Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Aura Piccioni
Con questo racconto ha vinto il sesto premio al concorso
Age Bassi - Castiraga Vidardo 2005, sezione narrativa

«Non ucciderò mio fratello»



È l'inizio del sesto giorno che trascorrerò in questa angusta cella:
l'alba riversa una fioca luce attraverso le sbarre di questo carcere tetro...Una luce livida, che non riuscirà a fugare l'angoscia di questa notte...Fino a poco fa colpi sordi di arma da fuoco, provenienti da qualche località di confine tra il quartiere di Anata, sede della prigione in cui mi trovo, e la colonia di Pisgat Zeev, hanno lacerato il silenzio greve e angoscioso che incombe su ogni cosa...Si tratta di una zona calda dall'inizio dell'Intifada, nella quale sarebbe meglio non avventurarsi...Ma comunque esiste ormai un solo angolo di questa terra che possa essere considerato sicuro, immune da violenze? Questa luce di un nuovo giorno, fredda come una lama, riuscirà a dileguare le tenebre del mio cuore? Quanta gente ho visto morire anche per causa mia!...Persone proprio come me, che ho visto cadere mentre si dibattevano per sottrarsi alle spire dell'odio...Molte persone qui sono giovani, sui vent'anni: ma non sanno, non sappiamo cosa sia la pace...non l'abbiamo mai sperimentato. Non mi sento più un uomo, non provo più sentimenti. Mi sono trasformato in una perfetta macchina per uccidere. Ho dimenticato il mio nome, ora ho solo un numero di matricola...
Quand'ero piccolo, i miei genitori mi hanno insegnato a non fare distinzioni fra noi e loro, e io non ne facevo; finchè non mi è arrivata la chiamata alla leva...E dire che volevo diventare medico! Non per uccidere, ma per guarire, per sanare. Invece, che fine hanno fatto i nobili propositi che coltivavo nell'animo?
Ora sono qui, in questo carcere...Non voglio più combattere, non voglio più spargere altro sangue...La notte mi giro e rigiro sulla brandina, mentre davanti ai miei occhi scorrono immagini, volti di uomini, donne, bambini...Ogni notte per me è un tormento...mi sveglio di soprassalto, madido di sudore, perché magari ho sognato un uomo che mi puntava il suo kalashnikov alla tempia e mi sparava...Sì, questo è uno dei miei incubi più frequenti. Ho paura di morire.
Chi non ne ha? Ho avuto quest'incubo la prima volta che ho impugnato un'arma, quando mi hanno insegnato a caricare un fucile, a puntare e tutto il resto.
I primi tempi ero così orgoglioso del mio operato...Ora mi sento più in basso del peggior verme della terra...Il gesto da me compiuto, che mostra in me un superstite barlume di umanità, il gesto per cui mi trovo in questo tetro carcere, riuscirà mai a riscattare la mia esistenza? Una sola vita da me salvata potrà mai compensare le molte vite spezzate? Potrò purificare queste mie mani macchiate di sangue e questo cuore contaminato dall'odio? È sempre vivo dinanzi ai miei occhi l'episodio di cui sono stato protagonista sei giorni fa...Le sequenze si succedono nella mia mente nitide, drammatiche...Riuscirò grazie ad esso a ottenere il perdono delle mie colpe? Potrà salvarmi un solo gesto di umanità compiuto? ...Un tramonto rosso sangue... l'atmosfera è in sintonia con le violenze, i massacri, gli odi che ci dilaniano...Uno sparo! È uno dei miei compagni. Un arabo si sta dirigendo verso di me, una scia di sangue gli esce dalla gamba sinistra.
Mi vede e si butta ai miei piedi, abbracciandomi le ginocchia. È una scena pietosa. Il poveretto è ridotto in condizioni miserevoli, ma il furore impedisce ai miei compagni, che continuano a infierire su di lui, di rendersene conto. Mi svincolo con decisione dalla presa dell'uomo supplicante e mi pongo innanzi a lui, come scudo di difesa.
Avverto il suo tremito, il suo respiro affannato, la disperazione di chi si sente perseguitato, senza via di scampo. «L'abbiamo in pugno, finalmente!» esclama uno, raggiante.
«Cosa diavolo siete? Uomini? O bestie? Le bestie non si comportano come noi, dando la caccia ai propri simili per pura crudeltà!» ribatto io, la rabbia negli occhi.
«Quel bastardo...» comincia un altro, ma non ha il tempo di finire la frase, che gli rispondo bruscamente:
«È un essere umano, per Dio!».
A quel punto, si fa avanti il nostro superiore, il tenente Cadfael.
«Cosa succede qui?» domanda, incollerito. Il silenzio cala tra di noi. Il tenente avanza in mezzo ai miei compagni e si ferma davanti a me. Mi guarda torvo e grida:
«Lascia andare l'arabo!».
«L'uccideranno!» protesto io.
«Non siamo venuti qui per giocare a carte con loro - risponde, pronunciando ogni parola come se si trattasse di un insulto - ma per fare la pelle a questi cani ribelli!».
Nel mio cuore scatta qualcosa.
«Ma è mio fratello!» esclamo, con le lacrime agli occhi. Lo sguardo del tenente si fa minaccioso. «Benissimo, abbiamo un disertore qui!».
Non so dove abbia trovato il coraggio, ma avverto dentro di me un moto di sdegno e sento sciogliersi un groppo che aveva reso fino a quel momento di pietra il mio cuore; gli rispondo come prima non mi sarei mai permesso:
«Preferisco essere un disertore che un assassino!».
So che queste parole e il mio comportamento avranno delle conseguenze gravi per me; ma ora non m'interessa. Devo pensare a curare colui che ho chiamato "fratello". Me lo sistemo sulle spalle e torno alla mia tenda. Lo adagio sul letto e gli strappo i pantaloni già laceri.
«Stavo per diventare dottore quando mi hanno chiamato - gli racconto - ancora pochi esami e avrei preso la laurea».
L'arabo mi guarda con gli occhi socchiusi, gemendo per il dolore.
«Aspetta - continuo - dovrei avere un po' di morfina».
La cerco tra le mie cose nella valigia, e finalmente ne trovo una boccetta. Gliela somministro accuratamente, poi inizio l'operazione, estraendogli la pallottola e bendandogli la ferita con fasce pulite.
È ancora sotto l'effetto del medicinale. Il sole, intanto, cala dietro l'orizzonte e la sera distende la sua ombra silenziosa. Affranto dalla stanchezza, mi addormento poggiando la testa sulla sponda della branda ...È l'alba. Batto le palpebre, sbadiglio e finalmente apro gli occhi: l'arabo è lì, sulla branda, fermo a guardarmi. Appena mi vede sveglio, mi sorride:
«La luce di Allah illumini il risveglio a te che mi hai salvato la vita due volte».
«Ciao...» mormoro, restando immobile.
Poi mi alzo e mi sciacquo il viso con dell'acqua limpida e fresca. Oggi mi accadrà qualcosa per quanto ho fatto, ne sono certo.
Mi volto e vedo l'arabo che mi osserva con curiosità.
«Reciti una preghie
ra con quell'acqua?» domanda.
Io rido:
«No, mi sto semplicemente lavando...».
L'arabo sembra confuso. Gli chiedo quale sia il suo nome. Mi risponde di chiamarsi Alì. A quel punto mi presento io:
«Sono Samuel David Zenatti».
«Hai uno strano nome, tu che mi hai salvato» afferma l'arabo sorridendo mestamente...
Gli domando perché i miei compagni gli dessero la caccia: grosse lacrime cominciano a rigargli il volto.
«Stavo camminando per Tel Aviv, quando un camion grigio mi è passato accanto, e allora ho iniziato a scagliargli contro le ossa della Terra...Quel camion mi sembrava lo stesso che aveva investito mia moglie e mia figlia...Poi sono arrivati i tuoi compagni...».
Sento che la commozione sormonta e sommerge pian piano il mio cuore...Dio, perché esseri umani creati a Tua immagine devono comportarsi così? Perché ci dibattiamo nel fango di un'immane tragedia, aggiungendo alle nostre miserie i mali provocati dall'odio? Per un pezzo di terra, anche la più sacra, non si può morire! Non fratello contro fratello!
L'arabo mi distoglie da questi pensieri:
«Che ti faranno per avermi prestato soccorso?».
Non rispondo. Ma un allarme sta iniziando a suonare nella mia mente.
«Devi andartene, Alì! -esclamo- Se ti prendessero, ti ucciderebbero, e allora tutti i miei sforzi per salvarti risulterebbero vani!».
Alì annuisce. Prima di scomparire dietro l'uscita della tenda, si inchina davanti a me.
«Grazie» sussurra. E mi infila una collanina di metallo attorno al collo.
«Ora... vai!» gli ordino gentilmente. Lui obbedisce e scompare.
Osservo il medaglione appeso alla collanina: è grande e rotondo, e sopra ci sono incise parole in arabo e in ebraico. Mi accorgo che si tratta di una stessa frase scritta in due lingue diverse:
"Chi si batte per un nemico chiamandolo fratello non è folle, è abitato da Dio".
Sorrido. Ripenso al viso di Alì con lo sguardo implorante, simile a quello di un animale braccato.
«Zenatti!- fa una voce - Samuel David Zenatti!».
Mi alzo in piedi.
Entra il tenente, seguito da alcuni miei commilitoni.
«Zenatti - inizia - lei ha disobbedito ad ordini superiori, quindi l'accusa è di insubordinazione. Cos'ha da dire in sua difesa?».
Chino il capo: non perché mi senta umiliato o in qualche modo colpito, ma perché non riesco più a trattenere le risa. Un moto irrefrenabile e convulso mi percorre...Sto soffocando. «Mi dispiace...».
Il tenente sembra molto soddisfatto da queste parole.
«Mi dispiace - continuo, sforzandomi di far assumere alla mia voce un tono fermo - di non aver avuto tanto fegato da salvare altri esseri umani. Mi dispiace di non averle disobbedito prima. Mi dispiace di aver sparato su gente innocente. Mi dispiace di avere obbedito alla leva. Mi dispiace di aver perso un anno di studi. Mi dispiace di non essermi rifiutato di imbracciare un fucile. Mi dispiace di essere qui a combattere contro gente che ha ragione. Mi dispiace di trovarmi con gente che uccide innocenti a sangue freddo...».
Non so come queste parole siano scaturite dalla mia bocca davanti a quest'uomo che prima m'incuteva tanto timore. Ma non me ne pento. E ho ancora voglia di parlare, mentre il tenente rimane in silenzio:
«Ho massacrato persone, nostri fratelli e sorelle! Ho ancora le mani imbrattate di sangue, ma d'ora in poi non le macchierò più!».
Detto questo, getto il mitra lontano, ai piedi del tenente, e mi siedo, sostenendo il suo sguardo in segno di sfida. Non potrà piegarmi, ora...tenterò di realizzare tutto ciò che mi è stato sempre insegnato, cercherò di tornare un uomo e di non essere più una macchina di morte che assassina i propri fratelli...E questo il tenente lo sa benissimo: non vacillerò nei miei propositi.
Infatti, come sconfitto, esce dalla mia tenda e io rimango solo. Fratello...

Aura Piccioni


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Age Bassi - Castiraga Vidardo 2005

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