SCRITTORI ITALIANI
CONTEMPORANEI

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Davide Ficagna
Opera 2° classificata al concorso Città di Melegnano sez. narrativa

 
L'ultima Opera (7276)
 
È strano come certe mattine di marzo assomiglino in maniera impressionante a mattine di dicembre.
Le sferzate di aria fredda, la leggera foschia da brughiera che aleggia appena al di sopra dei campi e quel sole timido che stenta a farsi strada in un cielo velato.
In una di quelle mattine senza precisa identità, Giovanni, s'incamminò con passo stanco ed un poco trascinato verso l'unico bar del paesello.
Camminando, si trovò a fissarsi insistentemente i piedi, un passo dopo l'altro, cercando quasi di carpire la motivazione che glieli faceva sentire così pesanti.
I settantasei anni che si ritrovava sulle spalle non gli bastavano: mai e poi mai avrebbe dato la colpa di un acciacco alla vecchiaia, proprio lui che si professava un irriducibile ed un mai domo. Uno che, dentro, non invecchia mai.
All'angolo della chiesetta di San Patrizio, più o meno a metà strada tra casa e bar, Giovanni si fermò a tirare il fiato massaggiandosi la schiena con la mano sinistra, quella libera dal bastone, e curandosi di non essere visto in quella posizione di resa incondizionata ai reumatismi.
 
D'un tratto si fece serio. Annusò ripetutamente l'aria, drizzandosi per quanto gli era possibile e fiutando intensamente neanche fosse un cane da caccia.
Non era la mattinata strana e fresca ad insospettirlo e nemmeno l'odore di pane caldo che fuoriusciva dalla bottega di Armando; in settantasei anni ne aveva viste di mattinate strane e fresche e conosceva più che bene il profumo del pane caldo di Armando.
A stuzzicarlo fu una specie di avvisaglia da un nonmeglioidentificato sesto senso.
- Certe cose, io le sento a naso. - borbottò tra sé e sé girando l'angolo della chiesetta di San Patrizio e incamminandosi verso la seconda metà del suo tragitto.
Quasi in risposta alla sua strampalata predizione, le campane stonarono un'agonia.
 
L'Associazione degli Intagliatori, nacque alla fine degli anni sessanta sulle ceneri di quella che fu la Corporazione medievale più importante del paese. Allora erano in tanti a praticare quella che, da tutti, veniva definita un'arte piuttosto che un semplice lavoro.
Ma con gli anni tutto è destinato a lasciare il tempo che trova.
Gli Intagliatori si trovarono a diminuire un po' per la progressiva perdita d'importanza del loro operato e un po' perché i giovani preferivano fuggire verso la città, decisi a non fossilizzarsi in un paese che andava invecchiando al passo dei suoi abitanti.
Gli Intagliatori diventarono una specie di classe chiusa e non rinnovabile loro malgrado e, col tempo, si trovarono a diminuire per le dipartite dei membri.
Quella strana e fresca mattina di marzo, se ne andò Renzo, settantatre anni portati benone fino al giorno prima.
 
Giovanni apprese la notizia al bar dal Mastro, ma già se lo sentiva: glielo aveva detto il suo improbabile fiuto.
Il Mastro era il presidente dell'Associazione degli Intagliatori e veniva chiamato così per via della sua non comune abilità nel lavorare il legno. Prima di lui suo padre, e prima ancora suo nonno, erano intagliatori, gente che portava nel sangue un talento incredibile e che non doveva far altro che assecondare ciò che il destino gli chiedeva di fare.
Il Mastro aveva ereditato al meglio quel talento di famiglia; forse per quello era sempre uno spettacolo vederlo armeggiare con gli attrezzi, gestire con naturalezza i fendenti per sgrossare o i tocchi di finitura e ammirare la liscia rotondità delle sue opere.
Il Mastro era capace di colpi forti, decisi e poi, senza mutare espressione, di carezze e intagli quasi sfiorati. Nelle sue mani un blocco di legno diventava immediatamente arte, ancora prima che potesse iniziare a lavorarci. Glielo si leggeva nei piccoli occhi castani.
Quella mattina, nel bar del paese, i piccoli occhi castani del Mastro fissavano quelli chiari di Giovanni.
- Ce ne stiamo andando Giovanni. Ad uno ad uno stiamo lasciando il mondo crudele.
- È la natura che lo esige, o almeno credo. - rispose Giovanni.
- Natura o no, il tempo stringe. Pensi di riprendere la tua opera incompiuta?
- Perché no?
- Non saprei. Lo sai che non mi è mai piaciuta quest'idea. Non mi sembra mai il momento adatto.
- Forse non sarà mai il momento adatto ma io la voglio portare fino in fondo. Devo lasciare un segno, qualcosa che possa sopravvivermi e fissarsi nella memoria. Tutti dovrebbero farlo così come io ho a cuore il ricordo di tutti noi.
- A me pare un'emerita sciocchezza e ancora non capisco perché tu mi abbia reso partecipe di questo tuo cosiddetto segreto.
- Beh, ero certo che avresti capito... e ne sono ancora convinto.
Il Mastro aspirò una boccata dalla sua pipa preferita e stette a guardare per alcuni secondi le evoluzioni del fumo azzurrognolo e denso che gli uscivano dalle labbra. Poi ritornò a fissare Giovanni:
- Va bene. Ammettiamo sia una cosa fattibile, anche se non lo credo: e se non ti bastasse il tempo? Se arrivasse prima che tu possa portare a termine l'opera, come reagiresti?
- Oh, in quel caso non avrei comunque nulla da perdere.
Giovanni stroncò il discorso cominciando a distribuire la carte per la scopa. Il Mastro accettò di buon grado il silenzioso ed allusivo invito ad una partitella, ben felice di abbandonare quel che lui considerava un terreno minato.
Al pomeriggio del giorno dopo si sarebbero tenuti i funerali di Renzo e ci sarebbe quindi stato tutto il tempo per discorrere del passato, dei bei giorni andati e per intristirsi. In quel momento, al bar, il Mastro e Giovanni, decisero di concedersi un silenzio quasi mistico pur di non ammettere di non voler restare soli.
 
La casa di Giovanni era poco più di un vecchio monolocale ma per lui era poco meno di una reggia.
Era una casupola alla periferia (sempre che si potesse considerare l'esistenza di un "centro") del paese, nella parte più vicina ai piedi del monte.
 
Nel suo pur piccolo spazio vitale, Giovanni aveva sistemato con ordine e scrupolo tutto ciò che gli era utile alla professione, diventata per forza di cose un passatempo, di intagliatore. In pratica, era riuscito a far convivere la comodità di una casa per vivere con la praticità di una piccola officina per lavorare.
Aveva sempre preferito mettersi ad intagliare nel fitto degli alberi, inoltrandosi nel bosco dietro casa che tappezza la montagna fin quasi sulla cima. Adorava quell'atmosfera di fantasia e d'irrealtà che lo circondava mentre, assorto nella creazione di qualcosa di tangibile, si lasciava carezzare la pelle dalla brezza e le orecchie dal frusciare delle fronde. Gongolava nel distogliere lo sguardo dal suo lavoro quando un più intenso raggio di sole bucava il filtro dei rami e veniva a rischiarare ulteriormente quella luce patinata e dorata. Si sentiva attorniato, supportato dal legno vivo e pronto a far tornare a nuova vita quei blocchetti che teneva tra le mani.
In quelle giornate all'aria aperta aveva creato i suoi pezzi migliori, qualche volta addirittura premiati in concorsi locali, e, sempre in una di quelle giornate, aveva partorito l'idea che tanto pareva stramba al Mastro.
Dopo i settanta, Giovanni cominciò a prediligere il lavoro serale; trovò eccitante e relativamente nuovo, il mettersi all'opera sul tardi, accompagnato dalla sola luce di un lume anni cinquanta e dalla musica dei suoi pensieri vagabondi.
Quella sera di marzo, dopo il funerale di Renzo, Giovanni si mise al lavoro per cogliere l'occasione e continuare la sua Opera (con la "O" maiuscola) ferma ormai da un paio d'anni.
 
Sotto un cappello a falda larga e con la pipa spenta in mano, il Mastro sfidava la pioggia sostando corrucciato davanti alla tomba di Donato.
 
Stava pensando che la pioggia, checcavolo, guasta sempre tutto, dai matrimoni ai funerali e che non dovrebbe fare la sua comparsa nella benché minima funzione pubblica.
Assorto nei suoi pensieri non si accorse che Giovanni gli era arrivato, pur con passi pesanti e un poco trascinati, proprio di fianco.
- Pare si sia rimasti in due, eh?
Il Mastro non sobbalzò né si stupì di sentire quella domanda; in un certo senso se l'aspettava, era comunque la logica conclusione della vita e, per quanto fosse triste, dell'Associazione degli Intagliatori.
- Pare proprio di sì. - rispose il Mastro accennando un sorriso rassegnato ma bonario.
Giovanni gli fece posto sotto il suo ombrello vecchissimo, forse più di lui, ed insieme s'incamminarono pian pianino verso il bar.
- Visto che siamo rimasti in due, - riprese il Mastro - significa anche che la tua opera sta per giungere al termine.
- Lo sai che voglio portarla a compimento solo per precauzione. L'avevo detto solo a te proprio per non essere frainteso. Se dovessi essere io l'ultimo? Non ci hai mai pensato? Non hai mai desiderato poter scampare a tutti gli altri almeno per un secondo?
- Forse sì, ma è diverso da quel che intendi tu. Non ci si può preparare a certe cose, accadono e basta. Questa non è una favola e tanto meno un film: questa è la vita.
Giovanni sorrise e strappò un sorriso anche al suo interlocutore.
- Ma tu guarda se a ottant'anni suonati dobbiamo andarci ad impegolare su questi discorsi di filosofia da quattro soldi bucati. - disse il Mastro spingendo la porta del bar - Su, facciamoci una bella briscola e non parliamone più. Dopotutto manca solo l'atto finale. Vedremo se il tempo ti darà ragione.
In cuor suo, Giovanni, sentiva che il Mastro in qualche modo ammirava la sua idea e forse la sua unica paura era quella di non poter assistere al suo completamento.
Non bisognava comunque cedere alla fretta, si trattava di un'opera destinata a riassumere una vita intera e non poteva peccare della sia pur minima imperfezione. Le mani tremanti e la vista in calo non dovevano essere un impedimento all'impegno di anni ed al riscatto di tante anime.
 
Tornò marzo, e ritornò fatalmente con una mattinata tanto simile ad una mattinata di dicembre.
Il sole faceva capolino occasionalmente dal velo di nubi e illuminava di luce bianca ed evanescente il sentiero percorso da Giovanni verso la radura nel bosco.
La radura distava circa un paio d'ore di cammino dal paese e Giovanni, bastone alla mano e sacca di pelle consumata dal tempo in spalla, pareva deciso a raggiungerla il più velocemente possibile.
Odori e rumori carpiti strada facendo gli ricordavano i giorni passati a lavorare in quegli splendidi posti, gli richiamavano alla mente la giovinezza e poi la maturità di artista del legno, gli rammentavano che restava poco tempo per portare a compimento quel che aveva promesso al Mastro.
-Ora la tua opera deve essere completata. Lo devi a tutti gli Intagliatori.
Questo gli aveva detto all'ospedale, questo gli aveva detto prima di lasciarlo unico rappresentante vivente della loro associazione praticamente estinta.
Camminava e camminava e quelle due ore sembravano diventare quattro per il fiato corto e per il mal di schiena che inutilmente cercava di lenire massaggiandosi con la mano sinistra.
 
Ora tutto era pronto.
Finalmente erano uno di fronte all'altro e avrebbe potuto fare sfoggio del risultato della sua arte e di tanti anni di fatica.
Giovanni prese la sacca di pelle consunta ed estrasse una magnifica scacchiera lucida e pesantissima, rifinita al limite del maniacale. La poggiò su di un ceppo che stava giusto giusto tra di loro, a mo' di tavolino.
Poi, lentamente, cominciò a disporre i pezzi anch'essi realizzati con dovizia e precisione nei particolari. Prima i neri, all'avversario, e poi, tradendo l'emozione, iniziò a sistemare al loro posto i suoi bianchi.
I pedoni, belli, perfetti ma uguali agli antagonisti neri.
Poi i pezzi importanti: ognuno con il volto di un compagno dell'associazione.
Tutti piccoli meravigliosi ritratti degli amici che prima di lui avevano lasciato gli Intagliatori.
Tutti piccoli meravigliosi ritratti che gli avrebbero dato man forte nella partita decisiva.
Per Giovanni era quella l'Opera in grado di riassumere tante vite dedite ad una passione più che ad un lavoro.
Guardò il Re, con le sembianze del Mastro, e, prima di posarlo si affidò mentalmente alla sua intercessione.
- Spero non ti offenderai se così facendo mi sono garantito la prima mossa. - disse Giovanni rivolgendosi all'avversario.
- Te ne concedo due. - rispose la Morte scostando il cappuccio scuro e mostrando un sorriso comprensivo e rassicurante - Un piccolo omaggio alla tua ultima Opera.
 
 
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agg. 23 dicembre 2001