Cominciarono a camminare verso l'interno. Marco non riusciva proprio a dare ordine a tutto ciò che gli passava per la mente in quel momento. Non aveva mai visto una cosa del genere eppure tutto sembrava così familiare, come se fosse già successo altre volte.
"Matteo!", esclamò Marco, che era rimasto qualche passo indietro. "Perché fai così, non hai nemmeno un po' di paura? Proprio tu, che hai il terrore della morte!".
"Qui non c'è d'aver paura", rispose Matteo, "ancora non capisci! Guarda, non è forse tutto così ben definito? Dipende tutto da te".
"Non è questo. C'è qualcosa che non comprendo. Io vorrei, non so… è tutto così difficile. Vorrei che tutto fosse in un certo modo, che tutti potessero capire. Invece guarda, fuggono tutti, non sono solo io… Non è solo colpa mia… Matteo, tu puoi aiutarmi vero?".
"Vieni!", rispose Matteo sorridendo, che, preso sotto braccio Marco si girò verso il mare.
D'improvviso, un'onda alta una trentina di metri si avvicinò verso di loro, fino ad investirli. Era terribile, si sentirono rotolare sott'acqua. Ormai era finita. Marco rivide tutta la sua vita, la nascita, le prime poppate dal seno della madre, la scuola, gli amici, ogni suo amore. Matteo era accanto a lui, lo teneva per mano, ancora sorridente. Sembrava lasciarsi cullare dalle correnti marine, fin quando riuscirono ad arrivare in superficie. Il cielo si stava schiarendo, ma tutta la terra era sommersa.
"E adesso? Dove siamo?", chiese Marco.
"Non ci pensare, almeno per un po'. Cerca di concentrarti solo su questo momento, coglilo così com'è. Vedi, non è poi così difficile", disse Matteo agitando lentamente le braccia, per tenersi a galla.
"Matteo, sai che forse ci comincio a veder chiaro!".
"Calmo, aspetta ancora un po'".
"No… no… Ho capito! Come ho fatto a non pensarci prima!". Per la prima volta Marco sorrise ed i suoi occhi brillarono di un intenso stupore: "Quanto sforzi, quante energie! Non riuscivo a scrivere, ad esprimere ciò che veramente volevo dire… Ma ora ho capito! Avevo tutto il necessario… Come ho fatto a non pensarci… Bastava avervi tutti così, come siete".
Matteo divenne riflessivo: "Aspetta! Manca qualcosa…".
"Certo!", lo interruppe Marco, "…Mano io. Quel mare, il buio, il cielo… tutte le mie inquietudini. Perché cambiarle? Sono così come sono. Ho sempre cercato di fuggirle, ma che senso ha?".
Marco d'un tratto si svegliò. Era sudato. Guardò l'orologio: era mezzogiorno. Doveva finire il suo racconto. Si fece una doccia fredda, come era solito fare nelle calde mattine d'estate, e si vestì. Mangiò in fretta gli avanzi della cena della sera prima ed una mela. Scese di corsa le scale.
Spesso scriveva la notte, nella sua stanza, che dava su una vasta pineta. Il giorno, invece, preferiva andare in una piccola biblioteca, che pochi conoscevano. I libri erano custoditi su una fila di dieci scaffali polverosi. Oltre questi, accanto a de scrittoi di legno, circondati da otto sedie ciascuno, c'era una scultura, che ricordava vagamente don Qujote. Si scorgeva fin dall'ingresso, in penombra. Vista da lontano era inquietante ed austera, ma avvicinandosi, assumeva sempre di più un'aria familiare, quasi fosse un tutt'uno con quel sicuro rifugio, fatto di legno antico e carta stampata. Sembrava esistere da sempre.
Aveva camminato per dieci minuti, sotto il sole. Entrò: "Buon giorno!", disse salutando, "Posso sedermi a un tavolo? Vorrei anche prendere un paio di libri".
"Ciao. Fai pure. È tutto libero, come al solito, qui non c'è mai nessuno, come vedi", rispose il vecchio bibliotecario, con un'aria un po' malinconica. La sua voce pacata trasmetteva una tranquillità senza confini. Era come se il tempo si fosse fermato, in quel luogo.
Marco oltrepassò le librerie ed arrivò nello studio, che sembrava più buio del solito. Ripensò al sogno, restò per un attimo in piedi. Fissò lo sguardo di fronte a sé, verso il don Quijote. Poi cominciò a camminare fra le librerie, guardando distrattamente i titoli scritti sulle costole dei volumi. Ne prese uno e cominciò a sfogliarlo. Lesse qualche frase, qua e là, saltando fra le righe come un corvo in un campo arato, che si posa, inghiotte un chicco di grano, spicca il volo e atterra di nuovo, qualche metro più avanti. Posò quel libro, ne prese un altro, poi un altro ancora.
"Marco. Ti chiami Marco, vero?", dietro di lui apparve Enzo, il bibliotecario. Doveva sentirsi molto solo, cercava qualcuno con cui parlare un po'.
"Sì", rispose Marco, un po' stupido. Si ricordò di aver detto, qualche mese prima, il suo nome ad Enzo, per prendere un libro in prestito.
"Tu scrivi, non è così?".
"Diciamo che ci provo… insomma, mi piacerebbe… ma, sa è difficile", Marco era un po' in ansia. Non aveva gran voglia di parlare. Enzo lo aveva capito e voltandosi si incamminò verso la sua scrivania, nella saletta d'ingresso, dicendo timidamente: "Scusami se ti disturbo, ma volevo farti vedere una cosa". Aprì un piccolo cassetto e ne estrasse un volumetto con la copertina logorata dal tempo e le pagine ingiallite. Lo porse a Marco, che lo prese fra le mani e lo aprì. C'erano delle poesie.
"L'ho scritto tanto tempo fa. Era da poco finita la guerra. A quel tempo facevo il contadino". Enzo riprese a parlare: "La sera, quando tutti erano ansati a dormire, io rimanevo alzato ancora un po'. Ero stanco, ma trovavo quella mezz'oretta per appuntare qualche verso", dopo un attimo di silenzio, alzò lo sguardo verso Marco e il suo tono di voce si fece più sicuro e deciso: "Prendilo, se vuoi. Mi piacerebbe che tu lo leggessi".
"Grazie!", Marco era di poche parole, con chi non conosceva bene. Si sentiva in imbarazzo, non sapeva cosa dire. Si rese conto che bastava un niente per ferire Enzo e che questi, insieme alle sue poesie, gli aveva dato ciò che di più caro aveva.
Fra quei versi scarni c'era tutta una vita. In quel momento, Marco avrebbe dato un senso a tutta un'esistenza.
Anche Enzo non parlava molto e, congedandosi, disse: "Mi farai sapere se ti sono piaciute?".
"Ma certo!", rispose Marco, incamminandosi verso gli scrittoi. Si sedette, sfogliò le prime pagine e giunse ai primi versi;
 
Non troverò mai le parole
per dipingere te, amata terra,
le tue bestie e l'oro dei frutti,
che colsi a ogni stagione.
 
Si fermò. D'un tratto sentì che tutto gli stava così vicino da togliergli il respiro. Inspirò profondamente. L'aria satura di legno antico e libri ammuffiti era una sferzata violenta alla sua anima. Il cavaliere era lì, sorrideva: aveva per anni combattuto con dei mulini a vento ma, adesso, aveva deciso di fermarsi a guardare il mondo, chi di passaggio fosse entrato in quell'antro e avesse deciso di fermarsi a pensare anch'egli, a raccogliere memorie d'altri tempi e d'altri uomini.
Marco sentì il soffitto premere sulla sua testa e gli scaffali cascargli addosso. Poteva nuotare fra quel cumulo di libri e, di tanto in tanto, prenderne in mano qualcuno, leggere un po', poi dar di nuovo due bracciate. Fuori il mondo continuava a camminare, nessuno si sarebbe accorto di nulla. Così prese i suoi fogli di carta bianca e, con la penna in mano, alzò lo sguardo verso l'uomo a cavallo, poi fissò gli occhi mansueti dell'animale. Sorrise. Abbassò lo sguardo e cominciò a scrivere:
"Ero al mare, con i miei amici. Le nubi si disposero fitte a coprire il sole…".
 

 

Concorso Letterario Fonopoli 1999 a sez. narrativa
 
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ins. 29 settembre 2000