Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Bruno Cavallari
Con questo racconto ha vinto il secondo premio del concorso Club Poeti 2000, sezione nerrativa
 
Thriller nomentano
 
Stefania aveva 20 anni.
Ogni giorni, dal lunedì al venerdì, verso l'una e trenta scendeva dal 65 e tornava a casa. Era l'autobus che la portava all'università, dove frequentava il 2° anno di lettere.
Ci si era iscritta perché le piaceva la lettura e voleva condividere questa sua passione con altre persone.
Era una ragazza che quando camminava dritto davanti a se, e anche se a volte si voltava per guardare qualcosa, non lo memorizzava.
Una volta scesa dall'autobus, per rientrare, prendeva Vicolo della Fontana, percorreva cinquanta metri e arriva in Via delle Isole n° 4, dove appunto abitava.
Quel giorno era sabato, la mattina era stata in centro a trovare una sua amica, aveva fatto tardi e quando scese dal pullman erano le ore 14,00. Mentre si avvicinava verso casa, un uomo le passò davanti, la guardò ma lei non si accorse di lui. Quando era quasi davanti al portone, l'uomo, che ora le stava dietro ad una certa distanza, la fissava.
Stefania, nonostante fosse in ritardo, si fermò e invece di infilare la chiave, si girò e lo vide.
I due non si conoscevano, o meglio lui la seguiva già da tempo e ne conosceva gli spostamenti, mentre lei non lo aveva mai visto. Si guardarono per dieci secondi, lei aveva il cuore che le batteva fortissimo, non era proprio paura era come se avesse capito che da quel momento la sua vita sarebbe cambiata definitivamente.
Il viso di lui era inquietante: sembrava quello di una donna molto anziana, gli occhi erano sorridenti, ingenui ma coscienti di incutere paura.
Stefania entrò di corsa, sbattendo il portone dietro di lei, salì le scale a due a due e finalmente arrivò a casa.
Non c'era nessuno, andò subito in camera sua e si affacciò dalla finestra che dava sulla strada, vide l'uomo che si allontanava da Vicolo della Fontana e andava verso Via Nomentana.
Ora aveva paura.
Chi era quest'uomo? Da dove spuntava fuori? Che voleva?
Nel momento in cui non lo vide più avrebbe voluto urlare dalla finestra, gridare a tutti che quell'uomo l'aveva spaventata, lei non aveva mai fatto niente di male, perché le stava accadendo questo?
Si sedette sul letto e si mise le mani nei capelli, stette così a pensare: forse non era niente, può darsi non volesse farle del male, forse lei era soltanto nervosa e stava ingigantendo tutto. Il problema era che la strada dove lei abitava, con la sua famiglia, le aveva sempre fatto paura, stava bene lì, non le era mai successo niente, ma una serie di sensazioni e di circostanze l'avevano sempre inquietata.
Di notte, prima di andare a dormire, s'affacciava sempre dalla finestra della sua stanza che dava anche su Villa Paganini e guardava nel buio del giardino, come se aspettasse che alla fine succedesse qualcosa. Invece non succedeva mai niente di strano e parte qualcuno che fumava, si baciava o dormiva.
In quel momento, mentre era sul letto pensò addirittura che la gente che frequentava il parco l'aveva spiata per tutto il tempo e che ora aveva mandato uno di loro per ucciderla.
Doveva calmarsi, per fortuna in quel momento arrivò suo padre, Stefania gli si lanciò contro e iniziò a piangere.
Quando si fu calmata gli iniziò a raccontare l'accaduto, lui la ascoltò con molto interesse e alla fine le disse di non preoccuparsi, che avrebbe chiesto in giro per il quartiere se qualcuno aveva visto un uomo con quella descrizione. Stefania sorrise, prese un fazzoletto e si asciugò gli occhi, era più tranquilla ora: l'essersi sfogata l'aveva aiutata a stare meglio.
Si sentì aprire la porta, era Anna, sua madre.
Le raccontarono subito tutto, lei si allarmò molto stata anche per sentirsi male, sostenne che era meglio andare alla polizia e farsi consigliare da loro su come comportarsi in questi casi. Stefania non voleva andarci e dovette sforzarsi non poso per convincere i suoi genitori, soprattutto suo padre che a questo punto, forse suggestionato dalla moglie, era il più preoccupato di tutti.
Quella sera rimase a casa, non volle uscire, cercò di studiare, anche se distratta com'era non riuscì a combinare molto. Ogni tanto si affacciava dalla finestra, guardava giù e ritornava alla scrivania. A vederla dall'esterno sembrava stesse aspettando qualcuno che doveva venire da un momento all'altro, ma lei non aspettava nessuno, era ancora agitata.
Era come un forno che ha appena finito di cuocere ma che ancora emana calore.
La sensazione che provò, quando decise di andare a dormire, fu quella di sentirsi svuotata, "rapita", come se quello che le stava intorno fosse completamente nuovo per lei.
Decise di non raccontare niente né ai suoi amici, né al suo ragazzo, voleva affrontare da sola questa spiacevole situazione, sempre se c'era veramente da preoccuparsi, ma lei questo non poteva saperlo.
Quella domenica dormì fino a tardi, quando si svegliò a tavola era già pronto, non aveva molta fame, mangiò solo poca pasta e un pò di pane.
Stefania nel pomeriggio uscì, andò a trovare il suo ragazzo che abitava non molto lontano da lei: in Via Catanzaro, dall'altra parte di Via Nomentana. Appena la vide arrivare, egli notò subito un cambiamento in lei, ma fece finta di niente, di solito lei era allegra ma a volte cambiava d'umore e non diceva più niente.
Quando si sentiva così sembrava che con lo sguardo vedesse quello che le stava davanti ma che con il pensiero cercasse qualcosa, forse un punto d'appoggio.
Alberto, così si chiamava il suo fidanzato, cercò d'essere allegro e di non farle capire, che lui aveva intuito qualcosa; quando fu mezzanotte si fece accompagnare a casa, anzi, sotto il portone di casa. Fu un bacio lungo, appassionato senza pensieri, ci si tuffarono entrambi e presero il largo.
Stefania quando rientrò in casa trovò che tutti stavano dormendo, si preparò lo stesso una tazza di latte caldo con il miele e dopo andò a letto. Fu una notte calda, afosa e umida, inconsueta per un mese come aprile.
Erano da poco passate le 06,30 del mattino quando il telefono iniziò a squillare, Stefania rispose al quarto squillo, nonostante l'unico telefono della casa, era vicino al suo letto, sul comodino, accanto alla poltrona.
Era la madre di Alberto, si scusava per aver chiamato a quell'ora ma suo figlio non era ancora tornato a casa, da quando era uscito con lei, la sera prima.
Stefania persa conoscenza, cadde per terra, sembrava che le avessero staccato la corrente improvvisamente.
Svegliati dall'improvviso suono del telefono, i suoi genitori entrarono nella sua camera e la videro in terra "addormentata".
Durante il giorno fu un vero via vai: polizia, la madre e il padre d'Alberto, il dottore e persino uno psicologo dell'A.S.L. RM/C.
Degli investigatori le fecero vedere delle foto segnaletiche dove lei non riconobbe nessuno, inutilmente, i genitori di Alberto cercarono di parlarle, neanche il dottore e lo psicologo ci riuscirono.
Fecero delle ricerche nella zona, misero persino una volante ferma, sotto casa sua, ma dopo due mesi se né andò.
L'ispettore affermò che forse il ragazzo era partito per un paese lontano, che molti giovani della sua età lo facevano e che dopo un certo periodo, ritornavano a casa.
Invece, Alberto non ricomparve più e Stefania rimase chiusa nel suo silenzio per molto tempo.
Dal giorno della scomparsa, di notte, questa volta attraverso le persiane, prima di andare a dormire, stava un pò di tempo in finestra osservando il parco, cercando, forse, di scoprire qualcosa.
Come sempre, non successe mai nulla di strano.
Le persone continuarono a frequentare la villa anche di notte; lei ci avrebbe voluto parlare, era convinta, ormai, che sapessero qualcosa, ma l'unica cosa che riuscì a fare, per molto tempo, fu soltanto piangere.
 

 
Classifica Concorso Club Poeti 2000 sez. narrativa ../../../concorsi/risultati/ris.clubpoeti2000.html
 
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Agg. 30-09-2006