Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Biancamaria Massaro
Con questo racconto ha vinto il quinto premio del concorso Marguerite Yourcenar 2002, sezione narrativa
La penna stilografica
3 settembre
 
A ventitré anni mi distinsi tra i migliori ad un concorso letterario per esordienti e riuscii a fare stampare il mio primo romanzo. A trenta avevo già pubblicato cinque best-sellers. Dai trentacinque non riesco più a scrivere nulla e adesso che ne ho compiuti quaranta accendo il computer solo per collegarmi ad Internet o per perdere tempo con i giochetti d'azione o di avventura che ho rubato a mio figlio.
Ieri è stato il mio compleanno, perciò mia moglie Lara insieme a mio fratello e ad un paio di amici mi ha organizzato la solita festa a sorpresa. Per fortuna stavolta non aveva invitato il mio agente, perché non avevo voglia di spiegargli di nuovo che avevo perso l'ispirazione.
A ricordarmi che un tempo ero uno scrittore ci ha pensato mio fratello Paolo, che non perde mai l'occasione per sottolineare il fatto che sono un fallito. Mi ha regalato una penna stilografica antica, appartenuta sembra ad un noto scrittore, mio omonimo, morto agli inizi del secolo. Funziona ancora, perciò oggi ho iniziato ad usarla. Per riempire le pagine di questo diario, però, non certo per un nuovo romanzo.
Come ho già detto, l'ispirazione mi ha abbandonato per sempre.
 
 
20 settembre
 
Lara e Paolo sono sempre preoccupati per me, perché ormai non esco più di casa, nemmeno per comprarmi il giornale o accompagnare a scuola mio figlio Marco.
Non sono neanche andato a ritirare un premio che avevo vinto in Francia in occasione della riedizione del mio primo romanzo, tradotto stavolta con maggiore cura di quanto era avvenuto venti anni fa.
Al mio posto ci sono andati mio fratello e mia moglie, perché un week-end a Parigi non si rifiuta mai.
Passano molto tempo insieme, forse troppo. Dovevo immaginarlo: non sono mai stato un tipo interessante e, senza più il fascino che circonda di solito gli artisti, Lara mi trova ormai solo un obeso e scontroso omuncolo che le russa accanto nel letto.
Mio fratello, debole e sempre geloso del mio successo, non si è fatto troppi scrupoli a lasciarsi sedurre da mia moglie, che adesso lo comanda a bacchetta. Insieme mi stanno alienando l'affetto di Marco, che Paolo porta a scuola tutti i giorni al mio posto. Questo però mi sta bene, perché sento di non avere più niente da dare e da dire a mio figlio.
Mi piace che tutti mi lascino stare da solo nel mio studio, così posso sedermi alla scrivania e non fare nulla. non mi collego più nemmeno ad Internet e da giorni non leggo neppure la posta elettronica.
Certo, adesso scrivo, ma solo poche righe su questo diario. No, ho mentito, sto pure prendendo appunti sulla vita dello scrittore che prima di me aveva posseduto la penna stilografica, dalla quale adesso non mi separo mai.
Era un poeta, ma a parte questo ci assomigliamo molto. Come me infatti divenne famoso giovanissimo, ma l'ispirazione e la fama lo lasciarono rapidamente. La moglie lo abbandonò, portandosi dietro i loro tre figli. Scomparve una mattina, insieme ai gioielli e a tutto il denaro che tenevano in banca.
Lo scrittore si ritrovò così senza famiglia e senza denaro. Del tutto solo e ormai povero, apprese dai giornali che sua moglie era fuggita con un pianista famoso. Non ebbe allora più la forza di presentarsi negli ambienti che aveva frequentato fino a quel giorno ed andò a vivere in una modesta pensione, rifiutandosi di vedere i parenti ed i pochi amici che gli erano rimasti. Non scrisse più poesie, ma non c'era giorno che non si sedesse al tavolino, rimanendo immobile per ore con la stilografica in mano, in attesa che l'ispirazione ricomparisse.
Almeno lui sperava che la Musa tornasse a baciarlo, io no.
Non scrivo più, non mi sento più uno scrittore, se mai lo sono stato.
 
 
10 ottobre
 
Ho scoperto che il poeta mio omonimo alla fine si suicidò in un modo piuttosto macabro e singolare: l'anniversario del suo matrimonio si sedette come al solito alla sua scrivania e con entrambe le mani poggiate sul tavolo impugnò la stilografica con il pennino rivolto verso l'alto, poi si chinò di scatto e si conficcò la penna nell'occhio destro, spingendola per oltre 7 centimetri dentro al cervello.
Mi chiedo se si sia ucciso con la stessa penna con cui io sto scrivendo adesso. Fosse stato assassinato, la penna sarebbe stata considerata l'arma del delitto, perciò non credo che gli inquirenti avrebbero permesso che tornasse in circolazione. È stato pur sempre il mezzo con cui una vita è stata spezzata, quindi mio fratello non dovrebbe esserne entrato in possesso tanto facilmente.
Sì, ci sono molti più motivi perché la penna non possa essere questa, ma allora perché mi sembra di vedere delle macchie brune lungo la sua impugnatura?
Il pennino d'argento è invece perfettamente pulito e lucente, infatti posso perfino vederci il mio volto riflesso. Deformato, però, tant'è che non sembra neanche il mio.
 
 
23 settembre
 
Mia moglie, a differenza di quella del poeta mio omonimo, non si decide a lasciarmi. Questo non vuol certo dire che non mi tradisca, infatti passa sempre più tempo con mio fratello. Lo scorso week-end si sono perfino portati in campagna mio figlio. Mi hanno chiesto di andare con loro, ma so che l'hanno fatto solo per finta cortesia, sperando che rifiutassi.
Ipocriti e calcolatori fino in fondo, dunque!
Non tutt'e due, in realtà: è mia moglie che tiene le fila del gioco, la donna che ha sposato lo scrittore di successo, sperando che sfornasse un libro l'anno fino alla vecchiaia, ma che oggi si trova legata ad un uomo che tutti giudicano finito.
Si è allora rivolta all'unica persona che conosceva che fosse più debole di me, mio fratello.
Paolo la segue come un cane fedele e farebbe di tutto per lei, anche aiutarla ad entrare in possesso dell'assicurazione che ho stipulato quando ancora pensavo che la mia vita valesse qualcosa. Lara poi si libererà anche di lui, questo è chiaro, tenendosi i soldi e mio figlio. Piangerà un po' sulla mia tomba, ma è giovane, bella ed astuta, perciò non rimarrà a lungo vedova.
Sì, è astuta, ma non dovrebbe dimenticare che l'assicurazione non paga in caso di suicidio.
 
 
2 novembre
 
L'immagine che vedo riflessa sul pennino d'argento non è distorta, semplicemente non è la mia, ma è del poeta che se l'è infilato nel cervello.
Non sono pazzo e non credo ai fantasmi, perciò voglio subito dare una spiegazione razionale al fenomeno: la penna è stata in contatto diretto con i neuroni del poeta al momento della sua morte, perciò i suoi pensieri le sono rimasti in qualche modo legati. Questa sorta di residuo psichico - tanto per usare un termine amato dagli scrittori del mistero - è entrato in comunicazione con me.
Per prima cosa il poeta mi ha confermato che la penna che uso è proprio quella con cui si è ucciso, poi mi ha confessato di essersi pentito del suo gesto. Non del delitto, ma di averlo compiuto su se stesso, invece che contro le persone che lo avevano tradito.
Sono giorni che mi dice di non fare lo stesso errore e sono giorni che io lo sto ascoltando.
 
 
4 novembre
 
Ieri mia moglie si è accorta che parlavo con la penna, ma per fortuna era troppo lontana per sentire quello che mi stava dicendo.
Ha mandato però nostro figlio a stare qualche giorno dai nonni e ha invitato domani a pranzo Paolo per parlarmi. Da una settimana dorme nella camera degli ospiti, non entra nello studio neanche per spolverare e mi guarda sempre più preoccupata.
Forse sospetta qualcosa?
Non lo so, so solo che dovrò agire presto.
 
 
5 novembre
 
Ho ucciso mia moglie. L'inchiostro con cui scrivo adesso è il suo sangue.
La penna funziona ancora.
Funzionerà ancora dopo che l'avrò conficcata anche nell'occhio di mio fratello?
 
 
Domenica Paolo bussò a lungo alla porta dell'appartamento del fratello, ma nessuno venne ad aprirgli, allora entrò con le chiavi che gli aveva dato Lara da quando il marito si rifiutava di rispondere al citofono.
All'inizio le luci spente gli fecero pensare che non ci fosse nessuno, poi entrò in salotto e nella penombra vide la cognata seduta sulla poltrona che guardava la televisione, dandogli le spalle. La chiamò, ma non ottenne risposta, perciò pensò che si fosse addormentata, allora le si avvicinò e le toccò la spalla destra. La donna cadde in avanti, proprio mentre Paolo si accorse che le sue dita si erano macchiate di una sostanza appiccicosa e rossastra.
Prima che la sua mente accettasse il fatto che Lara si era assassinata, gli si avventò contro un uomo che teneva in mano qualcosa di lungo e sottile. Paolo reagì immediatamente, afferrando la pesante lampada poggiata sul tavolino accanto al divano e colpendo con essa il suo aggressore. Riuscì così a disarmarlo, poi lo spinse a terra.
Accecato dalla furia lo colpì ancora alla testa con la lampada, poi lo colpì di nuovo e lo colpì ancora, finché l'uomo non si mosse più. Solo in quel momento si accorse che era suo fratello e che in mano stringeva la penna che gli aveva regalato per il suo compleanno, allora le gambe non lo sostennero più e si lasciò cadere a terra disperato.
Quando Paolo si riprese, chiamò la polizia, poi si precipitò nello studio del fratello per vedere se c'era qualcosa che potesse spiegare quello che era successo. Trovò il diario sulla scrivania, aperto alla data corrente e macchiato del sangue di Lara. Si fece coraggio e lo lesse dall'inizio, poche pagine che il fratello aveva scritto dal giorno del suo compleanno.
I poliziotti lo trovarono che rideva e piangeva insieme, ancora seduto alla scrivania.
All'inizio pensarono che fosse stato lui l'assassino, ma solo finché non lessero anche loro il diario e lasciarono cadere ogni accusa.
Ai funerali del fratello e della cognata Paolo parve inconsolabile. Riuscì però a non piangere quando abbracciò i genitori di Lara che avevano accettato di prendersi cura del nipote e chiese loro perdono per quanto era successo.
Tutti tentarono di spiegargli che lui non aveva colpa, che non avrebbe potuto fare nulla per impedire la tragedia, ma Paolo continuava a ripetere:
«No, mio fratello è innocente, è stata tutta colpa mia, solo colpa mia».
«Parti, cambia aria, lasciati tutta questa storia alle spalle», gli consigliarono gli amici, allora Paolo preparò la valigia e si mise in viaggio.
Due giorni dopo si uccise, tagliandosi le vene dei polsi, nella vasca da bagno del primo albergo in cui si era fermato.
Aveva lasciato un biglietto sul tavolino, con scritte questa parole:
 
Amavo Lara e anche lei mi amava, ma non abbiamo mai tradito mio fratello.
Gli ho mentito, la penna era nuova. Dissi che era appartenuta allo scrittore suicida solo perché volevo scuotere mio fratello, spingerlo a non arrendersi come aveva fatto il suo omonimo.
Volevo solo che riprendesse a scrivere, nient'altro.
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Premio Marguerite Yourcenar 2002
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 Ins. 10-10-2002