Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Davide Rubini
 
Con questo racconto ha vinto il ottavo premio del concorso Città di Melegnano 2000, sezione nerrativa
 
Il tuffo
 
Grazie D. e M. Risi
 
 
Che Gigi fosse una persona speciale non credo sia possibile negarlo. Aveva nel cuore qualcosa che tutti avrebbero voluto nel loro, come diceva Kerouac del piccolo Pic. Un fisico da atleta e un animo generoso, la gioia dei suoi genitori. In piscina ne parlavano come di uno sportivo d'altri tempi. Tanto per dire, qualcuno riconosceva in lui la fierezza di Coppi e la fede di Bartali.
La giornata era stata splendida. Nizza sotto il sole brillava delle sue auto lussuose, delle sue fuoriserie e all'ingresso dei grandi alberghi gli usceri in livrea sorridevano ai turisti e se ne stavano un po' meno fissi del solito.
Le palme sui larghi viali si lasciavano accarezzare da un brezza leggera e fresca e ci concedevano preziosi angoli d'ombra. Al Negresco, si diceva, sarebbero arrivati nella sera il Conte Blomberg, con moglie e figlia. Nella hall si leggeva eccitazione ed ansia sulla faccia del direttore e su quella dei suoi fedelissimi.
Quel giorno Io me ne stato sulla spiaggia, sotto il sole gentile delle sette e un quarto, con un libro tra le mani e un asciugamano umido sotto il culo. Di tanto in tanto alzavo lo sguardo per posarlo sul fondo schiena di qualche bella fanciulla abbronzata. Ce n'erano di interessanti e senza dubbio erano meglio di qualsiasi pagina di Hemingway, anche le sue migliori. Poi tornavo a leggere e quando trovavo una frase interessante o una zampata geniale me l'annotavo. Mi annoiavo, insomma.
Gigi arrivò in quel momento, mentre mi stavo annoiando. Avevo sentito delle gomme fischiare e un motore che andava su di giri e poi si spegneva e avevo sperato fosse lui.
Io non lo vidi, ma sono certo che prima di scendere dalla sua coupè decappottabile, si guardò nello specchietto retrovisore, passandosi una mano fra i capelli biondo scuro, e che quando fu in strada controllò la situazione, girandosi a destra e a sinistra, fingendo indifferenza e avviandosi verso la spiaggia.
Quando mi fu vicino, prese uno dei tanti sassi bianchi e lo tirò sulle pagine del mio libro: - Salve, brutto figlio di una buona donna! - gli dissi e lui mi salutò allo stesso modo e si mise a sedere al mio fianco. Ripeteva sempre la prima frase che gli rivolgevo. Gigi amava fare lo sbruffone o far saltare i nervi alla gente, anche a quelli che gli volevano bene, come me, eppure restava ugualmente amabile. In genere riuscivo ad abbronzarmi più di lui, per quella mia mania di libri e culi, che mi inchiodava in spiaggia anche otto ore di seguito, eppure la sua pelle così delicata e lucida faceva impazzire tutte quelle ragazzine, che nemmeno si accorgevano di me e riuscivano a farmi sentire già vecchio.
- Questa sera arriva il conte - disse Gigi
- Lo so - risposi senza particolare entusiasmo - ve ne andrete in giro per locali e sale da gioco per tutta la notte, mentre sua moglie se la fa con il facchino più giovane dell'albergo e sua figlia la dà a un nonno ricco e bavoso?
- Le cose andranno più o meno in questa maniera. Perché non vieni con noi?
- Hemingway si offenderebbe e poi devo concludere un lavoro
- Palle!
- No! Il giornale mi ha chiesto due colonne per lunedì
- Vorrà dire che faremo a meno della tua compagnia, non capisco perché diavolo ti ostini ad odiarlo così tanto
- Non lo odio
- Lo disprezzi... è più o meno la stessa cosa
- Non è la stessa cosa e poi non ho voglia di parlare di quel tipo. Sei mica venuto in spiaggia per cantare le lodi del Signor Blomberg
- Sei sempre il solito, se la gente non apprezza il tuo lavoro o non s'inchina di fronte alla gloria dei tuoi romanzi, non riesci proprio a mandarla giù.
Questa storia dei miei romanzi è vera, ma non sopporto che mi venga rinfacciata e poi quel conte era davvero una persona odiosa. Un uomo vicino ai cinquanta, con un fisico asciutto, i capelli sempre ordinati e un portafoglio piuttosto generoso. Quel genere di uomini che una società democratica dovrebbe ripugnare. Una vita intera passata a spendere denari e consumare fortune, sicuro che una rendita grassa potrà sostenere ogni suo capriccio. Qui sulla costa trovava sempre una bella donna disposta a tenergli compagnia per una notte o due. La riempiva di champagne e le offriva un giro sulla sua fuoriserie perché l'aria frizzante e le bollicine del vino l'aiutassero a smarrire quel briciolo di buon senso che la sorte le riservata, poi se ne andavano ubriachi e leggeri fino al molo, dove stava ormeggiata la trenta metri del conte, tanto la moglie se ne stava in albergo e la figlia era già brilla ospite di chissà quale altra barca lussuosa.
Blomberg aveva conosciuto Gigi in una delle poche serate in cui preferiva passeggiare lungo la costa, tutto solo nel suo abito di lino elegante e leggero, con un lungo e spesso sigaro tra le labbra. Di umano Blomberg aveva quella storia del suo figliolo morto dopo appena due mesi per una malformazione congenita al cuore. Gli amici più intimi sostengono di averlo visto piangere più volte al cimitero dove sta sepolto quel corpicino innocente e che nelle sere in cui se ne va da solo per le strade pensa a quel bambino. Ma la gente come quel conte in genere dedica troppo poco tempo ai propri dolori. Così a qualsiasi cosa stesse pensando quella sera, Blomberg, quando vide Gigi scendere dalla sua auto in quel modo che ho detto, gli fece un fischio e lo chiamò a sé.
- Che programmi hai per questa notte, ragazzo? - disse con quella sua voce roca e fastidiosamente calma
- Dice a me? - rispose Gigi, sempre troppo sicuro di sé e in vena di burlare la gente - Veramente avrei un appuntamento con sua figlia... o forse non avrei dovuto dirglielo?
Gigi conosceva già il conte, tutti lo conoscevano sulla costa. Spesso si era fermato ad osservarlo mentre sorseggiava un Martini in un locale della città vecchia. Avrebbe voluto avvicinarlo, lo affascinava quel suo modo di fare morbido e un po' lascivo che io detestavo tanto, ma la sua faccia tosta e quel suo muso sbarbato e indisponente non avevano mai osato tanto. Nella testa di Gigi il conte rappresentava tutto ciò che lui avrebbe voluto per sé, una bella moglie da mostrare agli amici e riempire di inutili regali, una figlia che lo chiamasse Papi e lo riempisse di schifosissimi baci ruffiani e soldi, tanti soldi, che poi significava liquore e altre donne, ma soprattutto voleva dire auto lussuose e potenti per correre con i capelli al vento e sorpassare in curva le facce incredule e un po' invidiose di tutti gli altri.
- Sarei contento se mia figlia scegliesse uno come te, invece di andarsene con uno dei suoi vecchietti - rispose Blomberg senza mostrare risentimento per quella uscita di Gigi
- Non volevo sembrarle scortese Signor Conte
- Non lo sei affatto e poi quella ragazzina impunita se lo merita
- Se non sbaglio spetterebbe a lei di occuparsi della sua educazione, io non lascerei andare mia figlia in giro con gente senza scrupoli e troppo più grandi di le
- Hai ragione ragazzo! Come di chiami?
- Gigi, sign...
- E non chiamarmi signore, ti prego
Aveva questo, il Signor Blomberg riusciva addirittura a sembrarti simpatico, affabile e per nulla borioso e il mio amico ci cascò. Da quella volta presero a uscire insieme quasi tutte le notti. Si ubriacavano e facevano innamorare le ragazze più facili e le mattine successive Gigi non si tirava su dal letto prima di mezzogiorno, mi raggiungeva in spiaggia e mi raccontava per file e per segno tutto quello che aveva passato col conte.
La notizia che quella sera sarebbe arrivato Blomberg mi aveva messo di malumore. L'avevo sentito dire quella mattina mentre sorseggiavo il mio cappuccino e sfogliavo Le Monde, ma ero riuscito a dimenticarmene prima che Gigi me lo ricordasse sulla spiaggia. Fu in un attimo, sistemai il mio libro e i miei quaderni nella borsa di paglia e mi poggiai l'asciugamano sulla spalla. - Buon divertimento - dissi - ci si vede domani mattina e per favore, quando farai ritorno per chiudere la tua notte di baldorie cerca di non svegliarmi - e me ne andai sentendo sulla mia schiena i graffi del suo sguardo tra lo sconcertato e l'indispettito. Non mi salutò.
Va da sé che quella notte Gigi non tornò per la cena e io non riuscii a prendere sonno, come una vecchia madre che attende brava brava il suo figliolo ricamando o lasciandosi addormentare dalla voce elettrica di una televisione seduta su una sedia scomoda e fredda. Mi rigirai mille volte nelle lenzuola, mi alzai per bere qualcosa di fresco e alla fine non mi restò che pregare perché il sole e il suo giallo arrivassero prima del solito quel giorno.
Non appena il cielo si fece più chiaro saltai su dal letto e preparai e svuotai meccanicamente un'intera caffettiera. Mi affacciai alla finestra del mio appartamento nella speranza di vedere tornare il mio amico, ma riuscii a vedere solo Freddy, il vecchio clochard che dormiva a cinquanta metri da casa mia. Mi salutò con una bottiglia, sbandando per la sbornia, e io gli risposi augurandogli una buona giornata. Scrissi due righe per Gigi su un pezzo di carta sono in spiaggia - ci vediamo più tardi mi infilai sotto la doccia e dieci minuti dopo me ne andai a lasciarmi cullare dalla voce del mare con i miei libri e tutto il resto. I culi quella mattina non mi interessavano davvero, eppure era capitato altre volte che Gigi non rientrasse la notte. Quel litigio prima di separarci non ci voleva, ma quel Blomberg... s'era portato via il mio amico. Certo, io e Gigi non passavamo molto tempo insieme, io avevo i miei libri e lui le sue corse in auto e le sue ragazze, ma quando dico che s'era portato via il mio amico intendo dire che Gigi, quando quel Blomberg era nei paraggi, nemmeno passava dalla spiaggia alle sette e un quarto per salutarmi e sapevo che sarebbe stato così anche quella volta, per questo avevo reagito a quel modo, cristo. Così quella mattina non lessi nulla e nemmeno riuscii a buttar giù due righe. Provai a far due passi sul bagnasciuga, ma la spiaggia era troppo affollata e me ne tornai a sedere solo e silenzioso.
Gigi aveva un cara amica, Caroline, una ragazza bruna dai capelli lunghi e sempre vestita d'azzurro, in tutte le sue sfumature. Spesso Caroline veniva a trovarmi in spiaggia, si sedeva acconto restando senza parlare per un po', prendeva i miei libri, li sfogliava con interesse, intuendone appena il significato, ma senza capirli davvero perché non parlava italiano, e riponendoli dove li aveva trovati. Credo che nutrisse per me una certa stima, dopo aver toccato i libri mi parlava della sua famiglia, di quale gran cuoca era la madre e di quale gran lavoratore era il padre e poi parlavamo di Gigi.
Si erano conosciuti quando avevano appena sedici anni, si erano innamorati l'uno dell'altra e da allora erano rimasti amici e confidenti, anche d'inverno si scambiavano per corrispondenza lettere interminabili, trasformando in tragedie piccole disavventure quotidiane e bei momenti in esperienze straordinarie. Anche Caroline non sopportava Blomberg, me lo diceva spesso e lo ripeteva anche a Gigi. Glielo diceva in un solo modo strano, alzando gli occhi e col volto scuro e lasciando calare pesanti silenzi subito dopo, roba che io non sarei stato in grado di resisterle nemmeno un secondo. Le avrei chiesto scusa mille volte, l'avrei baciata e abbracciata, le avrei detto che lei era l'unica donna della mia vita e che avrei voluto sposarla e crescere con lei un'intera cucciolata di piccoli d'uomo, invece lui non faceva che vergognarsi e accampare scuse e giustificazioni grossolane.
Insomma Caroline mi stava proprio simpatica. Riusciva ad essere amica di Gigi senza stare ai suoi giochetti, così quella mattina quando mi venne incontro correndo, tutta rossa in faccia e con i capelli in disordine e quel suo faccino sempre liscio e rilassato tutto rigato di lacrime, fui piuttosto contento di vederla. Correva nella mia direzione e correndo già urlava, chiamava il mio nome con la voce strozzata dalle lacrime e dal fiatone: - David, David... - aspettai che mi fu vicina e offrendole un fazzoletto: - Cosa è successo, piccola? - i singhiozzi le smorzavano la voce e allora le accarezzai la schiena e la avvicinai a me:
- Caroline, sta calma
- David... - soprafatta dal pianto - Gigi... - con le g scivolose e francesi
- Cosa è successo a Gigi?
- Quella notte...
Oh no, non le lasciai finire la frase perché certe cose si possono intuire, ma non si vorrebbero mai sentire. - Blomberg è in osped... - e di nuovo le lacrime non le consentirono di terminare la frase. La abbracciai forte e lei posò il suo viso bagnato sul mio petto insicuro. Non riuscivo a muovere un passo, la testa mi girava e da dentro, dai piedi persino mi saliva una rabbia verso tutte quelle persone che mi stanno intorno, sdraiate per prendere il sole o con una bibita fresca da sorseggiare e il mare, non sopportavo il mare, calmo e calda era l'aria. La rabbia divenne in un secondo impotenza e poi venne il pensiero di dover avvertire i parenti di Gigi, in fondo lui era con me in vacanza, questo sapevano loro. Pensai che sarei dovuto andare in ospedale per sapere dai medici i dettagli dell'accaduto. Pensai a quel Blomberg e pensai anche che ancora non sapevo nulla di ciò che era accaduto veramente. Mi dimenticai di Caroline aggrappata al mio busto e in lacrime, immaginai di dover rientrare a casa per il pranzo perché ormai era ora e immaginai di dover comprare il giornale per non restare a corto di notizie quel giorno. - David... - continuava a ripetere il mio nome, Caroline - Gigi... - e quello del nostro povero amico. Intorno un ragazzino con la sua paletta scavava una buca e quella buca mi fece impressione, un altro sollevò il mio fazzoletto che Caroline aveva lasciato cadere sulla sabbia. Ringraziai il piccolo e lui se ne andò camminando all'indietro, guardandoci e chiedendosi perché diavolo due persone su una spiaggia, piena di seni all'aria e gente che rideva e inseguiva l'agognato riposo, due potessero stringersi così forte e piangere copiosamente e silenziosamente. Lo ringraziai anche per quel caro pensiero.
Certo, non potevamo restare tutto il giorno là, così accompagnai quella ragazza distrutta dal dolore a casa, dai suoi genitori. Dissi loro di non lasciarla sola e la madre, che oltre ad essere un'ottima cuoca era una donna di gran cuore, capì e l'abbracciò subito. Corsi in ospedale per l'inutile conferma, incidente stradale e quel Blomberg l'aveva scampata con poco.
Era balzato subito fuori dall'auto, il conte, Gigi invece era precipitato giù nel burrone oltre una curva insieme all'auto. All'ospedale c'erano la moglie e la figlia di Blomberg, ma non volli avvicinarmi, piangevano in una maniera disgustosamente raffinata. Riuscivano ad essere raffinati anche nel dolore, oh maledettissimi ricchi. Poi venne il momento della telefonata ai genitori di Gigi, ovviamente la notizia li aveva già raggiunti, ci aveva pensato l'ospedale. Il ragazzo aveva con sé i documenti ed era stato facile risalire al numero di telefono dei suoi. Dall'altra parte della cornetta arrivavano urla strazianti e incomprensibili, che riuscirono a farmi sentire in colpa, le parole disordinate della madre mi chiedevano implorandovi di rispondere e senza lasciare il tempo per rispondere se per caso il loro non fosse stato un buon figliolo, se si fosse meritato quella lurida fine. Li salutai dicendo che ci saremmo sentiti presto e consigliai loro di pregare per il figlio. Io, io che consiglio a qualcuno di pregare... è strano come si reagisca in certe situazioni estreme, non riuscii a non notare che la madre non mi chiedesse di Blomberg, avrei voluto sentirla urlare e inveire contro quel riccone bastardo e ladro di amici, ma quella era la mia rabbia e non il dolore di una madre distrutta nel petto. Passai il resto della giornata in casa, sdraiato sul mio letto e volgendo lo sguardo su quello di Gigi ogni tre minuti e aspettando che calasse la notte con la stessa ansia con cui avevo atteso quel giorno. Riuscii addirittura a chiedermi se non fossi stato io a dare fretta a quei due, desiderosi di bruciare la vita e fare follie, e mi mandai a quel paese per quell'idea malsana. La sera non ebbi fame e non mangiai, mi vestii e andai allo scoglio.
Era l'angolo del mondo che il destino mi aveva riservato. Tutti, credo, ne abbiano uno, è il posto dove si va quando si è troppo tristi o troppo felici e si ha voglia di stare da soli per bestemmiare e urlare contro il buon Dio, chiedendosi se per caso non si sia ammalato, oppure per pregarlo e ringraziarlo e farci due risate grosse e sane. Nell'angolo del destino un uomo nemmeno porta la sua donna, quello è un posto dove trovano spazio solo i propri pensieri e la propria rabbia e l'entusiasmo o l'inizio di una sfida o di un'avventura, oppure dove prendono il volo le grandi scelte. Un sentiero che solo io riuscivo ad individuare arrivava fino lì, allungandosi tra i pini bruciati della salsedine e i rovi, davanti se ne stava la città, Nizza, sdraiata come una bella donna sulla costa che si accarezzi i capelli e goda della sua bellezza e più lontano Montecarlo più caparbia e coraggiosa, aggrappata con orgoglio alla montagna che arrivava fino al mare. Di notte la costa diventa un immenso luna park pieno di luci e suoni e musiche e parole che s'intrecciano, si confondono e a volte non s'incontrano. Se la luna è piena disegna nel mare come un dito che punta in direzione dello scoglio.
Dito tremulo d'argento liquido su di me fai ricadere le colpe di quelle notti di vizi ed eccessi.
Quella notte la luna era piena e quel suo dito si mostrava più imperioso che mai, dritto verso la mia fronte Nizza e Montecarlo si divertivano e giocavano coi loro turisti e amanti e il mare pareva olio o petrolio, calmo, s'increspava appena sulla superficie per un alito leggero, restando compatto, pesante, come una divinità severa che non sia disposta ai compromessi, né abbia intenzione tornare indietro sulla propria decisione. Quel mare m'inchiodava ad un pauroso silenzio dell'anima, confondeva i ricordi e chi mi tornava alla mente non era il mio Gigi, ma quel lurido Blomberg, coi suoi capelli ordinati e il suo fisico asciutto, la sua voce rauca e i suoi modi raffinati.
Lì, in piedi e solo, tremavo. Tutta la notte, stando sveglio a indovinare la faccia scura della luna, schiva e vergognosa o misteriosa e potente, scrigno e miniera dei quesiti insoluti degli uomini, ti volgi senza mai mostrarti.
Ognuno ti insegua e diventi folle nella speranza di vederti. Perché Gigi e perché Blomberg, o semplicemente perché? Come un muro di gomma, che non sono solo le losche trame dei maligni o i perfidi piani di oscuri strateghi, ma tutte le domande degli uomini che cominciano in quel modo, faccia scura della luna. A questo pensavo, quella notte. Questi pensieri soffocavano il dolore per la scomparsa del mio amico, nel mio angolo del destino. Mi tornarono alla mente le ultime scene di quel film di Risi, quando piove e tutti piangono e ridono perché se pure risposte la luna non vorrà darne nessuno potrà impedire agli uomini di chiedere perché. Così raccolsi tutte le mie lacrime e l'urlo che avevo trattenuto per tutta quella interminabile giornata e, guardando la Signora d'argento, offrii tutto al mare. Dissi forte: - Gigi perché? E mi tuffai, spaccando quell'acqua dura e immobile, come l'ancora gettata in un oceano di metallo fuso.

 

Classifica Concorso Città di Melegnano 2000 sez. narrativa
 
PER COMUNICARE CON L'AUTORE speditegli una lettera presso «Il Club degli autori, cas.post. 68, 20077 MELEGNANO (Mi)». Allegate Lit. 3.000 in francobolli per contributo spese postali e di segreteria provvederemo a inoltrargliela.
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©2000 Il club degli autori Davide Rubini
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inserito il 13 dicembre 2000