Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti
Franco Nervo
Ha pubblicato il libro
Franco Nervo, Tempo spettinato
 
Collana Le schegge d'oro (i libri dei premi) 14x20,5 - pp. 104 - Euro 10,00 - ISBN 88-8356-329-8
 

Questo libro è stato stampato con il contributo

de IL CLUB degli autori in quanto l'autore
è 4° classificato nel concorso
"M. Yourcenar" 2001 sez. narrativa
 
 

Prefazione

Incipit

Prefazione
Un colpo di vento muove un "tempo spettinato" e capriccioso che ondeggia tra passato e futuro, lasciandoci sospesi nel presente. Un tempo che, con i suoi scherzi, mi ripropone dietro l'angolo l'amico di sempre. L'amico di una vita.
Per anni sono stata il suo orecchio, pronta ad accogliere sfoghi, emozioni, letture, canzoni. Ora tocca a me "farmi parola" per augurare un buon viaggio a questi suoi racconti che andranno ad incontrare lettori sconosciuti.
 
Dunque, Lettore Senza Volto, che cosa cercherai tra le pagine di questo libro?
Brevi storie sui paradossi spazio-temporali, viaggi nel tempo, giochi e sberleffi della vita, finali fulminanti, voci che emergono da un passato vicino o lontanissimo. E in sottofondo, melodia e accompagnamento, accordi di chitarra, grande amore per sempre.
Una moltitudine di storie e di destini che si incrociano e convivono, racchiusi e conclusi, in questo libro-scrigno.
Storie, mondi, personaggi che vivono e si nutrono delle passioni di Franco Nervo, passioni che lo seguono dall'adolescenza e che ha coltivato con caparbietà e fedeltà nella sua vita.
 
Credo si possa guardare a questo libro come a una bella tavola imbandita: "Amici, questo ho preparato per voi. Accomodatevi. Servitevi. Credo vi piacerà".
 

Paola Bertolino

 

(docente, curatrice e ricercatrice

nel campo della letteratura per la gioventù)

 
 
Incipit
 

A Moja

che ha disegnato questo libro
e la mia vita
 
 
BUONI PROPOSITI
I calzari sono scomodissimi. Le cinghie stringono il polpaccio.
Scivolo continuamente. Che strade! Sassi e fango e polvere e escrementi di cavallo: alla faccia delle tanto decantate vie romane!
Devo stare calmo. Devo smetterla di guardarmi così intorno.
Dove cavolo metto le mani? Dio, come vorrei un paio di tasche!
Ecco. Ecco i primi. Questi sono contadini. Autentici "burini" d'hoc. Questo con le treccine direi che è un gallo. E questi sono schiavi africani, numidi, etiopi, che ne so.
Calmo. Devo stare calmo. Ho la pistola, qua sotto l'ascella. Certo che voglio vederti estrarla in fretta da sotto questo lenzuolo!
Stai calmo. Non ci sarà bisogno di sparare. Guarda: basta seguire la gente. Stanno andando tutti al Foro. Nessuno ti distinguerà in mezzo a questa folla.
 
Speriamo che non mi rivolgano la parola! Mamma mia, come vorrei ricordarmi meglio il mio latino! Ho avuto troppa fretta. Dovevo ripassarmelo meglio.
Ma poi, chissenefrega. Se mi chiedono qualcosa dirò di essere greco e così giustificherò qualche sgrammaticatura.
Sì, però qui probabilmente è anche pieno di greci. No, pieno, no. È con l'età imperiale che i greci arriveranno numerosi.
Se ce la faccio chi può dire cosa accadrà veramente! Chissà cosa sarà e se ci sarà l'Età Imperiale!
 
Ci siamo quasi. Ecco, quello è il Foro. Mi fermo qui. Ora devo solo aspettare. Devo - solo - aspettare.
 
Eccolo! Dev'essere lui. Quanta gente, che disordine! Sì, è lui: Giulio Cesare.
Ha l'aria più vecchia e più stanca rispetto alle statue e ai disegni sui libri di scuola. Però sembra anche più vero, più umano. In fondo sembra proprio quello che è: un politico romano, fra i suoi segretari, i suoi portaborse, i suoi clienti.
Adesso tocca a me. Devo avvicinarlo... ecco... ci sono!
"Ave, Cesare. Ascoltami: vengo da molto lontano. Prendi questo messaggio. Non è una supplica. Leggilo. È molto importante, per te e il tuo futuro".
L'ha preso! Ora viene risucchiato via dalla folla, ma l'ha preso!
Ce l'ho fatta! La congiura di Bruto e Cassio e Casca, i pugnali che lo stanno attendendo nel Foro, le sue fatali Idi di Marzo, è tutto lì sopra. Potrà salvarsi, potrà difendersi e sconfiggere i suoi nemici.
Cesare è troppo importante, Cesare è l'unico uomo al quale il dominio mondiale non abbia fatto perdere la testa, come diceva il Mommsen. Avrà ancora anni e anni di vita da dedicare ai suoi progetti. Roma verrà rafforzata, organizzata. Le guerre civili termineranno, Cesare non è mai stato un vendicativo, ha sempre perdonato tutti i suoi avversari ed accettato chiunque sotto le sue bandiere. Il suo potere, superata la congiura di oggi, si rafforzerà. L'Occidente si organizzerà e resisterà alle invasioni dei barbari dell'est. Centinaia di anni turbolenti e sanguinosi non saranno più necessari: il Medio Evo si accorcerà e sarà subito Rinascimento. La stessa Europa Unita nascerà con secoli di anticipo! Forse non ci saranno le guerre di religione, gli esasperati nazionalismi. Forse l'intero pianeta sarà presto in grado di realizzare un governo mondiale.
Dio santo! Oggi ho cambiato il mondo, oggi ho cambiato la Storia!
* * *
Corsi, incespicando per l'emozione, nel vicolo buio e risalii sulla mia macchina del tempo. La puntai sul ventesimo secolo e la misi in moto.
Mi ritrovai nel mio laboratorio. Tremando, afferrai il libro di storia che era sul tavolo e lo apersi, lo strattonai, stropicciai le pagine cercando il punto che mi interessava.
Lessi:
"Cesare si recò dunque alla Curia. Strada facendo, un oratore greco si aprì un varco nella folla e gli tese un papiro, nel quale erano svelati i piani della congiura, dicendogli di leggerlo immediatamente. Fosse per il risucchio della folla che gli impediva di leggere, fosse perchè Cesare non volle prestare attenzione a quest'ultimo avvertimento del destino, certo è che entrò nella Curia senza aver dato neppure un'occhiata al rotolo che teneva in mano".
 
Mi sentii mancare, mi vennero le lacrime agli occhi. Avevo fallito! Tutto era stato inutile.
Poi, lentamente, comparvero sulla pagina alcune parole.
E mentre le leggevo sentii un brivido di terrore scorrermi nelle ossa. Dicevano:
 
"SMETTILA DI OSARE L'IMPOSSIBILE"
 
* * * * *
 
 
 
LA FUGA DELL'HAREM
Hanià. O, se preferite, La Canea: la seconda città per importanza dell'isola di Creta, incontro e crogiuolo storico delle civiltà del Mediterraneo.
 
Siamo in cinque: io e il mio harem. Cioè mia moglie, mia figlia, l'amica Rosangela e sua figlia Lisa. Manca Piero, l'altro capo famiglia, che ci raggiungerà a giorni. Impegni di lavoro gli faranno iniziare le vacanze un po' in ritardo e noi lo abbiamo preceduto, installandoci nella vecchia villa abbarbicata sulle pendici di Akrotiri, il promontorio che domina dall'alto la città.
I nostri padroni di casa sono, come sempre, gentilissimi e disponibilissimi e ci hanno riservato il piano terreno della casa, più fresco, più ampio e collegato al comodissimo patio avvolto da bouganville e affacciantesi sui tremila metri quadrati di giardino antico, aspro, quasi incolto ma affascinante, che degrada ripido verso il mare.
Gentilissimi, sì. Ma il profumo di Bisanzio è già forte nell'aria. E il vecchio ingegnere non può fare a meno di piangere miseria, lamentando i costi dell'acqua, della luce, delle manutenzioni, della benzina, del telefono, mentre conta con comica gravità il fascio di banconote con cui abbiamo pagato l'affitto.
E quando ci onora di una sua visita e comincia ad esporci le sue elucubrazioni filosofiche, in un angosciante mistura di tedesco, greco e improbabile inglese, ovvero ci narra per l'ennesima volta come e qualmente toccò a lui fare da intermediario fra il governo greco (quello dei colonnelli, sia chiaro) e le forze NATO e come e dove e in che modo costruì l'aeroporto, proprio quello dove siamo atterrati noialtri, e la strada verso Rethymno e quei misteriosi bunker "top secret", ma su cui si sbrodola abbastanza da farci capire che Creta è tutta una groviera, zeppa di depositi di carburante ed armi, pronta a sbarrare la strada ai barbari dell'Est, allora, dicevo, non manca mai di servirsi con disinvoltura delle nostre sigarette e di invitarci ad invitarlo a bere il nostro caffè italiano.
Fra di noi lo prendiamo in giro, ma con garbo, perchè, al di là del suo animo levantino, è di una cortesia rara. Userà le sue vecchie conoscenze militari per introdurci e farci usufruire di spiagge e strutture riservate alle forze NATO e a cui lui ha libero accesso, ancorchè ormai in pensione, dimostrandoci così la propria immutata importanza. Con gli Stati Maggiori, invece, parlerà dei suoi ospiti come di "italian ministers", spacciandoci per sottosegretari o famigliari di pezzi grossi di Montecitorio, rinnovando ed aumentando il suo prestigio presso di loro.
Vecchio, caro ingegnere!
 
* * *
 
Questa sera stiamo facendo quattro passi al porto di Hanià, meta obbligata di turisti e locali, ammirando le vetrine delle innumerevoli gioiellerie, un'esposizione di oro e argento di squisita fattura ("L'oro qui costa molto meno" - cinguettano le fanciulle - "Sì, ma il numero di carati è inferiore" obbiettano, razionali, i maschietti), perdendoci fra i campioni di artigianato locale, coperte di lana, coltelli, cuoio, sfuggendo sdegnosamente gli onnipresenti (ma ancora rari, per fortuna) fast-food per lasciarci tentare da tzatziki, moussakà e souvlaki, che degustiamo con aria beata.
 
Non siamo ancora in piena stagione e il molo non è affollato.
Scivoliamo fra un lampione e la vecchia moschea turca, gettiamo uno sguardo affettuoso all'ombra cupa del forte veneziano e alla sagoma del faro che presiede all'imboccatura del porto e andiamo avanti. La notte è un po' più scura, il passeggio più rado.
 
Infine ci troviamo di fronte a un locale, una taverna, una vecchia osteria. Forse è proprio lì che siamo diretti (Rosangela è già stata a Hanià pochi anni prima), o forse ci colpisce il luogo pittoresco ed entriamo, varcando incuriositi le porte dipinte nel classico colore azzurro mediterraneo.
 
Lo stanzone è quasi una caverna, più ampia all'ingresso, che si restringe e si abbassa verso il fondo.
Appena entrati siamo avvolti dalla musica: un bouzuki sonoro, incrocio fra un liuto turco e un mandolino napoletano (come tutto qui è in bilico fra due mondi) e un "violino da gamba", come lo chiamo io, tenuto verticale sulla coscia e grattato con energia. In realtà lo si può definire, più dottamente, una gadulka, ma il termine è bulgaro e loro preferiscono chiamarlo, con fierezza, "lira greca".
Al centro dello stanzone balla il Vecchio: capelli bianchi e baffoni, un gilè ornato sulla camicia scura, pantaloni bianchi che finiscono a sbuffo dentro gli stivaloni neri arabescati, alla cintura un lungo coltello a serramanico (che sappiamo affilatissimo); in mano il fazzoletto a cui, se fossero in coppia, si aggrapperebbe il partner per usarlo come leva per salti acrobatici e giravolte.
Batte i piedi e allarga le braccia, ondeggia nelle evoluzioni del sirtaki, china il capo assecondando il ritmo e lo rialza imperioso.
 
Il pubblico è soprattutto formato da gente del posto. E del porto.
Pochi sono i turisti. Forse solo quella coppia di ragazzi dall'aria nordica: entrambi biondi, entrambi in jeans, entrambi con uno zainetto appoggiato vicino ai piedi; lui con un filo di peluria sulle guance, lei con gli occhiali e la coda di cavallo.
Pertanto il nostro ingresso è notato. Noi ci guardiamo un po' intorno e vediamo che c'è posto a sedere solo verso il fondo della sala, quasi vicino alle botti sistemate contro la parete.
Ci accomodiamo incuriositi ed eccitati, consci di essere estranei, ma desiderosi di partecipare all'allegria generale, rispettosi della loro cultura e delle loro tradizioni.
 
Il ballo è accompagnato da scoppi di risa, canti, grida, esclamazioni, rumore. E c'è chi lancia occhiate nella nostra direzione. Capite: io sono l'unico maschio del mio gruppo. Poi ci sono due giovani signore, eleganti e sorridenti. Le ragazze, invece, hanno tredici e dodici anni, ma sono già alte e formosette. Senz'altro qualcuno sta pensando che non è giusto, che non posso certo pretendere di tenere per me tutto quel ben di Dio.
A Creta esiste un modo curioso per attirare l'attenzione delle donne: pesanti bottiglie vengono fatte rotolare verso il nostro tavolo (beninteso, dopo averle prima vuotate): il rumore che fanno sul pavimento, l'urto contro la sedia o le gambe del tavolo ci fa alzare lo sguardo e lo incrociamo con quello di un paio di giovanotti che ci sorridono, alzando il bicchiere verso di noi.
Un po' imbarazzati rispondiamo con un cenno del capo ed un sorrisetto sulle nostre.
Ma di lì a poco arriva l'oste che ci mette davanti cinque bicchierini, spiegandoci a gesti che sono il gentile omaggio di quei due avventori. Li guardiamo. Ci sorridono ancor più largamente, con ampi movimenti della testa e delle braccia. Assaggiamo il liquore trasparente: è fortissimo! È cicudià, la grappa locale. Ringraziamo con un altro cenno del capo e ci consultiamo: a scanso di equivoci e sapendo bene come i popoli mediterranei siano generosi ma permalosi, sarà il caso di fare onore al dono, beninteso accollandoci anche le dosi destinate alle ragazze.
 
A questo punto i nostri due amici decidono che il ghiaccio è rotto: prendono le loro sedie e, cerimoniosamente ma decisamente, vengono a sedersi al nostro tavolo. Noi ci guardiamo un po' preoccupati, ma li accogliamo con garbo. Le donne sono fin divertite da tutto ciò, probabilmente per abitudine innata a suscitare ammirazione. Io sono un po' più nervoso e la conversazione non mi tranquillizza. A mozziconi di inglese, tedesco, francese e italiano si sporgono verso di noi e iniziano a raccontarci la loro dura vita di marinai, tristi e stanchi, soli e senza affetti.
E, al momento, decisamente alticci.
Italiani? Ah, bella l'Italia, noi siamo stati a... Napoli? o era forse Venezia? Ma sapeste quali tempeste... che momenti di terrore abbiamo trascorso nel mezzo del Mediterraneo infuriato! Voi non potete capire. Voi siete turisti. Ma noi, noi abbiamo rischiato la vita! E che carine le ragazze! E quanto vi fermate? E dove abitate? E vi possiamo accompagnare? E bevete ancora qualcosa? E cosa fate dopo?
 
La situazione sta degenerando. Mormoriamo tra noi che dovremmo andarcene, ma, in fondo, siamo debitori di un giro di bevute. Vorremmo contraccambiare, sia per correttezza che per evitare che si sentano in credito, ma non sappiamo cosa offrire. Alla fine decidiamo di ordinare la stessa cosa che ci hanno offerto loro e vado a mettermi d'accordo con l'oste in tal senso.
Quando arrivano i bicchierini loro alzano le braccia contrariati manifestando la loro disapprovazione per il nostro disturbo: che diamine, siamo noi i loro ospiti! No, questo non si fa. Ma a noi sembra che vada meglio così e a questo punto le due ragazzine, debitamente istruite, iniziano una serie di sbadigli implorando di andare a casa a dormire. Rapidamente ci scusiamo, ci alziamo, li ringraziamo, li salutiamo e li lasciamo lì, con i bicchierini ancora da finire e ce la squagliamo all'aperto.
 
Camminiamo veloci, tornando verso la zona più illuminata, senza voltarci, con la sensazione di essere seguiti.
 
Finalmente troviamo un taxi, ampio e disponibile a caricarci tutti e cinque, e scarichiamo la tensione scoppiando a ridere. Credo che le mie compagne non siano mai state veramente preoccupate e abbiano vissuto la serata come un'esperienza divertente e insolita. Probabilmente hanno ragione. Ma non riesco a togliermi dalla testa il pensiero che, se la situazione ci fosse scappata di mano e i due intraprendenti marinai non si fossero accontentati di chiacchierare soltanto, io non avrei saputo come reagire. Una bettola del porto non è luogo adatto per una serena e ragionevole discussione e tantomeno per una rissa. Quindi, mi sento un po' in colpa per come abbiamo scaricato quei bravi giovani, ma son convinto che è stato meglio così.
 
* * *
 
Tre anni dopo torniamo in vacanza a Hanià. Ci rechiamo al porto sorridendo, rievocando quella serata e cercando la vecchia osteria.
 
Non c'è più. Al suo posto hanno aperto un moderno American Bar. Un gruppo tedesco suona dell'ottimo jazz. Di fianco, una discoteca.
 
* * * *
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Inserito il 31 maggio 2002