Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Alessandra Casaltoli
Con questo racconto ha vinto il settimo premio del concorso Angela Starace 2002, sezione narrativa
COME IL GABBIANO PRIMA DI PLANARE
 
Quasi assopita, nell'abbraccio del maglione di lana grossa, cullata dal tintinnare ritmico e continuato del vagone sui binari, guardavo il mondo passare, oltre la trasparenza rettangolare del finestrino, e mi sentivo al sicuro. Seduta immobile pensando al passato con rimorso, con gioia, rimpianto, rassegnazione, nostalgia, sapevo che ormai quel pezzo di vita era così che era andato, ed anche volendo, ma non ne avevo assolutamente l'intenzione, non avrei potuto cambiare più nulla. "Il dado è tratto"! Non è cosi che si dice? Ma si, anche se non ho fatto gli studi che volevo, anche se per tante cose non è andata come speravo, che differenza fa? Ormai sono qui. Ci sono lo stesso, anche con i miei dubbin le mie incertezze, i miei fallimenti, le mie imperfzioni, gravi o meno gravi, e continuerò ad andare avanti, ad aver paura, a soffriren, a ridere, a correre, a sperare, e sognare. Il futuro certo mi spavente ancora: quello che ho affrontato in questo quarto di vita non è nulla in confronto a quello che sceglierò camminerà con me per mano fino all'ultimo giorno? Che ne sarà dei miei genitori, dei miei amici, di Mari E., di Tommi? Ma si, che ne sarà di lui? Vivrò per sempre nella stessa città o viaggerò per il mondo come una pallina impazzita, approrpiandomi di usanze non mie per sentirmi a casa ovunque io sia? Forse resterà tutto come adesso. E mi piacerà sempre la vita che costruirò? oppure mi accorgerò troppo tardi di aver sbagliato tutto? Avrò dei figli? Che madre sarò? Saprò essere forte abbastanza? Riuscirò a non fare gli stessi errori di mio padre, ad essere più matura di quanto sia stata mia madre? Dovrò piegarmi, modellarmi, seguire il flusso della vita o trattarla con forza per far volgere gli eventi nella direzione che voglio? Non lo so, non lo so proprio. So solo che adesso sono qui e percepisco la mia esistenza come parte di un'unica globalità. Il nostro essere tanti, tutti diversi, divisi in categorie, in ceti, selezionati a seconda della provenienza, della professione, non ha potere di fronte al destino, comune ed uniformante. Allora mi chiedo se non sarebbe meglio calare l'ancora e rimanere immobili. Non desiderare più niente, non volere, non lottare, nutrirsi di pura esistenza; come gli animali. "Se tu fossi un animale, quale vorresti essere scegliendo tra un pesce, un uccello o un animale terrestre?" mi aveva chiesto una volta un'amica che studiava psicologia: "Un gabbiano!" -avevo risposto. "Sai cosa sognifica?" - "Forse che non ho paura di prendere l'aereo?" - "Certo non è detto che non sia una spiegazione possibile, ma in realtà hai scelto un volatile perché è l'unico che può vedere tutto, ma proprio tutto del mondo e per giunta può osservarlo da una prospettiva dominante, senza toccarlo e senza esserne toccato." - "Allora qual è il motivo della mia risposta secondo te?" - "A mio parere questa scelta tradisce una certa insicurezza. Hai paura di farti coinvolgere troppo. Preferisci vedere come si comportano gli altri. Vuoi giudicare ma hai paura di essere giudicata". Si, ci aveva propiro azzeccato la mia amica ""strizzacervelli". Anche allora sul treno stavo bene perché mi sentivo liberata dal peso di dovere muovere la mia piccola parte del mondo. Ogni azione, ogni scelta, ogni gesto voluto o non voluto che sia, ricade sull'altro che a sua volta agirà, sceglierà, deciderà in maniera che gli altri attorno a lui si muovano di conseguenza o si ribellino. Ma spesso capita di non trovare il senso, un motivo, la meta da raggiungere, ed allora non ce la fai più e vorresti spengere la luce. Per sempre. Quello che ci frega è pensare di non potersi mai ritirare dalla partita, anche se il campionato continuerebbe lo stesso con o senza di noi. È distruttivo pensarla così? Secondo me no. Il gabbiano dall'alto si isola dal resto dell'umanità ma decide di tornare a farne parte dopo aver ponderato attentamente ogni soluzione. E forse è così che trova la via migliore: ascolta sé stesso e si lascia guidare dalla natura. Tante volte vorrei davvero trasformarimi in un altro essere. Lo vorrei a tal putno che mi chiedo il perché tra tante combinazioni possibili in questa parte di universo, le cellule che compongono la scatola della mia anima, si siano aggregate proprio in questo senso. Avrei potuto diventare una pianta, un batterio, un insetto… Invece ci sono io. Ci siamo noi. "L'uomo è un animale politico, economico, sociale…". Reminiscenza di qualche lezione di antropologia. A parte questi aggettivi appioppati alla nostra specie da chissà quale illumianto pensatore, non credo di aver bisogno di molto di più di quanto non richiedano gli latri esseri per vivere. Come mai allora sentiamo dentro di noi una tempesta perenne, come se ci trovassimo al centro di un campo magnetico impazzito? Forse perché della vita consumiamo solo quello che c'è in più, lasciando appassire ciò che rimane di veramente essenziale in noi.
"Devo rotrovare il vento favorevole, forse non sarà dopo questo viaggio ma voglio aspettare dall'alto, come il gabbiano prima di planare".
La porta a vetro dello scompartimento si mosse nel senso dell'apertura seguita da un sordo fruscio. Solo in quel momento, mi resi conto che stavo tutta sbracata sul sedilen il bustoo mezzo sdraiato dalla parte del poggiamani e le gambe abbandonate sotto ai bocchettoni del riscaldamento. "Biglietto!". Mi ricomposi prontamente estraendolo dalla tasca dei pantaloni.
Avevo evitato di metterlo in borsa proprio perché non mi andava di fare tanta fatica a cercarlo e per poi rimetterlo a posto. "Va bene!". "Chissà se ogni volta che entra in uno scompratimento chiede la stessa cosa a tutti?". Dall'intonazione pareva di sì. Quella voce non sembrava uscita da una persona ma da un nastro registrato, tipo quelli del numero verde.
Mi ero distratta seguendo il foli degli altri pensieri che quella presenza improvvisa aveva provocato. "Chissà dove abita? Quante volte farà su e giù per la stessa linea? Penso che sia noioso, soprattutto quando becca qualcuno senza boglietto. E se quello non vuole pagare…".
Ormai avevo rovistato sufficientemene tra i sedimenti della memoria e mi potevo dedicare ad altre considerazioni. Mi scoprii angosciata nel pensare alle persone che in quel momento stavano lavorando per far viaggiare quel treno su cui c'ero anch'io. "Ecco la mia piccola parte di polvere da tirar su, il mio sassolino da spostare, che ne farà spostare un altro, poi un cameriere sfrecciare da un tavolo all'altro con ogni genere di cibo in mano, sempre all'erta per accontentare le richieste dei clienti. Qusto tipo d'angoscia mi era venuta da qando anch'io avevo fatto la cameriera in un locale alla buone e sempre pieno di gente. Quel lavoro era durato pochi mesi che bastarono a farmi capire la differenza tra "lavoro duro" e "lavoro" e basta. Ricordo che ero impegnata da metà pomeriggio fino alle due di notte, più il Sabato e la Domenica anche per il prenzo, ovvero 16 ore non-stop, con turno di riposo il MArtedì
Ricordo il puzzo di fritto misto che si impadronisce di abiti e cappelli, che, quando vai a letto, ti da la nausea ed il mattino dopo sembra che ti abbiano cucinato sul cuscino, ricordo il mal di schiena perché non puoi metteri neppure un attimo a sedere, ricordo che toccava semrpe a me pulire in terra prima di chiudere cvisto che ero l'ultima arrivatan ma lo facevo volentieri perché saperco che sarebbe stato così per sempre. "Grosseto… ma che ore sono? Le sette". Non mi ero mossa di un millimentro per tutto il viaggio, a parte per il biglietto. "Che sacco di patate! Dai, alza il melone e fatti u giretto!".
Fuori dallo scompartimento l'aria fredda invadeva il corridoio esterno soffiando dai finestrini aperti, e mi risvegliò completamente. IL treno correva veloce. Respirai prifondamente per sentire l'odore di quel posto: sapeva di fumo, di chewing-gum e plastica.
L'odore tipico dei treni, di quelli scompartimenti. Quelli con le poltroncine sanno anche di polvere ma fanno poco "Orient-express", sono meno romantici, troppo luminosi, poco intimi, poco confortevoli.
Appoggiai la fronte al vetro. Avevo paura di sporgermi. Fuori era già buio. Chiusi il finestrino e rimasi a guardare le lucine di qualche paese che scivolano via. Non era divertente stare lì imbambolata a fissare il vuoto. Avrei preferito viaggiare di giorno per godermi il panorama. Sbirciai appena nello scompratimeto alla mia destra: c'erano quattro ragazze all'incirca della mia età. Tenevano la scorrevole aperta e parlavano ad alta voce per contrastare il rumore del convoglio. "Non posso provare a casa, mio padre non vuoe. Fa di tutto per scoraggiarmi. Dice che se voglio mi posso esercitare in conservatorio, ma come faccio se devo seguire le lezioni?" - "Io ho trovato una solzione, sai ho dei vicini che… magari anche loro hanno ragione, ma non posso fare un accordo neppure all'ora di pranzo!
Così mi sono arrangiata: tutte le volte sciaquo le corde. Senza grasso vobrano meno, fanno solo fruscio, ma la nota la prendi comunque". Questi all'incirca erano i discorsi che avevo captato tendendo l'orecchio in quella direzione. Poi avevano cominciato a parlare fitto fitto di un concorso per violinisti. Dentro di me augurai a quella con ilpadre rompi-palle di poter vivere della sua passione, di tenere duro, di potercela fare. Anche a me erano stati messi i bastoni frale ruote: ormai era tanto che non disegnavo più. Tommaso invece non faceva altro. Mi piaceva vedere la mia figura ritratta. Ero stupita di quanto fossi bella nel bianco e nero dei suoi bozzetti. Possibile che mi vedesse davvero così? "E comunque vedi" - mi stavo dicendo- "la mela non cade mai tanto ontana dal suo albero". Cominciavo a capire: quello che mi legava a T. forse, era proprio il fatto che fosse riuscito a fare ciò che io non avevo potuto, come se con lui mi fossi presa una rivincita; una magra consolazione, una ripicca, per rovinare tutto!". Rimasi turbata dalla violenza che questa rivelazione mi scatenò dentro.
All'improvviso, per caso, scoprivo in quell'istante la verità, scalfivo la crosta dei sentimenti.
Dentro di me cresceva un rancore assordante, inappagabile e mi voltai di scatto come a volermi difendere. Nello scompartimento alla mia sinistra c'era un ragazzo seduto, indossava una divisa da militare, poggiava i gomiti sulle ginocchia tenendosi il mento con una mano.
Cercai di sostenere il suo sguardo ma visto che non mollava ripresi a fissare il buio e dopo poco tornai al mio posto. Doveva avermi vista subito, appena ero uscita nel corridoio.
Quanto tempo mi ero trattenuta fuori? Quindici minuti circa. Mi fece piacere pensare cje fosse stato lì tutto il tempo a guardarmi. Indossavo dei pantaloni aderenti color verde bottiglia con le tasche ai lati in cui mi sentico scolpita. La frivolezza e la malizia di quel particolare mi avevano aiutata ad accantonare i miei pensieri neri.
"Si può, è libero,". MA che sorpresa! Certo ci vuole una bella faccia tosta! E se io mi mostrassi antipatica e gli dicessi di no?! Non avrà mica brutte intenzioni? - "Si, si…" risposi sorridendo appena, ritirandomi vicino alla mia roba con le gambe accavallate. "Non vorrei disturbare ma è da quando sono salito a torino che stò zitto!". Indossava la mimentica e gl anfibi; classico borsone dei parà al seguito e capelli coritssimi. Non mi sembrò per nulla pericoloso anche perché si era seduto molto distante, dall'altra parte della cabina: io vicino al finestrino, lui accanto alla scorrevole aperta. "Piacere Fabrizio!" - "Alessandra" - spostandomi per accolgiere il suo gesto di stringermi la mano. "Da dove vieni?" - "Io da Livorno, e ti dove vai?" - "A Roma, sono di Roma. Faccio il militare a Torino. Questo mese è l'ultimo poi torno a casa." - "Ah bene, sarai contento!?" - "Mica tanto…". Chissà perché spesso si è più propensi a parlare di noi con le persone che non coosciamo affatto. "Come mai? Hai lasciato qualcuno su?" - "No, sono libero, ma il fatto é che dopo quasi un anno fuori casa, mi sento cambiato. Non ho proprio voglia di ritoranre a fare lo studente, il figlio, il ragazzetto. Non sono più così io. E poi forse mi piaceva la caserma." - "E perché non rimani?" -"Si ci sto pensando, non lo so ancora. Anche se sento che faccio uno sbaglio se non resto." - "Allora firma e resta dove sei!" - "Si, potrei, ma non so spiegarlo neanche a me stesso: mi sento come quando uno va alle corse e sa che quel cavall srà vincente, ma non lo gioca. In fondo chissà, forse è più bello avere qualcosa da desiderare, forse non mi aspettavo che sarei cambiato così. E te dove vai?" - "Da mia cugina, in Abruzzo." - "E cosa fai a lIvorno?" - avrei voluto dirgli che facevo la commessa, o la barista, o qualsiasi altra cosa, ma le parole "lavoro in banca" proprio nonmi uscivano dalla bocca. Mi sembrava di volermi dare un tono, di avere la puzza sotto il naso, così risposi vagamente: "Faccio l'impiegata…" - "Ah, e ti piace?" - "No, fa proprio schifo!"; Mi pentii subito di aver tirato fuori quella risposta. La trovai irrispettosa per tutti quelli che sono disoccupati, ed anche per lui che non conoscendomi avrebbe potuto inquadrarmi come una un po' nevrotica e viziata.
"Cioé, non è che mi fa priprio schifo, è che non mi sono inserita bene, sa è un ambiente… si insomma, ognuno pensa per sé. E tu cosa facevi prima di partire per il militare? - "Studacchiavo, facevo lettere" - "Non ci posso credere, è una coincidenza!
Anch'io andavo a lettere" - "Ah si? E poi hai finito?" - "Non, non mi interessava più. Ma te come mai hai scelto il servizio di leva? A lettere sono tutti obiettori!" - "Si, ma io non ho la stoffa per fare l'intellettuale. E poi secondo me quelli sono tutti dei falsi populisti, hanno attaccato il cervello al muro e tanto per farsi sentire cominciano a criticare tutto e tutti"-
"Si è vero, è tutta gente che ha dei problemi… ma di mente dico! Ogni volta che andavo in facoltà mi sentivo la pecora nera, ma pietra dello scandalo, sai non avendo la faccia ricucita di metallo, vestita dosì, troppo asettica per quelle zeccacce!" - "Come fai a conoscere questo termine, non è toscano mi sembra?!" - "Lo so, me lo ha insegnato mio cugino, è di Roma anche lui. Comunque se posso darti un consiglio, io non rimpiango di aver smesso: preferisco sopportare il capo a lavoro e beccarmi lo stipendio, piuttosto che stare sempre a dipendere dai genitori. L'unica cosa è che vorrei un lavoro più tranquillo, meno competitivo.
Te sei avvantaggiato, sai già cosa ti piace!" - "Eh si, mi sa che ti darò retta… magari questo incontro, questa chiacchierata, sono un segno del destino". Ormai avevamo rotto il ghiaccio.
Le nostre posture manifestavano chiaramente che non ci sentivamo più a disagio. Adesso stavamo seduti vicino, l'uno di fronte all'altra e parlavamo sorridendo guardandoci negli occhi. Mi fece tenerezza: si sentiva colo ed era venuto a scambiare due parole con me senza porsi il problema che avrei potuto interpretare male la sua confidenza. Forse so era fatto avanti perché mi aveva vista sola, forse avevo anch'io l'aria di una che ha bisogno di parlare. "Cosa ti è piaciuto di più durante quest'anno fuori casa?" - "Mah!, un po' tutto… forse la possibilità di essere indipendente, fare un lavoro dinamico, utile. Poi ho conosciuto ragazzi di tutta l'Italia. È bello, non ti senti diverso o solo, perché siamo tutti diversi, ognuno parla il proprio dialetto è un'esperienza". "Hai il ragazzo?" - "No." - mi era venuto spontaneo! Non era la verità, ma neppure una bugia, perché più quel treno mi portava via, più mi sentivo libera da ogni legame, come se non appartenessi a nessuno e a nessun posto, totalmente proiettata in un futuro che desideravo diverso. La domanda brusca ed inaspettata che Fabrizio aveva tirato fuori mi aveva sorpresa, e, non posso nasconderlo, lusingata. Non l'aveva fatta casuammente, tanto per parlare, visto che inclinava la testa e si mordeva le labbra, nervosamente. "E te?" - No, io il ragazzo non ce l'ho mai avuto!". Scoppiammo a ridere, tra noi due si era creata un'intesa maliziosa. "Sai che mi hai fatta arrossire prima quando ero in corridoio?" - "Ah si? E perché?!" -
"Perché??? Ma ti sembra normale fissare una in quel modo? Non la smettevi più!" - " È veroo, l'ho fatto apposta, ma ti sei girata appena in tempo; stavo per voltarmi anch'io. Devi avere un bel caratterino!" Il treno rallentò: "Siamo già a Civitavecchia. Accidenti, potevamo incontrarci prima, ci saremmo potuti conoscere meglio. Sei simpatica sai? Un'altra al tuo posto sarebbe rimasta tutta sulle sue senza filarmi" - "Ehi, ma ocosa ti credi? Guarda che io sto sulle mie, non pensare di poterti prendere troppe confidenze caro il mio soldatino! Ho solo una buona educazione" - "Allora siccome anch'io sono ben educato ti offro una cena! Panino e aranciata, facciamo a metà?" - "Ok!". Mi ero proprio lasciata andare. Ma si, ogni tanto fa bene prendere quello che viene, la vita regala così poche soddisfazioni. Stavo bene, e non mi succedeva da tanto tempo di sentirmi così spensierata. Perché non mi sarei dovuta comportare liberamente, tanto Tommaso avrebbe fatto una brutta fine comunque. Ci eravamo divisi il panino tirato fuori dal borsone ed avevamo bevuto alla stessa lattina. Era stato intimo appoggiare le labbra dove le aveva appoggiate lui e sentire ancora il suo calore sul metallo. Ad "ostiense" ci fermammo dieci minuti la gente era già uscita dagli scompartimenti e faceva la fila pronta ad uscire : " Anch'io mi dovrei preparare. A Termini devo prendere la coincidenza per l'Aquila" - " Peccato il tempo è colato, e noi non ci lasciamo così? Nessuna speranza di rivederci?" - "Si, lasciamo fare al caso, non è più bello? Così in qualunque posto ed in qualunque momento potremo sperare di incontrarci all'imlprovviso; sarebbe una sorpresa, ti da un po'quella sensazione di essere spiati, no, non proprio spiati… insomma di essere al centro dell'attenzione, che ne so, tipo "Grande Fratello" - "Cioè?" - "Cioé che magari ti vedo da lontano, aspetto a chiamarti perché non ti riconosco bene, ti seguo, ti scruto capito? ma tu non farti trovare con un'almtra se no finisce il gioco!" - "È un trovata un po' strana, ma non ti voglio forzare. Magari da qui a quando siamo arrivati cambi idea!". Ci pìreparammo ion silenzio ed uscimmo per metterci in coda agli altri. Io stavo appoggiata al finestrino con un fianco, lui dietro di me, molto vicino. Ad un certo punto mi passò un braccio attorno alla vita: lo lasciai fare. Stavamo bene, sembrava naturale. Scambiammo ancora poche parole sul tempo che faceva, perché piovigginava, sull'ora che avevamo fatto, ed altra cose così e mi sembrava di conoscerti da anni. "Quando scendiamo ti accompagno al binario,".
Lo aveva appena sussurrato appena al mio orecchioper non farsi sentire da tutta la gente che era li in fila come noi.
Risposi con un sorriso, e mi appoggiai a lui ancora di più; volevo fargli capire che mi piaceva, che non volevo che smettesse. Roma Termini. Scendemmo, gli lasciai prendere le mie cose senza fare complimenti, cercammo il binario, ci avviammo insieme. La coincidenza era già lì. Montammo.
Non c'era quasi nessuno a parte qualche pendolare assonnato. Lui mi aiutò a mettere tutto a posto, poi lo riaccompagnai all'uscita. Rimasi sul predellino dell'apertura. "Grazie!" - "Per cosa, non l'ho fatta mica gratis!" - "E quanto vuoi?" - "Un numero a dieci cifre"- " Sei troppo caro, la prissima volta mi sceglierò un altro facchino" - "Allora non ahi ancora cambiato idea, non vuoi che ci scambiamo i numeri di cellulare?" - "'Dimmi il tuo, se me lo ricorderò vorrà dire che era destino. Comunque mi ha fatto bene conoscerti, e non sai quanto" - "Anche a me, e spero che questo treno non parta più!" - "Nonmi avrai mica fatto sbagliare binario!" - "No, ma spero in uno sciopero lampo. Potresti fermarti da me sta sera!"- "Mi dispiace per te ma ho dei parenti a Roma che mi ospoterebbero senz'altro, e poi esistono gli alberghi ma… semmai dove mi porteresti?" - "P^rima al Gianicolo per vedere tutta la città illuminata, poi a cena a Trastevere, dopo potrmmo passeggiare nel centro storico tra le rovine del colosseo e del Tempio delle Vestali. Poi ti porterei a Fontana di Trvi per buttare la monetina ed esprimere il desiderio di stare ancora con te." - "È bello, mi piacerebbe fare tutto quello che hai detto. Sai, la gente che ci vede penserà che stiamo insieme!" - "Allora facciamo che fino a che il treno non pìarte stiamo insieme davvero". E ci fu un bacio dolcissimoe lunghissimo. OCme quelli delle pubblicità dei diamanti! Il fischio del capo-stazione che aveva cominciato a chiudere le porte sbattendole forte, aveva dato il segnale: fine delle riprese. "Ciao Fabrizio, tanti auguri" - "HGrazie, auguri anche a te, sei in gamba? Ciao." - "Ciao".
Rimasi affacciata fuori fino a che non mi accorsi di essere ormai nel buio.
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Premio Angela Starace 2002
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 Ins. 10-01-2003