Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Chiara Prete

Con questo racconto ha vinto il nono premio del concorso Club Poeti 2001, sezione narrativa

Il ponte non basta
 
Capitolo 1
 
A volte due persone si guardano un momento, e capiscono di essere una cosa sola. A volte passa il tempo, le stagioni ti travolgono con le loro piogge e le loro zanzare e due persone si guardano e capiscono con sgomento di essere lontane. E allora si abbracciano e si riempiono di promesse e garanzie, ma poi si riguardano e vedono un torrente che si frappone fra loro, è inutile costruire ponti, lui è sempre lì e non c'è il calore che servirebbe per prosciugarlo anzi, se fai finta di non vederlo lui inizia a gelarsi. Bisognerebbe avere il coraggio di gettarsi a raggiungere l'altra persona ed è lì che c'è il rischio di farsi male, troppo male, forse è meglio fare finta che il ponte basti... Guardarsi negli occhi e gettarsi insieme, nuotare forte, trattenendo l'aria fra le onde, questo si dovrebbe fare, senza paure.
Era un giorno di quelli che il ponte non lo vuoi vedere e, Sabina aveva passato tutto il giorno in pigiama, senza voglia di studiare né di pensare e mangiava le ore leggendo 'Seta' di Baricco. A volte pensi, leggendo un libro, di aver colto il senso della vita ma, quando stai per sistemare i pensieri per poter spiegare a qualcuno questo segreto, ecco che quell'idea svanisce; è la dolce sofferenza di ogni uomo, quella di inseguire da vicino il perché di tutto, senza mai afferrarlo e, la condanna è quella di dover correre sempre con l'illusione di afferrarlo; nessuno si ferma sconfitto, fino alla fine. Certo quando due esseri qualsiasi si sentono una cosa sola, allora, in effetti, non ti interessano nemmeno più di tanto i perché e i per come, ma vivi con la serenità rara di chi sente di trovarsi al suo posto. Era questo che aveva provato Sabina con Max, sì, solo questo, guardarsi i piedi e constatare: "Sì, è qui che voglio stare". E niente le faceva paura, andava a fare gli esami con l'odore di lui nella testa, canterellando, giù per via Mezzocannone,, con l'unico fastidio di essersi dovuta alzare dal letto dove dormiva ancora lui. E viveva da sola, nel cuore di Napoli, non conosceva molte persone ma, chi la conosceva sapeva che lei era felice, perché aveva gli occhi brillanti e le mani tranquille, un corpo che si muoveva morbido, ostentando il suo appagamento. Aveva provato anche a fare teatro e aveva imparato a gettare sul palco tutta la sua energia, energia che gli donava lui, con le sue mani di velluto. Le avevano dato la parte di prima attrice, sì, lei era felice, e quando era scesa dal palco, lui l'aveva abbracciata e lei sì, era felice. Insieme, certo avevano anche provato dei dolori, ma che cos'è un dolore quando sei fra le braccia della persona che ti ama e ti stringe e ti dice: "Stai tranquilla, ci sono io...". Nella sua stanza, a casa dei suoi a Salerno, una valigia semivuota sul pavimento, due abiti da sera appesi e, sul divano rosa chiedersi perché succede, cos'è che porta alla rottura, com'è possibile che due persona che si appartengono, si lascino separare dal resto. Max voleva una coppia ermetica, ma lei non aveva mai perso il vizio di fare entrare parole e sguardi altrui fra di loro; del resto, aprire la bocca le aveva causato solo guai, questo da sempre, allora lei pensa: "La colpa è mia!". Però è anche vero che lui non accettava certi lati del suo carattere, perché lei era sbarazzina, finta ingenua, idealista e fiera, debole ed indipendente, caotica e complicata e, forse lui voleva una ragazza semplice, senza grilli per la testa... però lui aveva scelto Sabina, allora la colpa era la sua? No, non era neanche la sua.
Quando ritorni alla tua solitudine te ne accorgi, in qualche modo lo sai. Sabina se ne accorgeva perché, sebbene stessero ancora insieme, lei e Max, era da tempo, ormai da molti giorni, che la mattina non provava nel dormiveglia quel caldo abbraccio che prima l'accompagnava al risveglio, ma sentiva il freddo e l'amaro in bocca del fastidio, quello del non voler trovarsi in quel posto, ma neanche sapere dove altro mai.
Chissà se per lui era lo stesso, lui l'amava e Sabina, sul suo divano rosa lo sapeva, era un amore grande, protettivo e paterno, il solo modo in cui lui sapeva amare. Allora prende il telefono e chiama, le dita fanno il numero di lui, in modo meccanico e un po' svogliato, sì, lei ancora crede che sentirlo possa farle bene, ed immagina, nei pochi istanti che ci sono, una voce squillante, che non aspetta altro e... "hhh... pronto?". "Ah, scusa Max, stavi dormendo?". "Sì, anche se ti avevo sentito così giù...". "Eh, appunto, avevo avuto l'impressione di stare meglio, e così avevo pensato di chiamarti, cioè per dirtelo, forse ti fa piacere...". "Amore, così dormirò meglio, un bacio". "Un bacio, sì, ciao Max". Click. Lei, ancora il telefono in mano, si sentì investita da un malessere dal sapore di tabacco che le intorpidiva le membra, provò un lieve e continuo dolore alle tempie, trovò la forza di appoggiare il telefono sul divano... lontananza, solitudine... fastidio.
 
***
Capitolo 2
 
Il problema è che erano diversi. Frase banale, in fondo tutti sono diversi gli uni dagli altri. No, il problema è che loro erano più diversi rispetto a tutti gli altri che sono diversi gli uni dagli altri. Lei era cresciuta in una famiglia perbenista della medio-alta società, di quelle con non molti soldi ma con molti titoli. Il nonno Filippo, una persona speciale: era laureato in ingegneria, la moglie in lettere classiche, e questo durante la Seconda Guerra Mondiale, in cui il nonno Filippo era stato ufficiale di marina e aveva passato non so quanti mesi in un sommergibile immerso nell'Atlantico. La famiglia di Sabina vantava un cognome altosonante, diciamo nobile, e nobili e signorili erano i modi di fare e di pensare dei suoi componenti; il padre di Sabina era laureato in legge, dopo aver avuto una giovinezza sfiorata dal '68, visto più come pretesto per portare i capelli lunghi e suonare 'Satisfaction' alla chitarra, che era come una vera rivoluzione sociale. La madre era una rispettabile insegnate di italiano e latino, aperta e gioviale, ma che l'aveva nutrita di pane, cultura e paura del giudizio della gente. Sì, Sabina non si era mai sentita libera, anche se cresciuta in grande libertà. Non è facile spiegarlo, bisognerebbe chiederlo a lei, comunque era come se lei, fin da bambina, una bambina sensibile, acuta e messa alla prova da vari eventi oscuri, sentisse sul collo il peso del dover essere in un certo modo, ma il tutto era sottinteso, celato dietro un'educazione liberale e post-sessantottina. Così eccola, alle scuole elementari con il grembiule più bello, a studiare a sei anni fino alle 8 di sera, e ad essere la migliore alunna della scuola; ed eccola, la domenica, in piedi sulla sedia a casa dei nonni, a recitare le poesie meglio degli altri cugini; eccola, a danza classica, a piroettare imparando la grazia... e così via... fino all'esame di maturità, superato con il massimo dei voti. Ma Sabina non era una secchiona, anzi, era vivace e ribella, e bella. Aveva scelto, forse per valvola di sfogo, come amica la bambina più ribelle di tutte e con lei aveva spesso combinato disastri. Sessualmente disinibita, per più di un motivo, aveva avuto ben presto approcci vari e quasi come un peso Sabina viveva la sua verginità, dalla quale finalmente si liberò sul letto di Sergio a diciassette anni, fin troppi rispetto alla media. Il sesso? Forse perché nessuno l'aveva capita, né scoperta, beh, quello non era un granché, però lei lo faceva lo stesso, e non era masochismo, era forse ricerca di qualcosa che non trovava. I suoi rapporti sociali erano buoni, aveva tanti amici e, soprattutto delle vere amiche, sì, malgrado il suo sudore negli studi, peraltro cosa che faceva lei spontaneamente, la sua vita era abbastanza piena, il suo carattere era così: forte senso della responsabilità, un goccio di follia, una buona dose di ottimismo, tanta sincerità, quasi eccessiva e, purtroppo, qualche problema di ansia.
E Max? Lui i nonni non li conosceva, i genitori erano originari dei Quartieri Spagnoli: ottime persone ma, pressoché legate ad una mentalità pratica ed anti-intellettuale. Lui, cresciuto per strada, presto aveva capito che cos'era un pugno ed un filone a scuola. Era di quelli che 'sono intelligenti ma non si applicano', di quelli che al pallone sono i più forti e che sanno risolvere ogni sorta di problema con calma e razionalità. Max era un ragazzo buono, dalle idee precise, senza incertezze né dubbi, non amava leggere né scendere a compromessi; odiava i falsi sorrisi e le ambiguità. Per certi versi rigido, ma più profondo degli altri, sicuramente dotato di un settimo senso nel percepire la realtà, di una spiccata sensibilità nel capire gli altri, nel bene e nel male; altra sua caratteristica, senso irresistibile dell'umorismo. Molte le ragazze che gli erano sempre ronzate intorno, e lui, con il telefono che bolliva, aveva fatto un po' di esperienza di qua e di là. a scuola, rappresentante di istituto, aveva sicuramente una personalità che non lasciava indifferenti. Un'estate se ne andò a lavorare a Londra, così, dormendo sotto i ponti, con la sua chitarra. Lui aveva una scala di valori in cui le esperienze dell'oggi valevano più di un eventuale futuro. Lei, Sabina, era una formichina che sacrificava il suo oggi per mangiare poi.
Entrambi coraggiosi, entrambi esuberanti, la loro storia era un tira e molla fra i loro due modi di essere, in cui l'uno cercava di adattarsi all'altro, per poi ritornare più fortemente di prima sulle proprie posizioni.
Sabina era convinta che per Max ci volesse una ragazza 'inesperta' in amore, mansueta e che si fidasse di lui ciecamente, intelligente, ma non troppo...
Del resto, il suo uomo ideale era forse un ambizioso professionista, medico o notaio o commercialista, che poteva competere con lei sul piano dell'impegno profuso nello studio e nel formarsi un futuro. Ed invece? Sabina e Max. Due mondi che si scontrano con forza e si ammaccano, si piegano, rotolano e si accendono.
Da quando lui aveva infilato le sue mani sotto la maglietta di lei, accarezzandole la pancia e poi il seno e la schiena, lei aveva capito che quella non sarebbe stata una storia qualsiasi.
Lui, invece, si era innamorato al solo vederla, l'aveva amata ogni giorno di più e gliela aveva dimostrato in tutti i linguaggi. Il suo scopo era quello di farla stare bene, farla ridere, farla godere, farla sentire la più bella, la migliore di tutte le creature. Lui si prendeva cura di lei come di una bambina, la coccolava come una gatta, le pettinava i capelli come ad una bambola, la guardava come una star... e la desiderava ogni attimo.
E lei, lei si era innamorata a fuoco lento, aveva assaporato la passione fisica per la prima volta, la pace interiore per la primissima volta.
Ma, dopo due anni di risate, giri di notte, vacanze con gli amici, sere a lume di candela, litigi rari e furibondi, riavvicinamenti imprevedibili, ecco che la diversità irrompeva nel loro rapporto come un lampo di luce che squarcia a metà l'omogeneità di un cielo tutto nero.
Alcuni dicevano: "Io non ho mai visto una coppia più affiatata di voi due"; molti altri, con tonofermo ed occhi sicuri dicevano: "Io non credo nella vostra storia, siete troppo diversi".
Quella sera lei aveva fatto una paranoia a Max perché di nuovo aveva tralasciato lo studio per tutt'altro; lei era stata dura e accidiosa, lui scocciato e risentito, ma ora, superato il rancore pseudo-motivato, lei aspettava ancora sveglia una sua telefonata. L'attesa cresceva e quella sera la radio mandava in onda canzoni in cui lei non si riconosceva. Mille dubbi nella testa, la paura di aver preso un abbaglio, il brutto presentimento che la gente aveva ragione; fra loro non avrebbe potuto funzionare, la voglia di buttare tutto all'aria e la voglia contraria di ricostruire, sperare e credere. Perché non capiva che sarebbe bastato amarlo! Non che non lo amasse, ma io dico amarlo veramente, pensare a lui per lui, pensare a loro come un unione, non staccarsi e allontanarsi appena qualcosa non andava secondo i progetti.
In questo, Sabina era tutta sbagliata, egoista e perfezionista, esigente nella sua fragilità di alcuni momenti, ora guardava il telefono muto, temendo che questa volta lui si fosse incazzato sul serio.
"E se gli faccio uno squillo?", pensava, ma da sola si rispondeva: "Se non mi chiama è perché non ha voglia di parlare con me, nei casi come questo è meglio desistere". La radio mise su De Andrè 'La guerra di Piero' e Sabina pensò: "Grazie!".
***
 
Capitolo 3
 
Finalmente il nonno fu pronto a ricevere Sabina. Erano quattro giorni che lei sentiva il bisogno di vederlo, ma lui, a causa della chemio, stava troppo male per farsi vedere da lei, lei che era sensibile, lei che gli voleva troppo bene.
L'ascensore, vecchio e robusto, saliva lentamente e per tutto il tragitto Sabina aveva pensato: "Lo troverò a letto o in poltrona, o in piedi ad aprirmi?". Si era fermata a comprare un mazzo di fiori gialli, per dare un po' di allegria alla situazione, chiuse le porte dell'ascensore e percorse l'avito corridoio e... "Ciao, nonna". La nonna restò commossa dall'idea dei fiori, l'abbraccio con un grande affetto, ma non tanto grande da non farle notare che l'ipotesi più confortante era sfumata: il nonno non era andato ad aprire la porta.
Eccolo, sulla sua poltrona, con indosso una vestaglia di classe ormai consumata, pulito, pantofole bordeaux, capelli ancor più radi, volto scavato, occhi tristi che si illuminano nel vederla e si bagnano nell'abbracciarla. Che dirsi? Loro sapevano che quella era forse una delle ultime volte che si vedevano; entrambi disinvolti e garbati, in realtà stavano pensando alla stessa cosa: "Come stai?". E come nelle situazioni più paradossali fu lui, ottantacinque anni, tumore allo stadio più avanzato, a fare prima, a rivolgerle la domanda. "Bene nonno, tu piuttosto, ti trovo benone, sei sempre bellissimo...". "No, nipotina, non mi inganni, che c'è? So che qualcosa ti turba, lo vedo che c'è un velo di preoccupazione nei tuoi occhi; avanti, come va con Max?". Lei avrebbe voluto rassicurarlo, ma in realtà aveva bisogno di parlarne con lui, aveva bisogno di sentire che almeno lui benediva e approvava la loro unione, ora aveva bisogno di lui. "Nonno, il fatto è che siamo diversi, tanto diversi, questo a volte ci allontana. Non è un problema, non voglio parlare di me. Dai nonno, dim...". Lui la interruppe, la guardò come chi ormai vedeva tutto dall'esterno, tutto piccolo, tutto passato. Non minimizzò il problema di Sabina; Sabina non era una stupida che, in un momento del genere veniva ad esporre questioni futili, era troppo sensibile, aveva paura di deludere la sua famiglia, aveva paura di aprirsi alla vita. Lei meritava una risposta sincera ma tranquillizzante e lui, così le disse: "Tesoro, non crearti dei patemi d'animo, sei così giovane. Non prendere decisioni affrettate, segui l'istinto. Ricorda che sei libera di fare quello che vuoi sempre, specie in amore. Certo la diversità è un arma a doppio taglio: potreste scannarvi e dirvi addio, oppure diventare complementari in maniera perfetta".
'Complementari in maniera perfetta', questa immagine non usciva più dalla mente di Sabina, era quello che voleva raggiungere, era quel discorso di libertà che voleva sentire, era mano macchiata e stanca che voleva stringere. Come avrebbe fatto senza il suo nonno Filippo? Se ne sarebbe data una spiegazione razionale, certo, prima o poi avrebbe capito e reagito, e... prima di andar via, la nonna le sussurrò all'orecchio: "Fai una preghiera allo Spirito Santo, è lui che ispira tutto. È il supervisore del mondo, chiedi ciò che ti serve a lui, che aiuta sempre". "No, non era la stessa cosa", pensava Sabina, quasi ridendo di quel buffo consiglio, nessuno sapeva aiutarla, nessuno, tranne lui.
***
 
Capitolo 4
 
Era novembre e, neanche si erano accorti, Sabina e Max, che le giornate erano brevi ormai come i loro attimi sereni.
Max era intento alla sua gamba, danneggiata al menisco e al legamento incrociato a causa di un fallo di un altro giocatore; era più forte di lui, metteva tutto il suo cuore in quello che gli piaceva, una inutile partita di pallone, o un amplesso, o un Battisti alla chitarra.
Sabina d'altra parte, era riuscita ad entrare nella compagnia stabile del suo teatro e, fra poco avrebbe iniziato a fare le prove per il nuovo spettacolo 'La pazza di Chaillot'.
Non si riuscivano più ad amare incondizionatamente e Max iniziava a sentirsi oppresso da quel rapporto, e soprattutto dai giudizi di Sabina. Lei gli rimproverava di non sapersi costruire un futuro, di non profondere impegno nelle cose serie, di essere un eterno Peter Pan, di parlare in dialetto e tante altre paranoie ancora; sapeva che non era in diritto di giudicarlo, ma non riusciva ad evitare i suoi commentini sarcastici e pungenti. Max non provava rancore per lei, solo dei momenti di soggezione, abbinati ad altri di vera e propria frustrazione; lui non si era mai sentito così, era stato apprezzato in tutto ciò che aveva fatto e, molte ragazze lo consideravano un 'buon partito', se così si può dire, ma Sabina non era come le altre, lei voleva di più, e non lo nascondeva, anche a costo di risultare scomoda.
Povero Max, si era innamorato proprio di lei che non lo apprezzava; così non si sentiva amato e camminava per strada a testa alta, per non far vedere di sentirsi avvilito; certo, lui ne era sicuro, lei prima o poi avrebbe avuto fiducia in lui, nelle sue risorse, nelle sue qualità.
Invece, era un sabato pomeriggio, Max era tornato a casa dopo una partita di ping-pong con un amico, quando squillò il telefono, era Sabina, più dolce del previsto, visto il periodo, che gli domandava particolari sulla partita ed altro ancora, palesemente con l'intento di prendere tempo.
Max sentì nell'aria qualcosa che lo disorientava, avvertì come un presentimento oscuro e, piano piano, capì che lei iniziava a parlare di sentimenti incerti, di rapporti che vengono portati avanti solo per paura, di mancanza di punti di vista in comune e, dopo tante parole, che Max sentiva precipitargli sul collo come stalattiti aguzze, la interruppe dicendo: " Amore, spiegati meglio, che vuoi dire?".
Lei rispose: "Max, voglio dire che è finita. Ma non ti rendi conto che non posso renderti felice?, lo sai che vivo di dubbi ormai da molto tempo, lo sai che il sentimento non basta?, ci vuole una conferma quotidiana per stare insieme e poi che...". E mentre lei continuava a parlare concitatamente, Max iniziò a sentire solo un forte rombo nelle orecchie, improvvisamente la sua gola diventò secca, non riusciva a sentire niente; era in piedi con il telefono stretto nella mano, la testa gli girava vorticosamente, si sedette sul letto, pensava: "non ' possibile senza Sabina, la mia vita senza Sabina, no, non è possibile, non è possibile...". "Max, ci sei o no! Sembra che sto facendo un monologo, ti giuro che non è facile nemmeno per me, io forse riesto a parlare così solo perché non ti vedo, sai al telefono è più facile, ma ho paura di cambiare idea, insomma, vuoi dire qualcosa?".
Lo sentì piangere; era in quel momento che lui si era gettato nel fiume e annaspando, cercava di raggiungere l'altra riva, ma con gli schizzi negli occhi, le mani gelate ed il petto ansante, vedeva lei, immobile, che lo guardava con gli occhi lucidi, ma non allungava neanche una mano. Max non aveva molto da dire, ma alla fine cercò di far uscire qualche parola: "Io vedo solo che tu sei riuscita a parlare tanto ed io non riesco a dire niente. Non riesco ad abituarmi all'idea di stare senza te, con tutti i tuoi dubbi. Forse ho paura che senza di te potrei accorgermi di stare meglio". Quest'ultimo pensiero fu quello che colpì di più Sabina: lei aveva messo tutto sulla bilancia, ma non aveva mai pensato di poter stare meglio senza di lui, questa era una follia. Ma non fece trapelare il suo sgomento, anzi ribadì: "Max, è proprio finita".
E mentre lui piangeva, lei lo vide affogare.
 
 

 Classifica Concorso Club poeti 2001 sezione narrativa

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ins.4 maggio 2001