Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Fiorella Borin
Racconto vincitore del 1° Premio al concorso Città di Melegnano, sez. Narrativa
 
FINO ALL'AURORA
Il medico uscì dal bagno tamponandosi le mani con l'asciugamano, lo sguardo incollato a quel panno bianco, le labbra serrate.
Immobile nel corridoio, la donna incarnava il dolore. La fiamma di una candela le illuminava il viso magro, precocemente invecchiato: rughe e lacrime, nel tremolio della poca luce.
«Mi dica, dottore… » articolò a fatica, ma non riuscì a guardarlo.
Lui gettò l'asciugamano su una sedia, sospirò, poi le venne vicino; appoggiò una mano sulla sua spalla e provò il desiderio di abbracciarla… ma non lo fece.
«Dottore… » disse ancora lei; disperazione e paura le chiudevano la gola, le incrinavano la voce sottile più del vetro.
Paterno, lui le scostò dal viso una ciocca di capelli (devi essere forte, donna, io non ti posso aiutare &endash; pensò) e ancora, di nuovo, comprese che avrebbe voluto stringerla tra le sue braccia, ma non poteva &endash; non doveva &endash; farlo.
«Ho fatto tutto quanto mi era possibile, in queste condizioni.» disse invece, «Ma la ferita di sua figlia è molto seria… ha visto anche lei quanto sangue ha perduto».
«Sì» rispose la donna, e la candela le sfuggì di mano, cadde a terra, si spense. Si chinarono insieme, le loro mani s'incontrarono sul pavimento ma non si unirono; poi lo scatto di un accendino e niente era cambiato, dentro quella casa sperduta in mezzo alle montagne.
(Non posso darti il mio amore, donna, ti farò un regalo di speranza: forse la mano di Dio arriverà a compiere il miracolo che io non ho saputo fare, pensò il medico e si schiarì la voce.)
«Ma non tutto è perduto; per il momento l'emorragia si è fermata, e la fibra di Nadia è forte. Ricoverandola in ospedale, si salverebbe».
(Forse, volle aggiungere, ma non lo disse: gli anni insegnano talvolta la saggezza.)
«È mia figlia.»mormorò la donna, e ricominciò a tremare.
Lui abbassò lo sguardo. Era vecchio e stanco e non voleva pensare ai feriti (quanti? troppi?) che avrebbe dovuto soccorrere (e moribondi?)… medicare, rincuorare in quella notte ancora così lunga davanti a lui (morti? ce ne saranno, vero?)… ripercorrere la pendice del monte devastata dalla frana… quante case, e dove?… i feriti gridano, dottore, tu sei stanco ma non ti puoi fermare… la candela si spegnerà, adesso, e forse qualcun altro morirà perché tu hai perduto tempo a chiederti se è davvero peccato amare una donna che non è tua moglie…
«Dottore, la scongiuro: porti Nadia con sé… la sua automobile è così veloce… lei conosce la strada sino all'ospedale… Nadia è mia figlia, l'affido a lei, dottore… » la sua voce a soffiare una preghiera sul fumo di una fiammella.
Lui scosse il capo. «No. Io voglio bene a Nadia, l'ho vista nascere: in fin dei conti è un po' come se fosse anche figlia mia… » ripigliò fiato, non voleva che lei capisse, «ma trasportarla con la mia automobile sarebbe insensato; sarebbe il modo migliore per accelerarne… » la fine, sì la fine, doveva dire, ma s'inventò un colpo di tosse; però non fu tanto bravo, forse lei comprese.
«Ho paura.» disse lei. «Tanta, tanta paura.», e la candela si spense.
Al buio diventa più facile parlare &endash; pensò il medico &endash; lontano dai tuoi occhi troverò persino il coraggio di andarmene, di non sentirmi più uomo, ma soltanto un medico al servizio di chi soffre.
«La frana ha isolato completamente questa frazione.» tornò a spiegarle, «E giù in paese le cose vanno appena un po' meglio; ma anche lì manca la luce, e le linee telefoniche resteranno interrotte Dio solo sa fino a quando. Mi creda, è troppo rischioso voler caricare in macchina una ragazza provata da un'emorragia così imponente: la ferita potrebbe riaprirsi al primo scossone… e la strada è buia, piena di buche e di sassi… mi creda, potrebbe spirare dopo il primo chilometro». Anche prima &endash; pensò &endash; ma non lo disse.
La donna strinse i pugni e ricominciò a piangere.
(Lungo la strada incontrerò altri occhi disperati come i tuoi &endash; pensò il medico &endash; e mani che mi imploreranno il mio aiuto nelle garze e nelle medicine e nei miracoli che solo Dio sa fare… io non potrò né dovrò pensare alle lacrime che piangi sul sangue di Nadia… avrò ferite da ripulire e bende da stringere… e non saprò mai quanto vale una vita: la mia, la tua, quella di Nadia… siamo meno di tre gocce del mare, donna, meno di tre granelli di sabbia, un nulla, anche se ci crediamo tutto… e io dovrò ricucire altra acqua e altra terra, lontano dai tuoi occhi e da quelli di Nadia, perché sono un medico… e questa notte varrò quanto Dio… proprio questa notte che avrei voluto essere solamente uomo… accanto a te.)
Al buio, mordendosi le labbra, s'infilò il cappotto. Lo lasciò aperto, era troppo stanco per mettersi a lottare con asole e bottoni; il pianto di lei era quello di Maria ai piedi della croce.
«Ma posso far chiedere aiuto via radio, per Nadia,» aggiunse, ormai davanti alla porta, «potrebbero mandare un elicottero dall'ospedale di M. e curarla… guarirla».
Abbassò la maniglia, i cardini cigolarono appena.
«Che Dio la benedica, dottore.» mormorò la donna, e lui si voltò indietro per cercare sul suo viso la luce della speranza. (Voglio ricordarti così, pensò.)
Poi si trovò solo, nel buio, a correre incontro alla notte e ai dolori degli uomini.
 
Lei accese un'altra candela ed entrò nella camera di Nadia. Anita &endash; la sua figlia maggiore &endash; era inginocchiata ai piedi del letto, le mani giunte, forse pregava. (Soltanto nella paura ci ricordiamo di Dio, pensò la madre, e le venne una gran voglia di buttarsi anche lei per terra, e gridare, con tutte le sue forze gridare… Dio mio non prenderti Nadia, lasciala a me, lei è mia… ho ancora troppo bisogno dei suoi baci… )
«Mamma!» era la voce di Anita. Non era quella di Nadia, no &endash; si disse &endash; i miracoli esistono solo dentro i libri, non nelle case, non per le donne come me.
«Che cosa ha detto il dottore?»
La donna le venne vicina, l'aiutò a sollevarsi, se la strinse sul cuore. Parlò in un filo di voce. «La salveranno, sta' tranquilla, manderanno un elicottero e la cureranno nel migliore dei modi. Nadia vivrà».
«Oh, mamma». (Ripetila ancora, figlia mia, questa parola, non smettere mai di dirla, pensò, e si staccò dall'abbraccio della figlia, perché aveva ripreso a tremare e non voleva che lei se ne accorgesse.)
«Devo chiudere le imposte, mamma?» Era la frase che Anita pronunciava tutte le sere, non appena l'aria si faceva più fresca e le ombre degli alberi si allungavano minacciose sino alla porta di casa. Ma quella notte il dolore e la paura avevano fatto in tempo a entrare…
«No.» rispose la madre, e pensò che nessuna finestra sbarrata avrebbe mai potuto impedire alla morte di avvicinarsi al letto di Nadia, e portarsela via… «No, Anita, questa notte avremo bisogno della luce della luna: le candele sono quasi finite.» aggiunse; e poi, più materna, «Va' a bollire del latte, servirà a calmarti e a darti un po' di ristoro, povera figlia mia».
Anita assentì e si allontanò zoppicando. Si era storta una caviglia mentre correva verso la casa del dottore, per invocare aiuto. La madre si premette i pugni sulle orecchie: per quanto tempo ancora avrebbe udito l'eco di quel boato, e poi il frastuono dei sassi che precipitano a valle &endash; e il proprio grido &endash; e i tronchi che rotolano, e i rami fracassati &endash; e gridare, gridare ancora &endash; e la terra che trema, la ragione vacilla - il grido, sempre, sempre… e poi correre fuori, lei e Anita, la loro casa è intatta, ma Dio ha fermato il miracolo a metà, che ne è stato del pollaio? …Nadia! Nadia! ancora gridare, Nadia dove sei? …volevi dare la buonanotte ai pulcini, piccola mia… tu batuffolo di carne tra i batuffoli di piume… dove sei, Nadia… correre, correre ancora e gridare… ma i pugni sulle orecchie non bastano &endash; il grido c'è ancora, non se ne andrà più.
Fiamma di una candela e luce di luna. Come si è fatto pallido e affilato, il viso della mia bambina &endash; pensò la madre &endash; e le carezzò i capelli; sei assorta come quando studi, io invece vorrei che tu sognassi aquiloni da lanciare nel vento, e cestini di fragole mature, Nadia mia, e i piccoli baci che rubavi ai conigli… e le ninne&endash;nanne che io ti cantavo, quando eri piccina, e la tua testa mi stava tutta in una mano… non mi lasciare, figlia mia… non mi lasciare mai.
Trattenendo il fiato, sollevò le coperte, controllò la fasciatura: era bianca, pulita. (Dio ti ringrazio, Dio ti ringrazio, Dio allontana la paura da questa casa, salva mia figlia… salvala, salvala!)
Forse Dio la stava guardando, per questo si accostò alla finestra. Al di là della strada, oltre il bosco dei faggi, la luna sedeva in cima alla montagna.
(Gira più svelta, Terra, più svelta che puoi: fa' passare in un lampo i minuti e le ore… corri più veloce dell'auto del buon vecchio dottore, più delle pale dell'elicottero che verrà a salvare Nadia… ogni suo respiro è un filo che la tiene attaccata alla vita… lei è la mia figlia più piccola, che Dio mi perdoni ma è quella che amo di più… ) Restò con lo sguardo incollato alla luna, illudendosi di vederla rotolare giù dalla montagna.
«Il telefono non funziona ancora.» disse sottovoce Anita, e le afferrò la mano. Il suo profilo era così puro e perfetto, illuminato da quella luce pallida, così bello da far ritornare la voglia di piangere &endash; pensò la madre &endash; così diverso da quello ancora infantile di Nadia; figlie di due differenti padri, nessuno dei quali le aveva viste mai, abbracciate mai, in tutti quegli anni trascorsi nella solitudine delle montagne.
Due figlie. Concepite per caso in due diverse notti piene d vento e di stelle e di quella strana cosa che si vuol credere amore. E lo sarebbe &endash; forse &endash; se la luce del giorno non venisse sempre a tradurla in un imbarazzato saluto; così, semplicemente, due figlie a rammentarle il volto di quei due uomini che l'avevano voluta, sì, ma per una notte soltanto.
«Mamma, fra quanto tempo arriverà l'elicottero?» domandò Anita.
«Presto, figlia mia… presto.» mormorò lei, e per un attimo credette di aver percepito un lontano ronzio… ma no, fuori era solo un silenzio di boschi e di stelle.
«Ma gli elicotteri possono volare anche di notte, oppure devono aspettare la luce del giorno?» insistette Anita, e la madre fu svelta a rispondere «Sì»: un sì che non significava nulla.
«Vuoi dire che la salveranno?» «Sì» ripeté ancora, «Sì» con foga, come una pessima attrice, «Sì. Dio non ci può abbandonare».
 
Passò un'eternità, o forse solo il tempo di ascoltare il nulla e la paura, e la pendola batté le due.
«Va' pure a dormire, Anita. Resterò io con Nadia, cerca di riposare almeno tu… ti sveglierà il rumore dell'elicottero, non piangere più, figlia mia… Nadia si salverà: te lo prometto.» e così dicendo l'accompagnò sino alla porta.
«Ricordati che me lo hai promesso.» sospirò la ragazza, e zoppicando scomparve nel corridoio.
Adesso la cameretta si era affollata di ombre e di ricordi evocati dallo strazio di quei respiri lenti, sfiniti, affamati d'aria e di vita.
Sollevò ancora le coperte. Sulla fasciatura, era sbocciato un piccolo fiore scarlatto.
Doveva, voleva gridare. Invece premette la fronte contro il vetro della finestra, si morse a sangue le labbra finché smise di tremare.
(Muoviti, Terra, non essere pigra, affrettati a correre incontro alla luce del giorno… non è mai stata così triste la luna dietro le montagne.)
 
La pendola aveva battuto le tre.
Non più un solo fiore disegnato col sangue. Adesso la fasciatura si era inzuppata di rosso, faceva orrore guardarla.
Ma Nadia respirava ancora.
La candela si spense.
La madre ne accese un'altra e subito l'accostò al visetto della figlia: la fiamma oscillò ritmicamente. (Dio ti ringrazio, per un attimo avevo temuto… ) Allora coprì dei suoi baci quel faccino illuminato e pallido, si perdette in un sogno d'angeli, smarrì la ragione e poi la ritrovò, e si rese conto di avere &endash; per un attimo &endash; toccato Dio.
 
Quattro rintocchi.
E dietro la finestra un silenzio assoluto, pauroso e nero.
(E questo?… È forse… no, non è il rumore dell'elicottero, sarà stato il volo di un uccello notturno, o uno scherzo del vento e della mia disperazione… ma neanche… è soltanto il mio cuore che batte.)
 
Poi, cinque.
Nell'orrore del sangue che non si ferma e della cera che brucia.
E adesso se. Sei gocce sonore, uguali, cadute in un silenzio perfetto.
Nell'attimo in cui l'alba cede il passo all'aurora.
La donna soffiò sulla candela.
Appoggiò la mano sul vetro, quasi a cancellare il cielo. Vedeva la luce, ma non trovava Dio. Lui era irraggiungibile come i sogni che Nadia avrebbe continuato in una stanza che non sarebbe stata più quella, ma un'altra, infinitamente più ampia, senza finestre spalancate sul bosco dei faggi. Questo pensò la madre mentre le baciava le labbra e la fronte, e maledisse se stessa per averle saputo dare una vita così breve, solo l'infanzia e nient'altro… nient'altro, nient'altro… volle gridare così forte da riuscire a morire nel suo stesso urlo, un urlo silenzioso e terribile come il colore del cielo, adesso, inutile cielo, stupido cielo, ma non riuscì a gridare.
Dio le era rimasto accanto solo fino all'aurora.
 
 
Racconto vincitore del 5° Premio al concorso Citta d'Orzinuovi 1998, sez. Narrativa  
Racconto vincitore del 5° Premio al concorso Marguerite Yourcenar 2000, sez. Narrativa  
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Concorso Marguerite Yourcenar 2000 a sez. narrativa
 
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agg. 3 novembre 2000