Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Erika Toselli
Con questo racconto ha vinto il primo premio al concorso
Age Bassi - Castiraga Vidardo 2005, sezione narrativa

«L'uomo che suonava l'organo in cantina»


L'uomo indossava un maglione pesante di lana anche se era una primavera tiepida. In cantina faceva sempre fresco e lui era seduto al suo organo da alcune ore. L'aspettava.
E mentre aspettava provava i brani che avrebbe suonato, come da ragazzino prima di un saggio, o come quando sudato e tremante si preparava a suonare davanti al suo inflessibile maestro che veniva una volta a settimana a spalancargli le porte della musica ma anche a terrorizzarlo con le sue critiche. Aveva acceso candele in ogni angolo libero di quella cantina che con le sue mani aveva reso confortevole e asciutta, passandoci infinite domeniche a incollare piastrelle sul pavimento e pannelli isolanti sui muri. Mentre lei di sopra dipingeva le pareti delle stanze, e poi vi appendeva i quadri.
Quando tutto era terminato, tutto tranne la cantina, lei faceva da mangiare, gli faceva trovare i suoi piatti preferiti quando tornava esausto dal lavoro.
Il progetto era chiaro, la casa era troppo piccola per contenere l'organo e la cantina troppo grande per le loro due sparute bottiglie di vino.
Per cui l'avevano trasformata nel loro rifugio dal mondo: lui suonava, lei accendeva candele e incensi e guardava estasiata la fronte del suo uomo aggrottata nella concentrazione, tutto il corpo teso nello sforzo. Senza telefono, radio o televisore, passavano ore là sotto, durante lunghe domeniche piovose. Facevano finta di non essere in casa, chiudevano porte e finestre e si rintanavano.
Suonavano, parlavano, davano fondo alle misere provviste di vino, facevano l'amore.
Quando poi dovevano tornare alla realtà, risalivano le scale e non appena accendevano la luce del loro soggiorno strizzavano entrambi gli occhi abituati alla semi oscurità, soffrivano per il ritorno al quotidiano e alla dimensione reale delle loro vite.
La cantina era progettata in modo che da un condotto per l'aria la musica dell'organo si diffondesse in tutta la casa, cosi che lei lo poteva ascoltare anche mentre lavorava al computer nello studio, mentre riposava in camera da letto o stirava al tavolo della cucina. Quel suono cosi antico, cosi sacro regalava alla piccola casa un'atmosfera gotica.
Lei rientrava tardi dal lavoro e prima ancora di accendere le luci di casa veniva accolta dal quel suono cosi mistico. Senza fare rumore, prendeva uno scialle di lana e le pantofole di pelliccia e scendeva le scale verso la cantina mentre il volume della musica l'avvolgeva sempre di più; indugiava sulla porta per osservare il suo uomo di schiena, illuminato soltanto dalla luce tenue sullo spartito, i capelli sempre un po' troppo lunghi scomposti, la testa che seguiva le battute, le spalle che tremavano nei passaggi più commoventi.
Quel giorno lei sarebbe tornata a casa per alcune ore, si erano messi d'accordo perché lui non ci fosse.
Vigliaccamente lui aveva interpretato alla lettera la richiesta di non farsi trovare in casa, la cantina non era tecnicamente la casa dove lei aveva lasciato ancora parecchi oggetti personali; veniva per portarseli via.
Ovviamente aveva fatto altre piccole vigliaccherie, le sue sciarpe, quelle intrise del suo profumo aveva visto bene di farle sparire nella loro cantina e a volte per suonare se le avvolgeva disperatamente al collo, vi tuffava dentro il naso e si disperava.
E aveva sparso tutti i cd in giro per casa, in modo che lei fosse costretta a ripercorrere le stanze passo a passo e ricordare, anche se non voleva.
L'uomo sapeva che lei se ne andava per sempre a causa sua, per quell'altra donna che non aveva significato nulla per lui e tutto per lei.
Quell'altra donna che aveva portato impunemente nella loro stanza da letto ma mai nella loro cantina. Che gli era solo servita per sentirsi un po' più vivo, un po' meno solo, ancora una volta giovane e scanzonato musicista.
Perché con la sua donna, quella che aveva tutti i diritti e tutti i doveri, la noia era dietro la porta, la stanchezza limitava sempre di più le serate di musica, i conti e le bollette li facevano più discutere che amarsi.
E lui da stupido aveva pensato di riprendersi qualcosa con un'altra, un solo pezzettino di brivido, qualche scampolo isolato di evasione.
E oggi lei tornava.
Lui non doveva esserci ma la sua musica si, lei doveva entrare in casa e essere investita della sua fuga di Bach preferita, quella che la mandava in estasi, quella che lui stava provando mentre con gli occhi fissi sull'unica piccola finestrella in alto teneva d'occhio il cortile.
Sapeva che lei non si sarebbe disturbata a lasciare la macchina in garage, ma l'avrebbe parcheggiata fuori, dove poteva riempirla di scatoloni più comodamente Il piano era di iniziare a suonare non appena lei sarebbe scesa dall'auto, in modo che il ritmo della fuga fosse in crescendo nel momento in cui lei sarebbe entrata in casa.
Non era affatto certo che questo sarebbe stato l'evolversi delle cose. Se per esempio, cosa molto probabile, lei fosse venuta con qualcuno, soprattutto con un uomo, lui avrebbe taciuto, si sarebbe accucciato sulla piccola brandina sotto il piumone dove mille volte si erano amati e avrebbe atteso l'ultima uscita di lei dalla loro casa.
Ecco l'auto. Ecco lei che scende con un'espressione tesa, vestita con la gonna e i tacchi alti, come sempre inadeguata al lavoro si prepara a svolgere, i capelli biondi sciolti sulle spalle rigide.
È sola.
Inizia la fuga, lui si concentra, fonde le sue dita con i tasti, la musica sale.
Lei entra in casa, e le spalle inconsapevolmente si sciolgono. Si sfila le scarpe, si guarda intorno, inizia a scendere le scale verso la cantina, verso la musica. Lo vede, di schiena, illuminato da tante candele e dalla luce sullo spartito. Indugia, poi gli si avvicina. Gli mette una mano sulla spalla.
Lui trattiene il respiro ma non smette di suonare.
Lei inizia a piangere.

Erika Toselli


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Age Bassi - Castiraga Vidardo 2005

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 Ins. 20-09-2008