Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Elio Graziano
Con questo racconto ha vinto il secondo premio all'edizione 2007 del Premio Il Club dei Poeti.



«Il presepio»


Attraverso gli steccati che chiudono i binari morti della stazione porre lo sguardo fisso sul mare che brilla sopra vagoni mangiati dalla ruggine, dormienti, in eterno - inspirare acre odore di zolfo e sale. Tornare indietro ai passi della giovane età che era prima di lasciare indietro la banchina, attraversare lo stretto e tornare alla meta. ancestrali paure volteggiano in cielo come dense nuvole d'ali di corvo, anche gli uccelli più neri si alzano e migrano e lasciano la luce splendere, piena e perfetta, sopra i lembi azzurri delle acque dal mare. Oltre la linea ferrata scavata nella roccia nera, spezzata e ricurva sopra se stessa, gabbiani ed anime di marinai perduti danzano sul filo teso dell'orizzonte, come angelici funamboli, come equilibristi perfetti nella mente del tempo che ogni cosa accoglie.
Sospettare che ci sia un tempo, per tutti noi, per l'incontro e l'adunanza, per il vagito primordiale che ci stringe il cuore, per l'amore ed il ritorno a casa verso vaporoso scintillio di stelle. indurre il tempo ad essere clemente, ad essere sposo e fratello, tempo per incontrarsi in strada e sorbire un caldo caffè assieme, seduti al vecchio bistrot che troneggia sul limite della piazza. Rintracciare poesie perdute sulla superficie trasparente di lucenti occhi che, portando condivisione ed ascolto, suggeriscano la chiave per vaghe melodie che nella fuga d'ali di messaggeri al tramonto sono furtivamente rintracciate, e danzano.
Scrivevo ed il tavolo di legno scuro era un feroce campo di battaglia, poi venne Natale. Gesù Cristo, questa pioggia non può cadere in eterno, e cominciai ad inventare una storia buona per la povera magia della Santa Notte.
Con tutti i miei vestiti addosso, con tutti gli stivali e la cravatta colore rubino, me ne andai sul divano a cercare d'arrendermi al sonno ed alla memoria.
Come un ronzio d'alcol che si scioglie troppo velocemente nelle vene, come un angelo inquieto che ha voglia di chiacchierare e tu vuoi semplicemente essere lasciato solo, come il tempo delle luci natalizie e degli addobbi e delle facce del Babbo barbuto che riempiono tutte le vetrine, e tu vuoi soltanto restare all'angolo di una strada ed attendere che tutto passi via, velocemente, per sentire un poco meno tutta la ferocia della neve che scende ad aspergere di vuoto e freddo le nostre teste.
Sul divano, il pomeriggio scalciava come un mulo, nessuna ombra era così profonda da caderci dentro, a piedi pari, e starsene immobili sul limite del sogno, nessuna musica così suadente da sanare vecchie accidie e nuove superstizioni, E lo giuro, se riesco a prendere sonno accendo al Bambinello un cero, un'ora appena, anche metà ora è sufficiente, ma fatemi rivoltare nel sonno, nella quiete ed addio alle vecchie voci che colmano spazi siderali di mancanza e languida attesa.
Dietro stelle di cartone argentato e montagne in carta pesta, pagine di giornali appallottolate e mani appiccicose di Vinavil ed occhi sognanti, in attesa. Da qualche parte, in qualche tempo anteriore anche io avevo preparato un bel presepe.
Una certezza nell'animo ma priva delle fondamenta dei ricordi, come un profumo che rievoca una donna, la sua carne, ma non il suo volto.
Sul divano non riuscivo a far altro che sudare e grattarmi lo stomaco e la testa, allentai il nodo della cravatta e rollai due dita di tabacco sopra una cartina leggera come l'anima senza pena. Me lo fumai tutto il tabacco olandese, morbido, leggero ed accettai il suggerimento del cuscino, mi misi ritto in piedi, preso cappotto e quaderno, uscii verso l'aria fredda che destava istinto alla vita e risolutezza di chi, non datosi per vinto, ha ancora una manciata di banconote da scommettere al fato.
Alcuni passi verso il centro vorticoso del natale buono per fare lievitare prezzi e rabbia di che è costretto ad uscire ed inventarsi un regalo per sconosciuti che hanno nel taschino un biglietto con su scritto, zio, zia, cugino 1, fratello 2, e così via... Devo prendere tempo, tenere stretta la pazienza al petto, sciogliere l'intuizione che mi ha fatto scendere in strada quasi all'ora della chiusura dei negozi. Riprendere fiato e comprendere la gioia prima d'intraprendere il viaggio verso casa, verso la veglia, attorno ad un tavolo, seduti sorridenti a bere buon vino ed augurarci pane, pace e bellezza. Lasciare alle streghe cattivi pensieri e non preoccuparsi più, di niente.
Me ne andai alla libreria che apre la sua piccola porta sulla piazza affollata di bancarelle che vendono dolci caramellati, angeli dorati e personaggi del presepe, palle colorate e giocattoli di legno, vino e formaggi tipici, accessori per la casa e morbidi maglioni di lana colorata, nel vaneggiare della gente e delle parole loro che si perdono e si ammassano e diventano un'unica melodia melmosa e balenante. Sopra, il cielo privo di segni, cupole di chiese abbandonate e santità di esuli che dormono sotto le stelle.
Nella libreria che ha odore di casa e luce perfetta per avvicinarsi alla conoscenza dell'umanità attraverso opere d'alcuni suoi figli eletti mi smarrii, per una manciata di minuti, dentro una poesia lunga l'eternità intera e potente. Acquistai l'opera, la feci incartare in una confezione regalo ed uscii.
Appena fuori un banco che vendeva presepi, mi portai vicino ed osservai la grazia d'una pastorella che, genuflessa, era ammessa alla magia della nascita del buon bambino, ed un giovane dai capelli gialli fieno che portava sulle spalle un sacco pieno di qualcosa e ne era lieto, ed un re dalla pelle nera e la faccia sorridente e buona che offriva un cofanetto lucente, ed un cane, bianco e grigio, che aveva la coda dritta e sembrava stesse lì per scodinzolare alla grazia della Santa venuta. E case bianche e colorate, dai tetti a falde e piatti e a cupola, ed alberi e palme e grotte e tutti gli attori principali, Giuseppe, Maria e Lui, Gesù bambino, in varie fogge e diversi colori, alcuni più seri e mistici quasi, altri meno aggraziati, alcuni beati e sorridenti.
E poi gli angeli, dai cappelli argento ed i volti ambra ed avorio, i messaggeri, coi loro festoni cosparsi di polvere di stelle e le trombe squillanti al tempo, messaggeri che chiamano all'adunanza, alla festa, alla gioia notturna, all'amore che come una stella segna il cammino ed il luogo dove essere e donarsi.
Uno se ne stava a testa in giù e mi dava le spalle, un angelo impigliato nella scia della stella cometa, a testa in giù ed ancora avvinghiato alla sua trombetta dorata. E mi venne in mente, in quel preciso istante, il mio presepe.
Eravamo soliti prepararlo con mio padre e mio fratello. Si prendeva dalla sommità dell'armadio nel ripostiglio la scatola rossa dove tutto riposava, protetto dalla polvere del tempo e dal vaneggiare delle chimere, la si portava al centro della stanza e la si apriva.
Li conoscevamo tutti i nostri attori pronti per la commedia umana del Santo Presepe ma ogni anno qualcuno fuggiva via dalla memoria e donava la gioia di presentarsi, come fosse la prima volta, ai nostri occhi colmi di meraviglia.
Alla fine io mi distraevo e cominciavo a giocare con qualcos'altro e mio fratello e mio padre terminavano l'opera di fine assemblaggio. Soltanto un paio d'ore dopo tornavo alla visione del presepe e cominciavo a spostare i pastori ed i Re Magi, a farli discutere fra loro, a farli litigare e rappacificare, mettendoli a testa in giù, non ricordo in quale perfetto, precario equilibrio, ma a testa in giù come questo piccolo angelo paffuto che dondola fra le luci della vasta bancarella. E mi venne in mente che siamo noi il presepe, ognuno col proprio copione, l'abito cucito stretto addosso, il proprio ruolo ed il proprio singolo passo. Verso la grazia, sulla storia, nella notte del tempo, oltre la paura, verso la salvezza.
Ho perduto i miei santi, ed ho perduto le mie ore, ho vagato ed inutilmente ed il sangue adesso mi si sbianca in petto, ma sono ancora ad un passo dalla grotta a santificare l'adesso, a perdermi nell'umanità che ruota e se ne sta a testa in giù, smarrita e dolente, ed immobile.
Puoi anche portarti via ogni cosa tempo, puoi anche rubarmi le idee dalla mente e dividermi da ogni ardore, ma il segno che ho in petto e la meraviglia nei miei occhi sono gli stessi della notte in cui aprivamo la scatola ed eravamo ammantati della sua piena bellezza.
Puoi portarmi il conto alla fine di tutti questi giorni da osteria ed io salderò tutto, mi costasse l'eternità ed il Cielo, ed uscendo mi sentirò di nuovo alto e leggero ed in cammino. La stella ad oriente, appena sotto le ali trasparenti che sublimano parole sferzate al vento, poesie scritte e perdute, poesie intercettate sugli occhi di giovani donne e del loro mistero ondeggiante.
Presi il piccolo angelo e ne pagai il riscatto, lo misi, nudo e lucente, nel taschino all'altezza del cuore. Le stelle smisero di nascondersi ed i bambini si alzarono e si misero sul ciglio della strada a mangiarsi le loro morbide mele cotte, l'uomo che vendeva le figure del presepe sembrava un vecchio cantautore amante di buone storie e di belle donne, sul limite esterno della piazza gli zampognari sorbivano un bicchiere di vino caldo con i giovani musicisti rumeni dalla faccia scura e i denti d'oro e le mani grandi.
Ed anche lei passò, lentamente, ed io la riconobbi, subito, la seguii con gli occhi e con il cuore e la vidi svanire oltre il limite opposto della piazza. Ondeggiando nella sua bellezza. Ondeggiando nella musica che mi sibilava nella mente.
Abbi cura di te.
Grazia e bellezza. Nessun artiglio, nessuna polvere, nessun angelo caduto, nessun rimpianto, nessuna ombra questa sera. Spezzato e perduto, non più, questa sera, come prendere in prestito l'abito buono d'un amico per un viaggio in una città elegante per una festa ed una veglia, e sentire che, una volta messa la giacca indosso, il tremore è passato e nuovi passi si aprono all'orizzonte.
E saper che ciò che si è perduto è sempre meno di ciò che si è scommesso, in amore e vita che gonfiano il petto. Una mela cotta, grazie.
Buon Natale anche a lei, signore, e grazie. Prendo il mio posto nella piazza. Prendo il mio posto nel presepe.
A testa in giù come un impavido giullare che si prende gioco del fato e cura di poche, piccole stelle.

Elio Graziano


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Il Club dei Poeti 2007

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 Ins. 18-09-2008