Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti
Davide Ficagna
Ha pubblicato il libro

Davide Ficagna - Comparse

 

 

 

 

 

 

 

Collana Le schegge d'oro (i libri dei premi) 12x17 - pp. 36 - Euro 5,00 - ISBN 88-8356-386-7

Questo libro è stato stampato con il contributo

de IL CLUB degli autori in quanto l'autore è

2° classificato nel concorso

«Città di Melegnano" 2001 sez. narrativa


Presentazione
Incipit

 

 
Presentazione
Cinque brevi racconti densi di continui stupori e di un insopprimibile richiamo della libertà. Uno sguardo sul mondo che fa trasparire una creatività che suggerisce di continuo nuove ed originali soluzioni narrative come nel racconto del maestro intagliatore dal talento fantastico che realizzerà l'ultima opera: il simbolo e il riassunto di tutta una vita.
La capacità di osservare e narrare da parte di Davide Ficagna rende ogni racconto efficace nel ricreare le atmosfere desiderate.
 

Massimo Barile

Incipit
 
 
 
 
La Libertà di Pablito
 
Pablito, a volte, sentiva il richiamo della libertà.
Lo sentiva forte, nitido, come un brivido nelle ossa e come un tribale rimbombare di tamburi nella sua testolina.
Non era una tentazione o un semplice invito; era più un imperativo, un bisogno impellente e viscerale a cui proprio non poteva sottrarsi.
Ed infatti, non vi si sottraeva.
Lasciava tutti senza un vero motivo e senza una spiegazione che fosse valida almeno per lui.
Quando fuggiva, preferiva farlo di mattina presto.
La sua scelta era dettata un po' dal fatto che, quando il richiamo si faceva udire così chiaramente, non poteva attendere molto oltre e un po' perché adorava essere presente e lucido quando tutto il resto del mondo cominciava a dischiudere gli occhioni gonfi ed incollati.
Mentre l'alba ribaltava progressivamente e violentemente la staticità ed il silenzio sterile della notte, Pablito si soffermava ad assaporare gli odori e i profumi del suo primo giorno di fuga.
A volte era aroma di primavera, con quel suo misto di selvatico e di dolcezza dei primi fiori, l'umido delicato dell'aria ed il ringiovanimento delle cortecce, a volte lo era d'autunno, col suo sapore di stoppe bruciate con l'aiuto del vento, di terra smossa che diventa scura e di erba amara.
L'inverno lo riconosceva alla prima, lunga inspirata. Quel pungere alle narici, quel resistere del sentore dei pini e l'accenno di muschio non lasciavano spazio ad alcun ragionevole dubbio.
Lo sentiva arrivare, e non lo amava particolarmente, lo sentiva ancor prima che facesse freddo sul serio e che altri se ne accorgessero o ne avessero il minimo sentore.
Amava invece l'estate e non aveva bisogno di riconoscerla. Ad ogni respiro profondo o meno tutto parlava di lei: il polveroso, acre odore della terra, quello fresco e giovane dell'erba, il mischiarsi dei profumi floreali ormai deboli e maturi e quasi indistinguibili. Era la stagione in cui preferiva fuggire.
Ma il richiamo della libertà non aveva calendari, non rispettava le scadenze degli uomini e arrivava quando doveva arrivare, senza guardare in faccia a nessuno.
Ed allora Pablito obbediva, provando il lacerante piacere di assecondare i suoi folli desideri, la sconvolgente semplicità di lasciar fare all'istinto e se ne andava. Sempre di mattino presto.
Nelle sue fughe, voleva vedere posti nuovi. Luoghi lontani dalla quotidianità, dalle abitudini e dal suo comune e collaudato senso del vivere la giornata.
Non gli interessava "sapere" o "conoscere", istintivamente voleva solo sentirsi diverso dal solito.
Un fuoco ancestrale ardeva dentro di lui e tentava di consumarlo non appena accennava ad un ripensamento, a qualche piccola avvisaglia di nostalgia di casa.
Quel fuoco, in compenso, era il suo camino, il suo faro guida e, forse, il suo vero "io".
Camminava, instancabile. Ore ed ore.
Alla ricerca di niente in particolare.
Il fuoco che gli scaldava ossa e cuore era anche la sua fonte inesauribile ed ecologica di carburante.
Se voleva vedere qualcosa dall'alto non esitava ad arrampicarsi, con tutta l'agilità di cui la Natura gli aveva fatto dono e poi si fermava, e si gustava la visuale.
Il richiamo stesso lo rendeva libero. Il suo camminare ed il suo fermarsi lo rendevano libero.
Non sarebbe mai riuscito a provare quelle sensazioni se fosse rimasto a casa o, meglio ancora, non avrebbe mai potuto sapere cosa si perdeva. Chi vive sempre al buio non può conoscere la meraviglia della luce ma di certo non potrà nemmeno soffrirne la mancanza.
Il richiamo lo rendeva sensibile a cose che normalmente non lo interessavano.
E la fuga era l'apoteosi di un sentirsi tutt'uno col mondo che stava fuori dalla sua normalità.
Era come il potersi dissetare abbondantemente dopo un periodo di siccità: bere è assolutamente più piacevole quando si ha una sete che somiglia all'arsura.
Camminava, meravigliato. Ore ed ore.
Con quel fuoco che lo spronava.
Ma alla fine doveva arrivare anche la notte. Portava con sé il suo silenzio, il suo affievolirsi dei profumi, il rinfrescarsi dell'aria. Ed erano solo canti solisti di grilli a sostituire i cori degli uccelli. Erano i lampioni e le lampade i pallidi simulacri del sole.
La notte era paura, solitudine. Qualche volta era lotta con quelli che solo col buio uscivano per rivendicare diritti di passaggio e per gridare rabbia verso la luna.
Infelici e dannati, reietti e randagi. Loro forse non conoscevano l'ebbrezza del richiamo o forse ne erano soltanto rimasti soggiogati. La libertà è inebriante, non c'è dubbio, ma può dare alla testa.
La notte era anche terrore, quando assumeva le sembianze di due fari accecanti e veloci che lo sfioravano. Quando quei pochi che restavano all'aria aperta sembravano come impazziti.
Perché non tutti vedevano quel che vedeva lui? Perché si affannavano a voler rischiarare la realtà delle cose in mille modi e si muovevano così circospetti? Gli era forse sfuggito qualcosa del mondo che gli stava intorno e che tanto amava?
La notte era, nonostante tutto, il momento migliore per procurarsi da mangiare dato il suo girovagare da vagabondo. Meno concorrenza.
E poi, finalmente, il chiarore del mattino intonava l'agonia per le ore trascorse e scure.
Camminava, rinfrancato. Ore ed ore.
E spesso si accorgeva di percorrere inconsciamente il cammino del ritorno.
Il richiamo non era più così forte e chiaro come agli inizi ed il fuoco che lo spingeva verso l'ignoto pareva diventare tiepido.
Il mondo era comunque incantevole ma Pablito sentiva voglia di casa: voglia di abitudini consolidate, di tanta caramellata normalità, del tepore di volti conosciuti e cari.
L'istinto perdeva la voce e sussurrava parole che sapevano di già sentito e che non potevano sperare di salvare la fuga dalla sua fine ormai certa.
Tutte le volte tornava a casa.
Trovava ad aspettarlo la sua cuccia e le sue crocchette. Quelle di manzo, le sue preferite. Dava un paio di lappate alla scodellina dell'acqua e miagolando insistentemente annunciava il suo rientro.
Tutto trasmetteva tranquillità mentre l'istinto ammutoliva completamente.
Appallottolato sul suo cuscino rosso di velluto, Pablito cominciava pigramente ad attendere il prossimo richiamo e la sua prossima fuga.
Possibilmente d'estate e, come sempre, di mattina presto.

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Ins. 11-11-2002