Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Antonino Maria Lo Grasso
Con questo racconto ha vinto il terzo premio all'edizione 2008 del Premio Il Club dei Poeti.



«E lo chiamavano Paradiso...»

E tramontò il sole quel giorno, la bella favola si aprì alla notte e le nuvole scomparvero, tua madre ritirò i panni stesi, lo stesso fecero le altre donne, gli uomini le amarono per tutta la notte. E non ci fu attimo in cui di quest'aria umida non fossi contento perché quella notte il mio paese chiamava a raccolta gli amanti. Nessuno sa perché non piovve come scritto sotto i bianchi baschi adagiati su sedie di pecora e formaggio, ma anche tu udivi da lontano il sentore di un temporale, malgrado all'alba del giorno dopo ti suonasse ancora come un canto. E fu terribile ciò che accadde quando l'uragano batté il capo su queste strade di pietra. Tutti i sogni... i sogni furono feriti, trapassati, dilaniati e un sangue caldo come quello del cuore stesso del sole in preda al terrore rimbombò violentemente nelle tempie di te bambino.
La piccola giocava ancora con la corda mentre tu disegnavi coi pastelli l'arcobaleno su un foglio di carta. Le nostre mani adesso tremano, ma vogliono continuare a volteggiare perché adorano ferire il tempo con le nostre anime di legno che segnano la storia, segnalibro del nostro passaggio. Come uragani contro la tempesta ci lanciamo contro la pioggia che disseta i nostri panni... e sebbene il sole sia già da qualche ora sorto, nelle case alberga ancora la notte. Di ognuna senti il pianto, i rancori, la tristezza. Nello sguardo di una finestra leggi il ricordo di ali spiegate di un gabbiano che sfumavano l'azzurro del cielo e del mare, che facevano sorridere la sabbia e gli ombrelloni sotto la freschezza di abbracci lontani e irraggiungibili come il sole che ogni giorno ci precede.
Siamo pionieri non per vocazione, perché è in queste vene che scorre il nostro tempo, un flusso che non vuol controllare nemmeno colui che può.
Vivi pure in sala d'attesa, polsi di un padre al suo primo giorno o tacchi di una studentessa in corsa dietro un tram... vediamo uno squarcio di Paradiso quando la vita invade l'aorta e diventiamo più grandi delle stelle quando
moriamo facendo l'amore. Noi non conosciamo l'Inferno, ma è quando vendiamo le spade che perdiamo il Paradiso.
Quella notte che ci fece sudare come nessun'altra la mia mente ricordi ricacciò al creatore i sogni che facevano girare il sole e le altre stelle, che facevano nascere e morire le onde del mare, che riscaldavano la neve e gelavano le acque.
Quel giorno Catullo e Shakespeare furono rimossi dal cuore di chi in quella stessa notte non aveva saputo resistere, poi costretti al buio della memoria e alla solitudine degli uomini, infine privati di quanto io e te soli siamo al corrente. La ferita che come una carezza si posava sull'intera superficie del volto di Dante lo rese irriconoscibile: non più un abbraccio di luce, ma carne ed ossa a un passo dal suo Dio.
Così di notte questi volle fuggire dal Paradiso con gli angeli che avevano lasciato all'Inferno gli amanti che non avevano mai dimenticato. Il tradimento di Paolo e Francesca, che in quella fresca bolgia d'Inferno li portò a bruciare le pagine che li avevano resi immortali, non li fece star meglio quando Pietro aprì loro le porte.
Era la fine di un sogno durato millenni.
Per la prima volta dal verde giorno della creazione colorato di meli e aranci, a quella porta voltavano le spalle gli angeli desiderosi d'esser uomini e mortali, i nostalgici della gioia e del dolore, quanti fino a quel giorno avevano reso la propria vita un'opera d'arte incompiuta vivendo nel mito della stessa Giulietta che adesso taglia le trecce per poi affidarle alle cure degli uragani notturni o del suo Romeo che in cambio del ritratto di Dorian Gray vende al nemico la sua spada.
Cosa resta di quel Paradiso dunque, spoglio delle note di Mozart, dell'assenzio di Baudelaire e della sua anima maledetta, cosa resta dell'eternità seppur priva solo di una notte di mezza estate.
Non importa se quella notte la tua fede d'argento ti sia scivolata dalle dita, se mi riesca difficile immaginare dove abbia smarrito la mia... volevo solo dirti che quest'oggi ho seguito uomini mortali abbandonare l'eterno per tornare da te all'Inferno, dove non so se sarà possibile risorgere a nuova vita, ma voglio provarci lo stesso perché senza di te in questo Paradiso è già finita.
Lungo una via senza insegne né direzione ci fermiamo col viso piegato dal dubbio chino sulle scarpe, le nostre, le stesse che non avremmo mai osato immaginare un giorno potessimo calzare.
Nessuna paura d'esser uomini, nessuna preghiera, nessun tradimento, nessun ariete contro le porte dell'immortalità.
Nessun timore, nessuna fretta. Fuori da quel Paradiso ci sentivamo liberi e assistendo ad ogni istante consumarsi per sempre dinanzi ai nostri occhi, non una lacrima, non un rimpianto né un sorriso.
Oltre il nulla e l'infinito qualcosa di unico e irripetibile, la vostra vita, la cui fine oggi decreta lo stesso destino dell'eterno.
Quando i primi tremori al petto si rifecero sentire, gli sguardi, sino a quel momento silenti, urlarono più di mille parole.
Poi il silenzio e la consapevolezza d'esser soli, le mie emozioni in apnea, la solitudine di ognuno di noi non mostrava pietà per quella del vicino... quelle anime non erano ancora giunte all'Inferno e già sentivan d'esser dannate!
In fondo siamo nostalgici della gioia e del dolore mi dicevo.
Nasciamo per vivere, soffrire e gioire per poi non sentire altro che gioia o dolore in eterno o vivere nell'attesa di giorni migliori in spazi sconfinati senza tempo.
Ma quella volta fummo noi a decidere la sorte di noi stessi, coraggiosi giovani exeterni in balia tra furore romantico e paura di morire.
E le ginocchia divennero più pesanti, gli sguardi più cupi, le gote più fredde, i ricordi evanescenti come spazi bianchi nel buio, stelle gracili sotto il cielo notturno.
Rannicchiati a terra, capo tra le ginocchia, maledivamo quel Paradiso che ci aveva abbandonati, quel Paradiso indegno del suo nome, privo di ogni forma d'umanità, senza terra, ombra, colore, orfano di tutti quegli uomini e quelle donne costretti all'altra faccia dell'eterno che non avremmo mai più potuto rivedere se non rinnegando la nostra natura immortale.
Non era ancora notte e i nostri corpi sentivano freddo, non era ciò che avevamo immaginato, ma era ciò che gli occhi vedevano. Non volevamo fermarci, volevamo baciare il fondo. Fu allora che iniziammo senza ragione apparente ad eclissare quegli sguardi maledetti con ferri roventi, rinunciando al senso che più d'ogni altro l'uomo inganna.
L'odore di carne, delle nostre carni... profumo di scelte vere, speziate da smorfie di dolore!
D'improvviso una mano prese la mia e la mia quella accanto.
Così cento uomini si rialzarono con l'aiuto di cieche mani... e le mani sprofondarono nell'abisso, lo stesso che avevi desiderato ti si aprisse sotto i piedi da quando eri bambino... e adesso lo vivi dentro e fuori di te malgrado tu non possa vederlo.
Le mani raccontano storie meravigliose e, di certo, non per paura né per timore alcuno, non parlano della loro fede o del loro colore.
Il tuo respiro mi parla di te, si unisce al mio e insieme al resto di queste nuove note fa tremare quest'angolo di universo senza nome che molti si ostinano a nomar follia, la stessa che puoi ogni giorno trovare sdraiata sulle terrazze che danno sulle assolate spiagge del Paradiso.
Ogni mano, ogni respiro, ogni odore ricolma i vuoti della mia coscienza che, malgrado il tempo, vede ringiovanirsi dinanzi all'imparziale giudizio dello specchio della cecità.
Ma gli anni trascorsero e di me ormai poco restava, col vino anche il marmo invecchiò, le nostre anime trapassate dalle termiti, il freddo che non ci abbandonava mai...
Prima dell'ultimo abisso, una mano ignota tra le mie mani, l'unica che vedesse dentro di me, l'unica a non esser fuggita da quell'Inferno che chiamavano Paradiso, l'ultima a lasciarmi, l'ultima che dona aria all'ultimo respiro che l'uomo abbandona, la mano che svela i versi finali di un canto solista che sfida i falsi cori, che apre le Porte al Paradiso dei profani, che tiene unite le due facce dell'eterno, il nostro Paradiso, spazio d'universo senza nome che molti chiamano follia.
Adesso voi tutti sapete perché non li avete visti cadere né risorgere...

Antonino Maria Lo Grasso


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 Ins. 17-09-2008