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                  Temporale  Marco era al mare, con i suoi amici. Le nubi si
               disposero fitte a coprire il sole, sempre più
               scure. Forse era meglio spingersi verso l'interno,
               dietro le dune di sabbia, dove la vegetazione andava
               crescendo. Avrebbero potuto trovare riparo sotto i
               pini, prima di abbandonare la costa.C'era un'aria strana, pesante. Tutti si
               sentivano un'inspiegabile oppressione addosso. Il
               cielo aveva un aspetto insolito, cupo, come in una
               giornata d'inverno. La gente, spaventata, si era
               accalcata tutta dietro le dune. Marco salì
               sull'orlo del cumulo di sabbia: rimase senza parole.
               Il mare, di una calma inquietante, si stava ritraendo
               verso l'orizzonte. L'oscurità, che cresceva
               sempre di più, rendeva visibili, in lontananza,
               dei lampi che si stagliavano in alto, a nord. Venivano
               sempre più vicino. Marco scese verso i suoi
               compagni: "Presto! Sdraiatevi a terra!".La confusione cresceva, ma, resisi conto del
               pericolo, cominciarono a distendersi tutti. Eccetto
               Matteo, che non dette in minimo peso a
               quell'incitamento ed al rischio che era ormai
               evidente. Cominciò a camminare, salì
               sulla duna e si diresse verso il mare. Marco
               provò a chiamarlo, senza ottenere risposta.
               Allora gli corse dietro, lo raggiunse e lo spinse a
               terra. Si ritrovò supina accanto a lui, con il
               braccio intorno alle sue spalle. "Sei pazzo! Vuoi fare
               da parafulmine! Guarda il mare, ma che sta
               succedendo?" Marco era terrorizzato, come tutto il
               resto della gente che ormai si era spinta verso il
               paese, oltre la pineta.Matteo non rispose, alzò la testa e
               portò lo sguardo verso l'orizzonte. Dopo
               qualche secondo guardò l'amico e gli disse:
               "Hai paura, vero?"."Come fai a rimanere impassibile?", rispose
               Marco."Sei tu, che fai tutto questo. Proprio non
               capisci?"."Io! Ma che vuoi dire?"."Guarda", Matteo indicò la linea fin
               dove si era ritirato il mare, "Si spingerà
               ancora oltre. Poi tornerà indietro con tutta la
               sua furia e ci sommergerà"."Oh, no! Un maremoto!", Marco si lasciò
               cadere, si sentiva impotente."Come faremo a salvarci? Andiamo via,
               muoviamoci!"."Non servirà. Ma stai tranquillo, se
               vuoi andiamo", Matteo si alzò in piedi e tese
               la mano al suo compagno.Cominciarono a camminare verso l'interno. Marco
               non riusciva proprio a dare ordine a tutto ciò
               che gli passava per la mente in quel momento. Non
               aveva mai visto una cosa del genere eppure tutto
               sembrava così familiare, come se fosse
               già successo altre volte."Matteo!", esclamò Marco, che era
               rimasto qualche passo indietro. "Perché fai
               così, non hai nemmeno un po' di paura? Proprio
               tu, che hai il terrore della morte!"."Qui non c'è d'aver paura", rispose
               Matteo, "ancora non capisci! Guarda, non è
               forse tutto così ben definito? Dipende tutto da
               te"."Non è questo. C'è qualcosa che
               non comprendo. Io vorrei, non so
 è tutto
               così difficile. Vorrei che tutto fosse in un
               certo modo, che tutti potessero capire. Invece guarda,
               fuggono tutti, non sono solo io
 Non è
               solo colpa mia
 Matteo, tu puoi aiutarmi
               vero?"."Vieni!", rispose Matteo sorridendo, che, preso
               sotto braccio Marco si girò verso il
               mare.D'improvviso, un'onda alta una trentina di
               metri si avvicinò verso di loro, fino ad
               investirli. Era terribile, si sentirono rotolare
               sott'acqua. Ormai era finita. Marco rivide tutta la
               sua vita, la nascita, le prime poppate dal seno della
               madre, la scuola, gli amici, ogni suo amore. Matteo
               era accanto a lui, lo teneva per mano, ancora
               sorridente. Sembrava lasciarsi cullare dalle correnti
               marine, fin quando riuscirono ad arrivare in
               superficie. Il cielo si stava schiarendo, ma tutta la
               terra era sommersa."E adesso? Dove siamo?", chiese Marco."Non ci pensare, almeno per un po'. Cerca di
               concentrarti solo su questo momento, coglilo
               così com'è. Vedi, non è poi
               così difficile", disse Matteo agitando
               lentamente le braccia, per tenersi a galla."Matteo, sai che forse ci comincio a veder
               chiaro!"."Calmo, aspetta ancora un po'"."No
 no
 Ho capito! Come ho fatto a
               non pensarci prima!". Per la prima volta Marco sorrise
               ed i suoi occhi brillarono di un intenso stupore:
               "Quanto sforzi, quante energie! Non riuscivo a
               scrivere, ad esprimere ciò che veramente volevo
               dire
 Ma ora ho capito! Avevo tutto il
               necessario
 Come ho fatto a non pensarci
               Bastava avervi tutti così, come
               siete".Matteo divenne riflessivo: "Aspetta! Manca
               qualcosa
"."Certo!", lo interruppe Marco, "
Mano io.
               Quel mare, il buio, il cielo
 tutte le mie
               inquietudini. Perché cambiarle? Sono
               così come sono. Ho sempre cercato di fuggirle,
               ma che senso ha?".Marco d'un tratto si svegliò. Era
               sudato. Guardò l'orologio: era mezzogiorno.
               Doveva finire il suo racconto. Si fece una doccia
               fredda, come era solito fare nelle calde mattine
               d'estate, e si vestì. Mangiò in fretta
               gli avanzi della cena della sera prima ed una mela.
               Scese di corsa le scale.Spesso scriveva la notte, nella sua stanza, che
               dava su una vasta pineta. Il giorno, invece, preferiva
               andare in una piccola biblioteca, che pochi
               conoscevano. I libri erano custoditi su una fila di
               dieci scaffali polverosi. Oltre questi, accanto a de
               scrittoi di legno, circondati da otto sedie ciascuno,
               c'era una scultura, che ricordava vagamente don
               Qujote. Si scorgeva fin dall'ingresso, in penombra.
               Vista da lontano era inquietante ed austera, ma
               avvicinandosi, assumeva sempre di più un'aria
               familiare, quasi fosse un tutt'uno con quel sicuro
               rifugio, fatto di legno antico e carta stampata.
               Sembrava esistere da sempre.Aveva camminato per dieci minuti, sotto il
               sole. Entrò: "Buon giorno!", disse salutando,
               "Posso sedermi a un tavolo? Vorrei anche prendere un
               paio di libri"."Ciao. Fai pure. È tutto libero, come al
               solito, qui non c'è mai nessuno, come vedi",
               rispose il vecchio bibliotecario, con un'aria un po'
               malinconica. La sua voce pacata trasmetteva una
               tranquillità senza confini. Era come se il
               tempo si fosse fermato, in quel luogo.Marco oltrepassò le librerie ed
               arrivò nello studio, che sembrava più
               buio del solito. Ripensò al sogno, restò
               per un attimo in piedi. Fissò lo sguardo di
               fronte a sé, verso il don Quijote. Poi
               cominciò a camminare fra le librerie, guardando
               distrattamente i titoli scritti sulle costole dei
               volumi. Ne prese uno e cominciò a sfogliarlo.
               Lesse qualche frase, qua e là, saltando fra le
               righe come un corvo in un campo arato, che si posa,
               inghiotte un chicco di grano, spicca il volo e atterra
               di nuovo, qualche metro più avanti. Posò
               quel libro, ne prese un altro, poi un altro
               ancora."Marco. Ti chiami Marco, vero?", dietro di lui
               apparve Enzo, il bibliotecario. Doveva sentirsi molto
               solo, cercava qualcuno con cui parlare un
               po'."Sì", rispose Marco, un po' stupido. Si
               ricordò di aver detto, qualche mese prima, il
               suo nome ad Enzo, per prendere un libro in
               prestito."Tu scrivi, non è
               così?"."Diciamo che ci provo
 insomma, mi
               piacerebbe
 ma, sa è difficile", Marco era
               un po' in ansia. Non aveva gran voglia di parlare.
               Enzo lo aveva capito e voltandosi si incamminò
               verso la sua scrivania, nella saletta d'ingresso,
               dicendo timidamente: "Scusami se ti disturbo, ma
               volevo farti vedere una cosa". Aprì un piccolo
               cassetto e ne estrasse un volumetto con la copertina
               logorata dal tempo e le pagine ingiallite. Lo porse a
               Marco, che lo prese fra le mani e lo aprì.
               C'erano delle poesie."L'ho scritto tanto tempo fa. Era da poco
               finita la guerra. A quel tempo facevo il contadino".
               Enzo riprese a parlare: "La sera, quando tutti erano
               ansati a dormire, io rimanevo alzato ancora un po'.
               Ero stanco, ma trovavo quella mezz'oretta per
               appuntare qualche verso", dopo un attimo di silenzio,
               alzò lo sguardo verso Marco e il suo tono di
               voce si fece più sicuro e deciso: "Prendilo, se
               vuoi. Mi piacerebbe che tu lo leggessi"."Grazie!", Marco era di poche parole, con chi
               non conosceva bene. Si sentiva in imbarazzo, non
               sapeva cosa dire. Si rese conto che bastava un niente
               per ferire Enzo e che questi, insieme alle sue poesie,
               gli aveva dato ciò che di più caro
               aveva.Fra quei versi scarni c'era tutta una vita. In
               quel momento, Marco avrebbe dato un senso a tutta
               un'esistenza.Anche Enzo non parlava molto e, congedandosi,
               disse: "Mi farai sapere se ti sono
               piaciute?"."Ma certo!", rispose Marco, incamminandosi
               verso gli scrittoi. Si sedette, sfogliò le
               prime pagine e giunse ai primi versi; Non troverò mai le paroleper dipingere te, amata terra,le tue bestie e l'oro dei frutti,che colsi a ogni stagione. Si fermò. D'un tratto sentì che
               tutto gli stava così vicino da togliergli il
               respiro. Inspirò profondamente. L'aria satura
               di legno antico e libri ammuffiti era una sferzata
               violenta alla sua anima. Il cavaliere era lì,
               sorrideva: aveva per anni combattuto con dei mulini a
               vento ma, adesso, aveva deciso di fermarsi a guardare
               il mondo, chi di passaggio fosse entrato in
               quell'antro e avesse deciso di fermarsi a pensare
               anch'egli, a raccogliere memorie d'altri tempi e
               d'altri uomini.Marco sentì il soffitto premere sulla
               sua testa e gli scaffali cascargli addosso. Poteva
               nuotare fra quel cumulo di libri e, di tanto in tanto,
               prenderne in mano qualcuno, leggere un po', poi dar di
               nuovo due bracciate. Fuori il mondo continuava a
               camminare, nessuno si sarebbe accorto di nulla.
               Così prese i suoi fogli di carta bianca e, con
               la penna in mano, alzò lo sguardo verso l'uomo
               a cavallo, poi fissò gli occhi mansueti
               dell'animale. Sorrise. Abbassò lo sguardo e
               cominciò a scrivere:"Ero al mare, con i miei amici. Le nubi si
               disposero fitte a coprire il sole
".  |