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- Particolari.
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- "Amo l'autunno, triste stagione che
si
- addice ai ricordi. Quando gli alberi non
- hanno più foglie, quando il cielo
serba
- ancora al crepuscolo il colore rosso che
- indora l'erba appassita, è dolce
guardare
- spegnersi ciò che prima brillava
in noi."
- G. Flaubert - "Novembre"
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- Lontano avverto il mare. Ho gli occhi
socchiusi, deboli. Due piccole sonde rimaste spesso
aperte di fronte alle meraviglie. Nel letto ad ogni
movimento sento la sabbia, sottile e fina, che mi
prude la schiena. In verità non c'è, ma
è come ci fosse. Ho sentito dire da qualcuno
che peso centoventi chili. Gonfio come una botte ha
detto qualcun altro. "I reni, i reni..." mormorato,
non so da chi. Forse a momenti piango, perché
mi sento il viso umido, ma senza volerlo. Mi ricordo
del mio compare, che ha sperato ad una serpe
nell'ultima battuta di caccia e d'una suora, che
m'è stata vicino tutta la notte il primo giorno
di ricovero. Eppure il dolore più grande me lo
danno i denti. Averne pochi, ma così crudeli.
Noi ci affanniamo tutti a fare una strada, ma è
il caso che fa il resto. Se guardo dietro non
c'è rimasto molto, mi sembra che tutto sia
passato davanti. Ho sempre avuto un cuore forte. Un
cuore che ne ha passate tante, ma puntuale non ha
perso un battito: questo cuore mi tiene in vita ora,
nient'altro. La sua volontà. Vorrei vedere il
cielo e qualche uccello volarci dolcemente. Qui arriva
solo l'urlo delle sirene; oppure il mormorio della
gente: niente d'accattivante. Vorrei vivere, gridare;
oppure trovare il modo di nascondermi. Vorrei anche
sentire l'aroma del caffè, o il sapore della
cioccolata sciogliersi in bocca. Il mio cuore è
forte e non si cura di nulla, non si domanda se
è meglio o peggio, fa il suo mestiere: batte.
Segue la vita e la vita raramente s'interessa dei
particolari. Semplifica. Io d'importante ho visto poco
e fatto... quasi niente. Ricordo anche mia madre che
strilla: "Quando la smetterai di fare il
pagliaccio?!". Anche il mio insegnante era severo e mi
sgridava spesso, e spesso io trasgredivo. Che cosa
diventa l'inchiostro quando l'acqua lo scioglie?
Quella saggezza che era racchiusa nelle parole: dove
finisce? Erano queste le domande che mi facevo da
bambino e sono quelle cui da adulto non ho ancora dato
risposta. Cose sciocche, particolari cui io
però tenevo. Il riposo si nutre ora sempre di
brutti sogni, come un delirio. Credo siano guasti
anche i polmoni. è giusto che sia così:
né io né mio padre abbiamo mai avuto
rispetto per ciò che è molle. è
stato il suo primo insegnamento, forse l'unico. Questo
a volte mi ha reso maleducato, ma mi ha permesso di
restare distante a ciò che era di poco conto.
L'effimero non l'ho mai digerito. Sento il mare
lontano, come avessi una conchiglia adagiata
all'orecchio. E qualche verità l'ho anche
strappata alla vita. Si dovrebbe far giocare di
più i bambini, si dovrebbe. Questo l'ho capito.
Io ho tre figlie. E ho giocato poco, troppo poco con
loro.
- A volte ho un tremolio fitto fitto lungo la
schiena, sale fino al cervello, forse cerca giustizia,
o una nuova verità. Strano il mio destino, non
ho mai avuto grande coraggio, ma non ho mai permesso
alla paura di frenare i miei slanci, e già
qualcosa, ho ammucchiato tante piccole imprese
quotidiane. Ho portato avanti tante piccole cose, cui
un uomo normale a volte può provare spavento.
Si può arrivare a scalare una vetta, senza
coraggio, lasciando semplicemente da parte le
paure.
- Dopo il pranzo qualcuno si prende cura di
pulirmi le labbra, non so dire chi è. Dalla
dolcezza del tocco sembra mia moglie, gli sorrido e lo
spero. Lei è una persona amabile, dopo tutto
sarebbe capace di fare anche questo. Io non distinguo
più la gente, ma vedo: ancora qualcosa vedo.
Stanchi, non mi ricordo più se brutti o belli,
ma i miei occhi chiusi vedono ancora. Non so come
spiegarlo, non trovano più la strada dove stavo
correndo, neppure la sedia usata per risposare. Ma
vedono ancora. Questo mi da fiducia. Il cuore e i miei
occhi.
- Solo nel letto con la sabbia e il mare:
aspetto. Nutro ancora una speranza. Spero che una
delle mie figlie possa arrivare e mi riesca di
riconoscerla. Spero che i miei occhi stanchi e chiusi
sappiano indicarmela. Solo ombre distinguo, io che ho
sempre amato i particolari.
- Se riuscissi a scoprire una delle mie tre
figlie sarei certo che la donna che mi pulisce la
bocca dopo il pasto è mia moglie, allora forse
mi riuscirebbe d'accettare anche la morte.
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- Una delle mie tre figlie... quanto poco ho
giocato con loro. Si pensa sempre a tracciare una
strada, la propria, e si rimandano le spiegazioni, poi
il caso scombina le cose e ci ruba il tempo e le
spiegazioni non vengono mai. Le mie tre figlie hanno
lo stesso disegno del viso, lo stampo della madre e lo
stesso taglio della bocca: le mie stesse labbra. Tutte
e tre. Io che amo i particolari l'ho notato fin dal
principio. Non distinguo che ombre, ma saprei vederlo
quel taglio di labbra su un viso. Quello non mi
sfuggirebbe mai. Se una delle mie tre figlie venisse,
se una, una sola delle tre venisse... ho viaggiato
troppo tempo e giocato troppo poco con loro. Questa
è la verità. Una moglie può
perdonarmi tutto, ma una figlia no: lei ha il dovere
di non perdonare, per non crescere debole. Lo
capisco.
- Una delle tre però ora la vorrei qui:
vicino a me.
- Ora, almeno una... delle tre.
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- E tu ragazza che fai laggiù? Ferma sulla
porta della stanza... Avvicinati. Dammi il tempo di
un'occhiata.
- L'ultima per vederti il taglio della
bocca.
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