Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Dario Fani
 
Con questo racconto ha vinto il quinto premio del concorso Città di Melegnano 2000, sezione nerrativa
Per leggere il racconto vincitore del quinto premio del concorso Angela Starace 2000, sezione nerrativa
 
Particolari.
 
"Amo l'autunno, triste stagione che si
addice ai ricordi. Quando gli alberi non
hanno più foglie, quando il cielo serba
ancora al crepuscolo il colore rosso che
indora l'erba appassita, è dolce guardare
spegnersi ciò che prima brillava in noi."
G. Flaubert - "Novembre"
 
Lontano avverto il mare. Ho gli occhi socchiusi, deboli. Due piccole sonde rimaste spesso aperte di fronte alle meraviglie. Nel letto ad ogni movimento sento la sabbia, sottile e fina, che mi prude la schiena. In verità non c'è, ma è come ci fosse. Ho sentito dire da qualcuno che peso centoventi chili. Gonfio come una botte ha detto qualcun altro. "I reni, i reni..." mormorato, non so da chi. Forse a momenti piango, perché mi sento il viso umido, ma senza volerlo. Mi ricordo del mio compare, che ha sperato ad una serpe nell'ultima battuta di caccia e d'una suora, che m'è stata vicino tutta la notte il primo giorno di ricovero. Eppure il dolore più grande me lo danno i denti. Averne pochi, ma così crudeli. Noi ci affanniamo tutti a fare una strada, ma è il caso che fa il resto. Se guardo dietro non c'è rimasto molto, mi sembra che tutto sia passato davanti. Ho sempre avuto un cuore forte. Un cuore che ne ha passate tante, ma puntuale non ha perso un battito: questo cuore mi tiene in vita ora, nient'altro. La sua volontà. Vorrei vedere il cielo e qualche uccello volarci dolcemente. Qui arriva solo l'urlo delle sirene; oppure il mormorio della gente: niente d'accattivante. Vorrei vivere, gridare; oppure trovare il modo di nascondermi. Vorrei anche sentire l'aroma del caffè, o il sapore della cioccolata sciogliersi in bocca. Il mio cuore è forte e non si cura di nulla, non si domanda se è meglio o peggio, fa il suo mestiere: batte. Segue la vita e la vita raramente s'interessa dei particolari. Semplifica. Io d'importante ho visto poco e fatto... quasi niente. Ricordo anche mia madre che strilla: "Quando la smetterai di fare il pagliaccio?!". Anche il mio insegnante era severo e mi sgridava spesso, e spesso io trasgredivo. Che cosa diventa l'inchiostro quando l'acqua lo scioglie? Quella saggezza che era racchiusa nelle parole: dove finisce? Erano queste le domande che mi facevo da bambino e sono quelle cui da adulto non ho ancora dato risposta. Cose sciocche, particolari cui io però tenevo. Il riposo si nutre ora sempre di brutti sogni, come un delirio. Credo siano guasti anche i polmoni. è giusto che sia così: né io né mio padre abbiamo mai avuto rispetto per ciò che è molle. è stato il suo primo insegnamento, forse l'unico. Questo a volte mi ha reso maleducato, ma mi ha permesso di restare distante a ciò che era di poco conto. L'effimero non l'ho mai digerito. Sento il mare lontano, come avessi una conchiglia adagiata all'orecchio. E qualche verità l'ho anche strappata alla vita. Si dovrebbe far giocare di più i bambini, si dovrebbe. Questo l'ho capito. Io ho tre figlie. E ho giocato poco, troppo poco con loro.
A volte ho un tremolio fitto fitto lungo la schiena, sale fino al cervello, forse cerca giustizia, o una nuova verità. Strano il mio destino, non ho mai avuto grande coraggio, ma non ho mai permesso alla paura di frenare i miei slanci, e già qualcosa, ho ammucchiato tante piccole imprese quotidiane. Ho portato avanti tante piccole cose, cui un uomo normale a volte può provare spavento. Si può arrivare a scalare una vetta, senza coraggio, lasciando semplicemente da parte le paure.
Dopo il pranzo qualcuno si prende cura di pulirmi le labbra, non so dire chi è. Dalla dolcezza del tocco sembra mia moglie, gli sorrido e lo spero. Lei è una persona amabile, dopo tutto sarebbe capace di fare anche questo. Io non distinguo più la gente, ma vedo: ancora qualcosa vedo. Stanchi, non mi ricordo più se brutti o belli, ma i miei occhi chiusi vedono ancora. Non so come spiegarlo, non trovano più la strada dove stavo correndo, neppure la sedia usata per risposare. Ma vedono ancora. Questo mi da fiducia. Il cuore e i miei occhi.
Solo nel letto con la sabbia e il mare: aspetto. Nutro ancora una speranza. Spero che una delle mie figlie possa arrivare e mi riesca di riconoscerla. Spero che i miei occhi stanchi e chiusi sappiano indicarmela. Solo ombre distinguo, io che ho sempre amato i particolari.
Se riuscissi a scoprire una delle mie tre figlie sarei certo che la donna che mi pulisce la bocca dopo il pasto è mia moglie, allora forse mi riuscirebbe d'accettare anche la morte.
 
Una delle mie tre figlie... quanto poco ho giocato con loro. Si pensa sempre a tracciare una strada, la propria, e si rimandano le spiegazioni, poi il caso scombina le cose e ci ruba il tempo e le spiegazioni non vengono mai. Le mie tre figlie hanno lo stesso disegno del viso, lo stampo della madre e lo stesso taglio della bocca: le mie stesse labbra. Tutte e tre. Io che amo i particolari l'ho notato fin dal principio. Non distinguo che ombre, ma saprei vederlo quel taglio di labbra su un viso. Quello non mi sfuggirebbe mai. Se una delle mie tre figlie venisse, se una, una sola delle tre venisse... ho viaggiato troppo tempo e giocato troppo poco con loro. Questa è la verità. Una moglie può perdonarmi tutto, ma una figlia no: lei ha il dovere di non perdonare, per non crescere debole. Lo capisco.
Una delle tre però ora la vorrei qui: vicino a me.
Ora, almeno una... delle tre.
 
E tu ragazza che fai laggiù? Ferma sulla porta della stanza... Avvicinati. Dammi il tempo di un'occhiata.
L'ultima per vederti il taglio della bocca.
 

 

Classifica Concorso Città di Melegnano 2000 sez. narrativa
 
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inserito il 13 dicembre 2000