Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Angelo Francesco Paloschi

Con questo racconto si è classificata al secondo posto al concorso Città di Melegnano 1999 sez. narrativa

 
 
 
Mani
 
Le mani di mio figlio sono strepitose. Un assoluto miracolo di biomeccanica. Impulsi elettrochimici scivolano lungo i nervi e accendono estensioni e contrazioni delle dita. Il gioco delle articolazioni è ben lubrificato, non c'è nulla che inibisca la fluidità del movimento. Sospinti da una sinfonia di muscoli e di tendini i corpuscoli del derma collaudano il tatto, esplorano le superfici e la consistenza delle cose. A volte sostano immobili, come in attesa. La gente gliele guarda. Sono mani lunghissime, di cui ciascuno vuole dire qualcosa. Che sono di sua madre, affusolate, da pianista. Per me sono belle, molto più esattamente. Mio figlio, domani, compie tre mesi.
 
Questa mattina ho dovuto prenderlo in braccio. L'obbligo è una faccenda mia, lui stava benissimo disteso sul lettino. Quando si sveglia al mattino distribuisce sorrisi. Finché non si lamenta consigliano di lasciarlo giù, a stare troppo in braccio si vizia. Sono tutti pieni di buoni consigli. Io lo tiro su lo stesso, non riesco a farne a meno. Proprio io che i bambini li detestavo, ma è un fatto ce non ci provavo uno striscio d'interesse. Mio figlio mi ha rovinato, ho perso i denti del leone. M'è rimasta la dentiera. Gli rido, lo chiamo e mi nascondo, lo giro e lo volto. Invento cantilene ridicole e agitandomi come una scimmia gli recito frasi che non può capire. Giorno dopo giorno rincretinisco.
Ma le mani di una persona sono una cosa seria. Questa mattina tenevo in braccio una persona... Chissà che tipo di uomo sarà, mio figlio.
 
Sulla pelle non hanno un segno, seta pura. Sono mani senza passato. Neppure cercano un futuro, sono mani e basta e come mani le usa. Non possiedono vincoli con la coscienza, la coordinazione col cervello è ancora offuscata. I collegamenti nervosi si devono affinare, i sistemi periferici disubbidiscono al centrale. È un ragionamento di polpastrelli, di sondaggi discreti e piccole reazioni, di delicati sfioramenti, di prese decise. Sotto gli occhioni sgranati le sue mani esplorano le mie.
 
Stamattina, con calma, le nostre mani si sono messe a parlare. Una chiacchierata di dita. Eravamo seduti sulla poltrona in cucina, o meglio, io sedevo sulla poltrona e lui sulla mia gamba, la testina di velluto tiepido appoggiata al braccio. Studiando le sue mi stupivo delle mie.
 
Si tende a perderlo, lo stupore per le proprie mani. Le mani della specie umana sono dotate di capacità finissime, sono sensibili e precise come nessun altro organo motorio animale. Probabilmente il nostro cervello si è evoluto tanto anche per governare le loro enormi potenzialità. Il sistema neuromuscolare che le attraversa e le dirige è un capolavoro di architettura biologica. La loro sensibilità è la massima del corpo, il disegno delle impronte digitali ne moltiplica la percezione tattile. Dialogando con le mani di mio figlio, le mie navigate ma sbadate appendici parevano tornare consapevoli di se stesse. Una mano invecchiando perde la memoria, è una regina che si crede una serva. Ci vuole una mano giovane a rammentarle il rango che le spetta.
 
La scorsa notte le mie mani hanno ucciso un uomo. La guerra richiede alle mani tutta la loro perfezione, un'arma va maneggiata, appunto. Da sola non serve a niente. Si prende la mira cogli occhi e col cervello ma in pratica sono le mani a eseguire il colpo. Non ci s'inventa niente sul momento, la coordinazione viene solo con un allenamento serio. Una mano è un genio docile, si presta all'addestramento.
 
Mio figlio è un bambino buono. Dorme tutta la notte, si sveglia sorridendo. Prende il latte di sua madre e cresce sano. È un angelo caduto dal cielo. Se il carattere si manterrà lo stesso da grande... L'importante è che sia una brava persona.
 
Sono pochi giorni che sa d'avere le mani. Prima, probabilmente, non se ne rendeva conto, erano ignote estensioni del corpo che si agitavano a caso. Ora incomincia ad allungare il braccio, ad afferrare un oggetto con una presa grossolana. Se gli si appende un gingillo sopra il lettino, o se gli si presenta un pupazzo davanti al viso, vede che ciò che la mano colpisce si muove, pone in relazione causa ed effetto.
 
Non è più quel corpicino senza nerbo che era, stamani tra le mie braccia aveva una solidità inaspettata. Ruotava la testa con discreto vigore, lo sguardo rapito studiava i quadri alle pareti. Gli ho fatto un buffetto con l'indice sul nasino, lui mi ha afferrato il dito e ha stretto. Forte come può stringere un bimbo di tre mesi. Quel dito, la scorsa notte, ha premuto il grilletto. Pensandoci, mi è venuto spontaneo ritrarlo, ma lui non ci si staccava. Lo credeva un gioco, con quella sua mano da uomo in miniatura. Io tiravo piano e lui rideva, appeso colle cinque dita dalla stessa parte. Non sempre i neonati sono portati a chiudere il pollice dalla parte opposta. Il pollice opponibile ha bisogno di rodaggio, un'altra meraviglia che si perfeziona col tempo.
 
Il soldato che ho ammazzato ieri lo conoscevo. Da bambini abitavamo nello stesso quartiere. Giocava a basket in modo straordinario, quando saltava pareva levitare in aria e con la palla tra le mani faceva giochi di prestigio. Tutti dicevano sarebbe diventato un campione. Un giorno non lo si vide più in giro, venni a sapere che i suoi avevano traslocato. Quando gli ho sparato stava puntandomi addosso. Se oggi le mie mani potevano giocare con quelle di mio figlio, è perché la scorsa notte sono state le più veloci.
 
Le mie mani, come mani, sono rovinate. A parte le cicatrici, è dentro che sono sfregiate. Guardando quelle splendide e nuove di mio figlio, per le mie mani, stamani, provavo compassione. Forse sarebbe stato più giusto m'avessero fatto schifo, ma se così fosse non riuscirei a uccidere ancora. Invece è quello che dovrò fare stasera.
 
Siamo stati anche noi bambini. Avevamo mani bianche e innocenti un tempo, le avevo io come quegli uomini laggiù dietro il muro. Nel buio ne conto almeno cinque appostati tra le macerie. Noi altri siamo in tanti, assommandole le nostre mani saranno tre volte le loro. Non hanno scampo. Restiamo in silenzio e studiamo la situazione. Decidiamo: in sette ci spostiamo, cerchiamo di aggirarli e di sorprenderli tra due fuochi. Come lupi nella notte corriamo lungo il perimetro del quartiere. La città è lacera e deserta, un mondo di luci spente e rottami. L'anima di questa città l'hanno distrutta le nostre mani.
 
Le mani dei bambini costruiscono sogni, per gioco diventano mani da dottore, mani di madri e di padri, mani di costruttori, di alchimisti. Le mani dei bambini edificano il mondo, ci vogliono mani adulte per farlo fuori. Le opere d'arte sono opere di bambini. Mentre il pennello insegue i percorsi di un sogno, le mani dell'artista viaggiando indietro nel tempo. Le sinfonie musicali sono giochi di mani, maestose orchestre digitali che si rincorrono euforiche lungo i tasti e le corde degli strumenti. La grande cattedrale che svetta miracolosamente intatta in questa nostra città sfigurata dalla guerra, pietra su pietra è salita dalle mani, generazioni di mani e di anime bambine che hanno elevato al cielo le geometrie del pensiero. Capolavori sono anche quelli che contemplo tra le piccole dita di mio figlio, quando tracciano figure indagando timidamente il vuoto.
 
Adesso, invece, l'unica cosa che mi riesce di vedere sono quelle schiene, anche se siamo ancora troppo distanti per sparargli addosso. Ci siamo, li abbiamo in pugno. In due stanno facendo fuoco contro i nostri dalla parte opposta, altri sostano immobili accovacciati a terra. L'eco delle detonazioni sconvolge il silenzio. Simili a esausti e rassegnati spettatori, i palazzi assistono muti, avvolti nella loro maschera di vetri rotti e intonaci scrostati. Ci avviciniamo trattenendo il fiato.
 
Ci fermiamo nascosti dietro un camion ribaltato, un'enorme macchia d'olio mi insudicia gli stivali. Riconosco sulla destra il chiosco di una vecchia edicola, una volta il proprietario era amico di mio padre e venivamo fino quaggiù se ci serviva il giornale. Capitava molto di rado, mio padre non era un gran lettore. I suoi occhi parevano stanchi. I miei occhi stanno piangendo, e le mie mani tremano di rabbia e di paura. Capita spesso che mani e occhi agiscano in comunione.
 
Stamattina ho detto a mio figlio che questa notte sarebbe stata l'ultima. Gliel'ho promesso sottovoce stringendogli le mani. Cogli occhi guardava altrove, ma sembrava ascoltare e capire. Non mi interessa quali sono gli ordini, quanto agli ideali sono svaniti da un pezzo. Affiderò alle mie mani una mansione degna, raccoglieranno l'essenziale in giro per la casa. Caricheremo l'auto e ce ne andremo domani stesso, ho un caro cugino a nord della frontiera.
 
Ci hanno scoperto prima che cominciassero a sparare. Comunque ora sono costretti a concentrarsi su due fronti. Disperderanno le forze e finiranno per soccombere. Ho già vissuto questo schifo decine di altre volte, vincere è quasi facile se stai dalla parte più forte.
 
Ma questa sera mi viene voglia di fare un gesto pazzesco. Una di quelle scene che soltanto a immaginarsele, sembra di viverle di persona per davvero. Getto a terra il fucile e alzo le braccia al cielo. Grido al nemico Fermiamoci, Ascoltate. Mostro le mani aperte, buon Dio, le mani nude. Per fuori sono le mie, segnate dal tempo. Dentro sono le mani di una persona di tre mesi.
 
Lontane esplosioni scuotono il quartiere, i lampi dell'artiglieria invadono il lucore delle stelle. In una pozzanghera vicino al bordo del marciapiede, testimone infangato di un gioco interrotto, nuota solitario un pallone da basket. Piccole mani bianche torneranno a prenderlo domani, lo faranno asciugare lanciandolo verso il sole.

 

Classifica Concorso Città di Melegnano 1999 sezione narrativa
 
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inserito il 2 novembre 1999