Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Andrea Sardi
Con questo racconto si è classificato ottavo al concorso Parole in Movimento Fonopoli
 
 

Il piccolo fiore

 
Questa storia mi fu raccontata da una rosa bianca, che avevo raccolto per farne dono a una persona a me molto cara.
È la storia di un piccolo fiore di ibiscus.
 
Nacque nel grande giardino di una antica casa di campagna, in un'aiuola dove splendidi rosai si ammantavano di fiori, nel mese di maggio.
Nacque su un ramo, tra foglie verdi smeraldine.
Un bocciolo affusolato ne aveva raccolto i petali, perlacei e trasparenti, fino a che non eran maturati in un carnoso rosso corallino.
Alle prime luci del giorno, quando il concerto di grilli e raganelle si era addormentato tra i fili dell'erba, timido iniziò a schiudersi sotto il bacio ancora tiepido del sole.
I petali continuarono a spiegarsi lentamente sotto la carezza della brezza leggera e lasciarono emergere il pistillo giallo.
Un'ape mattiniera lo vide e lo salutò: «Buon giorno piccolo fiore!».
«Buon giorno, e tu chi sei?».
«Sono l'ape che cerca i fiori più belli del nuovo giorno e, tornata all'alveare, lo racconta a tutte le altre, perché possano trovare il nettare migliore per il nostro miele».
Il piccolo fiore ascoltò ma non capì molto. L'ape fece una danza di saluto intorno a lui e si allontanò.
Si guardò intorno e vide tutte le rose. Lo avevano aspettato a lungo: era il primo fiore dell'ibiscus e portava con sé l'aria dell'estate ormai vicina.
«Buon giorno, piccolo fiore», lo salutarono in coro.
«E voi chi siete?».
«Siamo le rose, altri fiori come te; è già un po' che siamo qui ed aspettavamo la tua nascita».
«Bene, allora potrete insegnarmi tante cose!».
Vide una farfalla avvicinarsi: «Oh, un fiore che vola!».
Le rose sorrisero in un fremito di tante foglioline.
«È una farfalla, non un fiore; verranno altre farfalle e api e altri insetti a bere il tuo nettare, durante la giornata».
«Bene, allora avrò tanti ospiti. Ma non c'è modo di muoversi come le farfalle? Mi piacerebbe fare un giro qua intorno».
«Oh sì &endash; gli rispose una rosa appena sbocciata, orgogliosa del suo colore vermiglio. &endash; Ogni giorno viene la giovane signora a scegliere i più belli tra noi per adornare la sua casa».
«Allora c'è la possibilità che colga anche me!» esclamò con voce ingenua e gioiosa il piccolo fiore.
Il silenzio delle rose fu nascosto dal sussurro del vento tra le foglie.
Vennero le prime api e le prime farfalle a raccogliere il suo nettare; si sentiva orgoglioso di questo e apriva meglio che poteva i petali per donarsi tutto alla fame e alla sete dei suoi ospiti.
Da loro si faceva narrare qualche storia, a loro faceva domande su cosa accadesse altrove. Un'ape gli disse che in un campo lì vicino pascolavano le placide mucche; un'altra gli parlò a lungo della vita dell'alveare.
Una farfalla gli raccontò dei fiori che aveva incontrato in altri giardini. Gli spiegò che il giorno prima era piovuto ininterrottamente ed ora era così sereno grazie al vento di tramontana che aveva spazzato via tutte le nuvole. Il piccolo fiore, che ascoltava rapito, ebbe un'idea e ne fu entusiasta: «Bene! La prossima volta che pioverà raccoglierò tanta acqua in me, così che potrò dissetare anche gli uccellini e questi chissà quante cose mi racconteranno».
La farfalla arrossì, si congedò e volò via.
Così la mattinata era entrata nel pieno vigore dell'ora meridiana: gli uccellini si chiamavano, nelle loro differenti lingue, da un ramo all'altro dei pini, delle magnolie; delle siepi di pitosforo, lungo i vialetti di ghiaia. Il piccolo fiore si sentiva forte e maturo e più cose imparava dagli insetti e dagli altri fiori intorno, più gli sembrava di essere lì da sempre. Si sentiva proprio a casa.
Era a quell'ora, prima che fosse troppo caldo, che l'anziana signora andava a passeggiare, lentamente, nel giardino. Aveva i capelli bianchissimi, ed il portamento fiero era stato addolcito dagli anni, non piegato. Si guardava intorno e sentiva in sé i suoni ed i profumi della primavera avanzata. Ricordava nelle emozioni altre primavere e questo ricordo, ancora velato di nostalgia, le faceva bene: si sentiva piena di vita. Guardava i fiori e li coglieva con gli occhi, componendo un piccolo, profumato mazzo di ricordi. Li aveva sempre amati e preferiva vederli così, sulle loro piante, nella loro naturale bellezza. Non le piaceva che una mano ne facesse un mazzo, in un affollato arbitrario accostamento.
Ad un tratto, il suo sguardo che abbracciava l'aiuola delle rose, incontrò il piccolo fiore.
Si avvicinò con un tenero sorriso e lo sfiorò con la sua mano antica di carezze e vene azzurrine.
«Buon giorno piccolo fiore &endash; gli disse &endash; quanto tempo è passato». E le tremò la voce.
I ricordi andarono a quando i suoi capelli nerissimi incorniciavano un volto dall'espressione altera e dallo sguardo fiero. Era una giovane attrice, allora, e gli uomini avrebbero fatto pazzie per lei. Aveva recitato nei teatri più famosi d'Europa. A lei arrivavano ogni sera, dopo lo spettacolo, mazzi di rose e di orchidee. Quanto tempo era passato!
«Mi ricordi un altro fiore come te, sai?».
E gli parlò di un ragazzo tanto pieno di speranze e di sogni, quanto perso in un mondo a lui ostile, in balia di una vita che non riusciva a governare.
Lo aveva conosciuto durante una cena tra studenti, quando ancora non era famosa: lui scriveva poesie, allora; che è un po' come votarsi ad una vita difficile e senza guadagni. Si erano innamorati, ancora accomunati dai sogni, non ancora divisi dal suo lavoro itinerante e dal successo.
Quando lei entrò a far parte di un'importante compagnia, lui prese a scriverle; le lettere la raggiungevano dopo averla seguita in due o tre città, passando da un recapito d'albergo all'altro. Lei non riusciva quasi nemmeno a leggerle. C'erano le prove, che la portavano stanca alla sera; c'erano gli spettacoli e gli inviti a cena che seguivano; e poi ancora viaggi e nuove parti. E tutto in una lunga rincorsa, in una ruota che era quella del suo destino. Alla fine si persero.
Ritornò da lei una sera, quando ormai gli anni facevan sì che non lo riconoscesse quasi più. Era pallido e stanco dentro, d'una stanchezza mortale che trapelava dal fisico smagrito. Lei stava uscendo, in un folto gruppo, dalla porta riservata agli artisti e se lo trovò davanti. Aveva con sé una piantina di ibiscus dai fiori rossi e doppi, come le gonne delle ballerine di flamenco. Era stato il loro fiore preferito: tante volte avevano pensato ad una casa bianca, vicino al mare, circondata dagli ibiscus. Non ebbe neanche il tempo di capire, che lui le aveva lasciato quella piantina ed una raccolta di poesie, tra le mani.
Così come era riemerso dal passato, vi ritornò per sempre. Spenta l'eco degli ultimi applausi, sfiorito l'ultimo mazzo di rose rosse, si era rinchiusa in una vita schiva, fatta di ricordi. E tra questi il più fragile e il più caro era quella piantina, quel blocco di poesie.
Questo disse al piccolo fiore, con sguardo lucido. Ed il piccolo fiore reclinò il capo e pianse gocce di rugiada.
Così, nelle ore del pomeriggio, la danza dei calabroni si alternava a quella delle api, e molte creature gli tennero compagnia; lui era contento e quando volavan via gli gridava: «A domani amici!».
Quando videro arrivare la giovane signora, si accese tra le rose un fremito di gioia: era il momento del giorno in cui le più belle tra loro sarebbero state scelte per la cena, sempre con ospiti importanti; avrebbero visto donne bellissime ed ascoltato uomini che avevano vissuto incredibili avventure in Paesi lontani.
Con lei c'era una bambina che saltellava e spiccava piccole corse e diceva: «Mamma guarda bello questo; cogliamolo!» la mamma si avvicinava, guardava bene i petali, che non fossero sciupati dal vento o dagli insetti; controllava che lo stelo fosse lungo a sufficienza; se tutto rispondeva alla composizione che aveva in mente, recideva il fiore e lo metteva insieme agli altri. Così raccolse il bocciolo vermiglio che, nel mattino, aveva raccontato di questo momento al piccolo fiore.
La bambina si avvicinò alla pianta dell'ibiscus e sfiorando proprio lui disse: «Mamma, guarda questo! Sembra proprio una ballerina! Dai, cogliamolo» ed il piccolo fiore sentì il cuore battergli forte di gioia.
La signora lo guardò e carezzando il capo della bambina disse: «Vedi cara, questo fiore non va bene, perché vive un solo giorno e stasera sarà già morto».
La bambina riprese a saltellare e la mamma, assorta nei suoi pensieri, ad andare verso altri fiori.
Tutte le rose guardavano in silenzio il piccolo fiore.
E lui lì, d'un tratto senza fiato.
L'una dietro l'altra capì le cose che non avrebbe mai visto: le nuvole nel cielo, la pioggia che voleva raccogliere per gli uccellini; non avrebbe mai lasciato quella pianta, non avrebbe mai visto quella casa.
Questo lo rese triste e silenzioso.
Fu un grillo che gli saltò vicino: «Vedi piccolo fiore, non importa quanto sia lunga la nostra vita, quanto quello che ci accade, quello che facciamo. Tu hai accolto e nutrito molti insetti. Tu hai risvegliato un bellissimo ricordo. Tu hai dato, aprendo i petali al sole più che potevi, nettare per le api, e per il cuore di una persona sola».
Ed intonò per lui una ninna nanna.
A poco a poco il piccolo fiore si sentì sereno; nell'aria della sera gli uccelli si fecero più cheti; timidi, i grilli, presero a frinire.
Sentì i suoi petali stanchi cominciare a chiudersi. «Grazie grillo; ora sento d'aver proprio sonno». E si richiuse nelle verdi foglie del mattino.
Lontano un gufo salutò la luna.
 
Questo mi disse la rosa. Ed io lo racconto a voi, per quando incontrerete un altro piccolo fiore.

 

Classifica Concorso Parole in Movimento Fonopoli 1998 sezione narrativa
 
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inserito il 27 ottobre 1998