-
- Un rumore tra due
silenzi
-
- Dalla finestra un riflesso di sole
inondò la sua stanza di un calore inusitato.
Alzandosi per socchiudere le imposte, vide quella
figura di donna che si accingeva ad arrampicarsi per
quella montagna.
- La guardò attentamente soffermandosi su
quella lunga chioma nera che il vento scompigliava,
formando figure strane nell'aria.
- Nayr prese il cappello, mise il gioco nello
zaino e scese le scale. Conosceva una scorciatoia per
arrivare su in cima.
- La montagna sembrava molto meno alta di come
lei la ricordava.
- Aveva appena terminato di fumare, il presente
era sfuggente e continuava ad osservare con
avidità spropositata quel mare.
- Con la sua fluidità indietreggiavano i
suoi ricordi, e prestava ascolto a quelle sensazioni
forti passate, a quel distacco dolce amaro, a quella
perdita che aveva subito.
- L'immagine immediata che le si affacciava alla
mente in quel pomeriggio d'estate, era il rivedersi in
quel paese di verghiana memoria, con quella cappa
oppressiva di caldo.
- Libera e con quel silenzio che la cullava, si
rivedeva la prima volta al mare.
- Sentiva in bocca il suo sapore, e come
avvinghiata ad un ramo secco, si ritrovava a
metà strada tra il cielo ed il mare.
- Quel caldo, penetrante nei più oscuri
meandri della coscienza, bloccava la sua
volontà, facendo calare un velo grigio davanti
agli occhi, e sembrava tutto ammantato da una spessa
coltre di nebbia, senza più calore né
entusiasmo. Era lì in cima a quella montagna,
ma guardava estasiata l'infrangersi delle onde.
Avrebbe voluto interrogarlo, navigarlo, viverlo quel
mare, ma non poteva.
- Aveva ucciso quel mare anche la sua speranza, i
suoi desideri, i sogni, quelle reminiscenze
così poco durevoli.
- Non riusciva a pensare a niente di più
grande. Impossibilitata dal farlo, cercava nei miti
sotterranei della memoria qualcosa.
- Da quella montagna lo vedeva agitarsi,
inebriata dal tumulto delle onde, affascinata dal
furore, sentiva ombre deambulanti alle sue spalle, ma
non voleva voltarsi indietro.
- Dimenticare.
- "Si può vivere la vita solo guardando
indietro, ma si deve vivere guardando
avanti".
- Parole queste dei frammentari discorsi che le
faceva suo padre.
- Per dimenticare si è comunque costretti
a ricordare.
- Ma Dido voleva solo guardare il mare.
- "Ehi, ma non mi senti, mi vuoi
rispondere?".
- Vide quel bambino piccolo dagli occhi azzurri
che la tirava per un braccio.
- Corrugò la fronte in tono di disappunto
e chiese con lieve tono provocatore:
- "Che cosa vuoi, non ho sentito".
- "...allora, me lo dici da dove inizia il
mare?".
- "Dove cosa?".
- "Sì, dove inizia il mare, lo sai, o non
lo sai?".
- Lo osservò lungamente prima di
rispondere, gli occhietti erano vispi e brillavano di
curiosità infantile, i capelli erano corti e
chiari, ed aveva una specie non definita di gioco tra
le mani.
- "Il mare inizia da... cioè, il mare
è... ma quale mare dici, questo che si vede da
qui...?".
- "Va bene, non lo sai neanche tu". E nel
rispondere con quel tono indispettito offrì al
suo sguardo un paio di bermuda blu che si
allontanavano con l'indifferenza
dell'infanzia.
- Da dove iniziava il mare, era una domanda che
non si era mai posta.
- Iniziò a rifletterci su, e la vita da
dove iniziava?
- Si nasce soli ed in silenzio, nell'amniotico
silenzio di un ventre materno.
- Si muore soli e in silenzio.
- La vita?
- Solo rumore.
- E come un caldo abbraccio muto come il vento,
nudo come una mano, il tempo passato
s'intrufolò... come una marginale appendice
della sua esistenza.
- La sua intimità era stata
profanata.
- Qualcuno l'aveva attirata a sé,
strappato la camicetta con i bottoni rossi, sollevata
la gonna. Si vedevano i calzettoni bianchi che
facevano da contrasto alle scarpe lucide tutte uguali.
Era contenta di indossare quelle scarpe, le piacevano
quelle scarpe.
- Qualcuno poi l'aveva bendata, usata e gettata
via.
- Un odore forte, penetrante, un alito
disgustoso, la pelle che si contrae, una smorfia sul
viso, una lacerazione ed un graffio sulla pelle, le
mutandine strappate.
- "Cosa sta succedendo, ma sta succedendo
qualcosa".
- Percepisce un sapore, un sapore di ferro in
bocca, sente qualcosa lacerarsi sempre più
profondamente, non riesce a fermarlo, il ritmo
è sempre più incalzante, ha dolore,
è bloccata, lo stomaco le duole, il cuore le
batte.
- Anche il cuore di quello batte forte, se ne
accorge.
- "Ma quando termina e perché?".
- Un gemito, un ansimare, un borbottio come
quando mamma frulla le banane la domenica
mattina.
- Poi molla.
- Non sente più niente addosso, dentro,
intorno. Si scopre gli occhi, vede del sangue sui
calzettoni bianchi, le mutandine sono lì a
terra strappate.
- "Chissà cosa dirà
mamma".
- Si tocca, il gesto è naturale e
spontaneo, non dovrebbe farlo, ma lo fa, è
calda e umida, e batte, batte forte come il
cuore.
- "Strano che batte anche lì, ma allora il
cuore può battere in più parti del
corpo?".
- Guarda dietro di sé, c'è sempre e
solo il mare. Testimone suo malgrado.
- Ma lei non lo sa, non può saperlo
ancora.
- Lo guarda e sorride, sorride sempre più
forte, cammina ora, cammina sempre più veloce,
deve attraversare tutta la scarpata per arrivare
vicino al mare.
- Ha tolto le scarpe, sente l'umidità
della brina sotto i piedi, sente i cespugli
rumoreggiare al suo incespicare mentre corre, l'aria
sente ha preso la consistenza della terra, le gambe
corrono, incessantemente cercano radici, senza
più appoggio, sembrano sospese.
- Ha rimesso la gonna ed abbottonato la camicia
con i bottoni rossi.
- "Devo lavare i calzettoni, così la mamma
non se ne accorge".
- Le mutandine, quelle le ha messe in cartella, a
casa ne prenderà un'altra. "Mamma non se ne
accorgerà".
- Toglie i calzettoni, si sporge. "Così
sporcherò tutta la camicetta".
- Se la toglie.
- Sente l'umidità penetrante dell'acqua a
contatto con il suo ventre. Deve fare in
fretta.
- "Si toglie subito, non si sono sporcati tanto,
quello di destra di più però, c'è
il sole, aspetto che si asciughino un po'".
- Il cuore batte ancora forte, si tocca di
nuovo.
- Vuole sentire se anche lei batte ancora,
sì, come la deve chiamare?
- La maestra le aveva spiegato qualcosa, ma non
aveva capito molto, non le piacevano le scienze,
preferiva la geografia. Le piaceva quando la maestra
le raccontava dei posti lontani, dove c'è
sempre il sole, e dove i bambini non portano neanche
le scarpe, poverini, devono essere molto
poveri.
- "Devo fare molti compiti a casa. Chissà
se quello che mi ha strappato le mutandine fa anche i
lui i compiti, era grande, sembrava papà, e se
glielo dico a mio padre? No, poi mi chiede, e poi,
papà non mi sta mai ad ascoltare, dice che sono
piccola, però con me sulle ginocchia Star Trek
lo vede sempre, anzi, oggi si dovrebbe sapere se
riesce a salvarlo quel bambino, io penso proprio di
sì".
- E camminando, sentiva il lamento del mare
silenzioso, sormontava spazi, vinceva sul tempo, e
l'accompagnava come un fedele cane.
- "Chissà se al centro del mare c'è
il cuore, ma com'è il cuore del mare, è
uguale al nostro? No, deve essere molto più
grande, e pensa il mare? A cosa pensa il
mare?".
- Può fare tante altre cose aveva detto la
maestra.
- Per lei il mare era nato quando lo aveva visto
la prima volta, quando con suo padre si era accorto di
lui, non prima.
- "Sì lo so mamma, c'è il cane da
portare fuori, la spazzatura da gettare, il latte da
comprare, vado subito".
- Il silenzio dei sassi aveva letto tornando a
casa.
- "Che stupidi quelli che scrivono questo,
è normale no? I sassi sono cose, non possono
parlare, e neanche stare zitti", glielo aveva detto la
maestra, e lei l'aveva imparato bene.
- "Sì mamma, arrivo subito, mamma, per il
mio compleanno, posso far venire anche Carlotta?
Mamma, ma Luca di quanti anni è più
grande di me, nove vero? Ed io quanti ne compio,
dodici vero? E papà, verrà alla mia
festa, l'hai chiamato? Ma come, è al mare?
Uffà, è sempre al mare lui.
Sììì... vengo ti ho detto
...mamma, ma il mare ce l'ha un cuore?
- Il ricordo nitido della sua voce che poneva la
domanda le fece battere forte il cuore, sentì
una sensazione profonda salire piano.
- Era dell'umidità negli occhi, erano
labbra chiuse e denti stretti, erano mascelle serrate
e mani deboli, erano fiato sospeso e respiro
intermittente.
- Erano lacrime. Incuranti scendevano dai suoi
pensieri.
- Il bambino non c'era più.
- Voleva invadere quel silenzio rumoroso che
sentiva nella sua testa affollata di ricordi.
- Quel dolore che aveva gelosamente custodito in
tutti quegli anni era selvaggiamente
riemerso.
- Era come assistere alla visione di un film di
vecchia data.
- Voleva scrivere quel soggetto, aveva più
di una volta tentato di farlo, specie quando le
prendeva quella smaniosa voglia di vomitare parole,
quando prepotentemente come un tentacolo, quella
frenesia le attorcigliava le viscere. Si accorgeva che
quel rapporto morboso con la mente non le permetteva
tregua. Aveva compreso scrivendo, che la mano
diventava non più un prolungamento del braccio,
ma diveniva una forza ossessiva di non riposo, e
scriveva e pensava, pensava e scriveva, parlava
continuamente sottovoce alla sua coscienza, camminava
a braccetto con quelle parole.
-
- L'orologio le indicò il tempo passato, e
lo vide attraversare come un'ombra sospetta.
- Con quegli occhi attenti della ritrovata
memoria, non riusciva a cancellare la figura di
quell'uomo, suo padre, l'incedere caratteristico di
chi porta con sé il peso della vita, il passo
malfermo, gli occhi piccoli e vicini, una
inconfondibile curvatura delle spalle.
- Suo padre.
- E rivide quei locali abbandonati da tempo, con
banconi impolverati, calcinacci che annunciavano in
maniera pressante l'incedere del degrado, un vecchio
giornale ingiallito dal tempo, poggiato su quella rete
metallica, una scatola di gelato fuori mercato con le
mosche intorno, alla ricerca di chissà
cosa.
- E rivide quel volto, quei volti tutti uguali,
l'ombra fugace dietro le sbarre, dove scorreva una
vita diversa, la vita di chi è costretto a
rintanarsi in cinque metri quadri, con mani appoggiate
alle finestre, scrutando fuori un futuro che non
esiste più da molto tempo.
- Anche sforzandosi Dido non riusciva a pensare
ad altro se non a questo personaggio senza
identità, suo padre, un padre troppo assente
per essere considerato tale, ma troppo ingombrante per
la sua ricercata lontananza.
- Un padre che la accompagnava al parco, che
giocava con lei con l'entusiasmo di spiegare le
meraviglie della natura ad un sorriso di una vita che
nasce.
- Era cambiato improvvisamente suo padre, non le
carezzava più i capelli, non le prendeva le
mani tra le sue, riscaldandole tra le gambe, non la
guardava più.
- Dido iniziò con detestare quelle
passeggiate, sembravano solo un preciso dovere da
compiere nel più breve tempo possibile, senza
particolari coinvolgimenti sentimentali, senza un
abbraccio, un bacio, o solo un sorriso appena
accennato.
- Quegli incontro se pur rari ormai non facevano
altro che aumentare e dismisura il vuoto incolmabile
che sentiva crescere dentro, e quella solitudine la
rendeva consapevole che pur essendo viva la persona
che aveva contribuito a generarla, un vero padre lei
non l'avrebbe mai avuto.
- E si pentiva in fondo di avergli regalato
più volte la possibilità di ferirla
così.
- Provava pena per se stessa, ma non riusciva a
sciogliere la rabbia, poiché inconsciamente
pensava che le lacrime fossero preziose ed andavano
riservate per qualcosa di bello, di gioioso, anche di
triste, ma non andavano sprecate per un padre che non
voleva esserci nella sua vita.
- Capitava suo malgrado che quella terribile
sensazione in fondo la stava accompagnando da sempre,
e probabilmente non se ne sarebbe più
liberata.
- Fino a quella mattina, quando sentì sua
madre piangere di là in cucina.
- C'era un frastuono cadenzato di voci, non
riusciva a distinguere bene di chi fossero, ma sentiva
che qualcosa era successo.
- Suo fratello. Pensò ad un incidente,
correva sempre in moto, e con il cuore che batteva
forte, si avvicinò sempre più alle
voci.
- Scese in fretta le scale, era in pigiama ed a
piedi scalzi, aveva messo gli occhiali con l'identico
ed abitudinario gesto che caratterizzava ogni suo
risveglio.
- No, non era una mattina come le altre, i
singhiozzi di sua madre erano nitidi ora, distingueva
anche le voci. Luca era lì con lei, parlava con
qualcuno al telefono.
- Avanzò con ampi passi nella stanza, e si
sentì pungere da qualcosa sotto i piedi, erano
i resti di una tazzina rotta di cui si accorse
appena.
- Non ebbe bisogno di molte spiegazioni, la vista
di quei volti noti, i solchi che rigavano le guance
della mamma, di Luca, erano eloquenti: era successo
qualcosa a suo padre.
- Non domandò niente, si limitò a
guardare sua madre, che non appena la vide sul ciglio
della porta, abbassò lo sguardo ed
allargò le braccia cercando un suo
abbraccio.
- Seppe all'istante ciò che era accaduto,
fu lei stessa a raccontarglielo: suo padre doveva
rientrare come d'abitudine, ma allo stesso orario che
da anni rispettava, non si era presentato. Avevano
dato immediatamente l'allarme. Una guardia costiera
l'aveva avvistato e la notizia era giunta la mattina
stessa.
- In quel mare, accanto al penitenziario si era
lasciato morire. Cercando la libertà aveva
trovato la morte.
- Suo padre gioia rancore della sua vita ora non
c'era più.
- Inerme senza sapere dove andare, cosa fare,
Dido sedette sul tavolo della cucina come quando era
bambina, aspettando che qualcuno si curasse di lei, e
si sentì figlia di suo padre
improvvisamente.
- Aveva tante volte ucciso suo padre dentro,
soprattutto quando era rimasta pietrificata da quella
terrificante scoperta. Per caso, da un discorso della
maestra con sua madre si era accorta che era lui
quell'uomo grande che... Ed era per questo che
l'avevano condannato.
- Quanti regali aveva ricevuto in quel periodo,
con quanti volti aveva parlato, quanti disegni aveva
fatto, quanti diari aveva riempito, quante bugie aveva
ascoltato.
- L'unico pensiero che le venne in mente in quel
momento era assolutamente insignificante:
"Perché sono qui e non altrove?".
- Ma ora che aveva finalmente interiorizzato il
distacco, ora che tutto sembrava definitivamente
risolto, suo padre era morto.
- Sentì dentro un attanagliante e
silenzioso dolore, ma non ebbe voglia di rompere o
urlare, guardò solo sua madre, e di colpo le
apparve sola ed indifesa, piccola, chiusa nelle sue
contraddizioni, le sembrò che la gioia ed il
suo entusiasmo fossero stati smorzati da un matrimonio
precoce, e da un marito fedele alle sue innumerevoli
psicosi.
- Dido si alzò e disse ad alta voce:
"Amare vuol dire avvertire una mancanza".
- Nessuno fece caso a quelle parole, ma quel
pensiero iniziò a martellarle il
cervello.
- Salì nella sua stanza, chiuse le
imposte, ripiombò nel buio, non avrebbe
sopportato di vedere altre persone, o di parlare con
qualcuno.
- Si sentì improvvisamente stanca, e come
una ragnatela che si ingigantiva, sentì degli
spasmi dolorosi che la fecero contorcere in due, un
atroce sapore di ferro in bocca, il respiro per un
attimo le si bloccò.
- Immobili sembravano quei momento spenti che
soliloquiavano con lei, e quel flusso le parve
onirico. Non voleva ascoltare parole, anche se aveva
detto suo padre: "Le parole sono la medicina
dell'anima che soffre".
- E quante ne avrebbe voluto sentire in certi
momenti, quando l'altra lei andava ad accoccolarsi
vicino. Dido si addormentò sognando prati verdi
e cieli azzurri, e solo l'incessante rumore di
qualcuno che martirizzava la sua porta la
ridestò da quel torpore.
- Luca l'aggredì non appena fu nella sua
stanza.
- "Ma come fai a dormire in un momento
così, mamma ha bisogno di te, potresti almeno
far finta di soffrire, se non per te stessa, almeno
per noi, certo non è stato quel padre esemplare
che avremmo voluto, ma è stato pur sempre
nostro padre".
- Così dicendo sprofondò nella
sedia ed un pianto consolatorio calmò i suoi
fragili nervi.
- Dido l'abbracciò, e comprese che la
verità non la conosceva, e quel fratello lei lo
aveva allontanato in silenzio, senza mai riuscire a
dimostrargli in pieno l'affetto che nutriva per
lui.
- Si vestì in fretta, scese in
cucina.
- C'era molta gente oltre sua madre, e forse solo
allora si rese conto di quanto quell'ingombrante
marito rappresentava per lei. Sua madre, dall'aspetto
un po' fragile, ma testarda e leale, capace di
affrontare tempeste e superarle le piaceva in fondo,
non ne avrebbe desiderata una diversa.
- "Mamma, non ti preoccupare, ci sono qua io,
supereremo insieme anche questo, non è la prima
volta che ci troviamo ad affrontare qualcosa che non
controlliamo".
- Questo le disse Dido baciandola sulla guancia,
e, per tutto il resto della giornata, resse bene la
parte di figlia affranta e triste, parlando con tutti,
abbracciando e baciando persone delle quali non
immaginava neppure l'esistenza.
- Ottemperò ai suoi doveri in maniera
eclatante, stupendosi di se stessa e di come avesse
potuto reggere quella finzione, come su di un
palcoscenico dove lei, unica interprete di quella
commedia, recitava con dei fantasmi dinanzi ad una
platea muta.
- I preparativi del funerale, così come
per una festa furono curati ed ultimati con minuzia di
particolari, e tutto fu sistemato in modo così
semplice da apparire irreale.
- La lunga ed estenuante giornata volse al
termine, e poté finalmente ritirarsi nella sua
stanza.
- La calma di inattesa familiarità la
spaventava, e quella paura che sentiva dentro, occulta
più di una qualsiasi emozione, la rendeva
adrenalinica.
- Si sentiva eccitata ed impotente, e si
domandava quando sarebbe avvenuto lo scoppio naturale
che cresceva nel suo corpo disarmato.
- Troppo estraneo quel padre del quale
ripensandoci bene, non conosceva.
- Di lui sapeva soltanto una cosa, non
perché glielo avesse mai detto, ma
perché lo sentiva: suo padre amava il mare, i
suoi colori, l'immensità, le sue insidie.
Capì che le aveva lasciato questo in
eredità, amare la vita che assomigliava
più di ogni altra cosa al mare, quella vita che
lui era stato incapace di vivere. Dido osservò
il soffitto sopra di lei, spense la luce della
lampada, posò gli occhiali sul libro aperto, e
con il brivido della morte addosso, chiuse gli
occhi.
- "Ehi, ma sei ancora qui tu, non ti ho mai vista
prima, ma non sei di qui, vero?".
- Ancora quel bambino.
- Fece uno sforzo tremendo Dido per riprendersi
da quei ricordi che la scaraventavano all'indietro, e
quella voce dal tono marcatamente meridionale le
provocò un'agitazione interna
incredibile.
- La sua bocca non riuscì ad emettere
nessun suono. Lo guardò soltanto con occhi
interrogativi e perplessi.
- Quanti anni erano passati da allora?
- Sua madre era morta pochi anni dopo, non aveva
retto a lungo il cuore.
- Suo fratello si era trasferito in America, di
lui aveva notizie sporadiche.
- Lei, dopo aver terminato gli studi
all'università, aveva trovato lavoro come
giornalista presso un quotidiano, e negli anni che
seguirono scrisse un libro di fiabe, che la portarono
a disgregarsi ancora di più dalla realtà
e a vivere in quel suo mondo fantasioso costruito
attraverso le storie che inventava. Aveva anche
spedito il manoscritto, ma non aspettava la
risposta.
- Non si era sposata, con gli uomini nessun tipo
di rapporto andava al di là della semplice
amicizia, e la sua personalità così
distaccata, diveniva motivo di invidia da parte di
molti, ma era solo la scorza di una disperata
necessità di sopravvivere.
- Poi un giorno, seguendo con lo sguardo un
insetto che camminava al suo computer, ed osservandone
i movimenti lenti, si sentì inspiegabimente
disarmata. Inseguì i fili dei suoi pensieri, si
licenziò dal giornale, prese un treno e
ritornò nella casa della sua infanzia, in quel
paesino dove era cresciuta.
- In valigia aveva messo solo un
taccuino.
- Il buio s'era riappropriato dei colori della
notte e aveva lasciato che il vento smuovesse l'ultimo
residuo di speranza. Seduta su quella pietra
notò che la valigia era aperta. Si accorse
voltandosi che l'altra lei la stava
osservando.
- "Allora, Dido, fai presto che è
tardi".
- "Tardi per cosa?".
- "Come per cosa, per ricominciare no?".
- "Ah già devo ricominciare, sì, ma
da dove inizio?".
- "Come da dove inizi, indossami e lo scoprirai,
anzi vedi di fare in fretta perché inizia a
dare buio qui, e poi io non sono tanto abituata a
queste abitudini, dai non fare tanto la preziosa,
deciditi, tanto di me non ne puoi fare a meno, e poi
vorresti abbandonarmi dopo tutti questi
anni?".
- Guardò nuovamente verso il mare e vide
il bambino allontanarsi. Si alzò il bavero
della giacca per il vento, chiuse la valigia e riprese
a camminare. Ogni tanto si voltava indietro, ma non si
fermò più.
- Si diresse verso casa, tutto era al solito
posto così come lo ricordava. La stanza era
scura e fuligginosa, c'era tanfo maleodorante di
chiuso.
- Bagliori di luce ed ombra sembravano
scoppiettare nel camino spento.
- Attendeva qualcuno quella stanza, i ricordi
erano appoggiati alla parete, la guardavano come se
stentassero a riconoscerla.
- Posò la valigia sul tavolo, si diresse
verso la mensola, c'era una foto di lei bambina, una
foto di Luca, di mamma con la nonna, no quelle di
papà non c'erano.
- La porta della sua stanza era aperta, riconobbe
il letto, la finestra, il carillon, i vecchi dischi,
non c'era luce, accese una candela, la stanza
s'illuminò fiocamente.
- Entrò in cucina, la maschera era
lì in piedi, ritta e composta, spiava i suoi
movimenti.
- Non si parlarono.
- Provò ad aprire il fornello, era duro,
ci riprovò...
- ...phumm... un fischio,
- "chissà se funziona".
- Chiuse ed aprì.
- "Sì funziona".
- Aprì.
- Si diresse nelle altre stanze, le finestre
erano tutte chiuse.
- "Bene".
- Ritornò nella sua stanza, la valigia,
aveva dimenticato la valigia sul tavolo, si
affrettò a riprenderla, la pose ai piedi del
letto.
- Calò il sipario, era pronta.
- "Soltanto silenzio, fruscio stanco di foglie
secche, orizzonti bianchi e rosa, verdi calme onde,
uggiose solitudini di deserti viola".
-
- Si tolse le scarpe, poi la gonna, poi le calze,
poi le mutandine, poi la giacca, poi la camicia, poi
il reggiseno, poi gli orecchini. Restò la
pelle.
- Si sdraiò, il materasso s'incurvò
al suo peso, guardò il soffitto, notò
una crepa.
- La maschera entrò piano, ma lei la
sentì e si voltò.
- "Che cosa c'è di più bello del
silenzio?".
- "Il rumore" rispose lei.
- "Che cosa lo rende così unico?"
domandò.
- "La sua assenza".
- C'era il mare a guardarla.
- C'era una barca, e vide i capelli di suo padre
nel vento, brizzolati, perfetti.
- Si fermò l'immagine, sembrava un
quadro.
- Nella sua fissità tra stupore e terrore,
là dove si confonde il mistero, l'ingresso
trionfale del silenzio arrivò, non aveva suono,
non aveva voce, non aveva...
- Si guardarono e lei sorrise;
- Era libera dal rumore ora.
- "E come la lumaca bruciata dal fuoco pareva
ridere, in realtà moriva... lentamente, sempre
più lentamente...".
-
- Una lettera per Dido arrivò alla sede
del giornale il giorno dopo.
- Nessuno l'aprì, e venne riposta nelle
pagine di un libro che aveva lasciato in
ufficio.
- Passarono molti anni.
- Un uomo, che lavorava lì come fotografo
casualmente si servì di quel libro per
l'allestimento di una mostra sul mare.
- Vi trovò una busta, era datata 10 luglio
1976, il nome del destinatario non gli ricordava
niente. L'aprì e prese a leggerla.
-
- Gentile autore,
- è con immenso piacere che le comunico
l'interesse da parte della Nostra Casa Editrice per la
sua opera.
- Saremmo lieti di ospitarla per avere il piacere
di conoscerla.
- Raramente abbiamo avuto modo di leggere
racconti che unissero fantasia ed emotività, il
tutto in perfetta sincronia di tempi, di modi, e di
generi, riuscendo a utilizzare la lingua in modo
così originale ed autentico.
- Le inviamo quest'assegno per dimostrarle la
nostra serietà.
- Confidando in una sua accettazione le porgiamo
i nostri più distinti saluti.
-
- Piero Raiani
-
- Guardò l'assegno contenuto nella busta,
cinquantamila lire.
- Sorrise nel pensare che era stato spedito
ventidue anni prima quell'assegno.
- Accartocciò la lettera facendo canestro
nel cestino.
- Rimise il libro a posto e nell'andare via si
stupì dell'inaspettata immagine che la sua
mente rielaborò, si ritrovò bambino
mentre attonito osservava il mare dalla finestra della
sua stanza.
- "Chissà" pensò "quali strani
meccanismi si instaurano in determinate situazioni e
perché?".
- Si voltò di scatto rileggendo il titolo
del libro: Lontana dal mare.
- "Un giorno poi lo leggerò questo libro,
un giorno...".
- Non rammentò Nayr di essere stato lui
l'ultima persona a vedere Dido ancora viva.
- Spense la luce, alzò il bavero della
giacca ed uscì richiudendo la porta dietro di
sé.
-
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