Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Alberto Zaniboni
 
Con questo racconto ha vinto il quarto premio del concorso Vittorio Tolasi 2000, sezione nerrativa
 
 
Errore di prospettiva
 
Appena Maffeis ebbe chiusa la porta del suo studio, il dottor Zanacchi sprofondò nella sua poltrona di pelle scura, tirando un sospiro di sollievo.
"È stato difficile, ma è andata" fu il suo primo pensiero. Ma la sua mente non riusciva a fermarsi. "Sono stato attento a misurare le parole, e poi che diavolo di parole vuoi usare in questi momenti? Ha un carcinoma, comunque glielo dici, ha un carcinoma, e pure esteso, con metastasi già dappertutto... Cosa ci posso fare io?" Provò a distrarsi prendendo le radiografie di una certa Diana Carpi, 47 anni, sospetta macchia ai polmoni, ma non riusciva a staccare del tutto.
Forse per il fatto che il Maffeis non aveva neanche detto una parola. Era uscito, quasi come era entrato, stringendo la mano, magari con una sorriso più forzato, ma pur sempre con un lieve ed inspiegabile sorriso.
Dall'altra parte della parete Angelo Maffeis, chiusa la porta alle proprie spalle, camminava per i corridoi con passo lento e calibrato. Guardava fisso avanti a sé senza scorgere nulla, teleguidando i suoi occhi a trovare al più presto la porta automatica con in alto la scritta Exit verde fosforescente.
Mai avrebbe pensato di sentirsi pronunciare quelle parole, ma soprattutto mai si sarebbe aspettato di avere una reazione simile a quella che gli capitava. Avrebbe dovuto piangere, cadere in preda ad uno sconforto inesorabile e tremare.
Invece sentiva solo una specie di freddo penetrargli nelle ossa (nonostante la calura opprimente di quel maledetto 12 luglio) e una stanchezza lontana risalirgli le vene.
Guadagnata l'uscita, l'effetto della sia pur debole aria condizionata svanì di colpo, a contatto con la pesantezza dell'afa di mezzogiorno.
Non gli riusciva di pensare a niente. Vedeva solo il volto fermo e controllato di Zanacchi sillabargli la condanna e preannunciargli l'inizio del conto alla rovescia.
E rivedeva come in una zoomata fotografica le sue labbra fermarsi ed articolare con precisione chirurgica la parola "carcinoma".
Poco fuori i cancelli dell'ospedale un lungo ed ampio viale alberato sembrava invitare i passanti a tornare nel mondo dei viventi, sembrava richiamare proprio lui a specchiarsi nei suoi 41 anni, costellati di successi presso le sale di tutta Europa.
Alzando istintivamente gli occhi al cielo le sue palpebre si inondarono di luce, lasciando i suoi occhi in preda ad uno sfavillante buio luminoso.
Decise di sedersi sulla prima panchina in pietra grigia che si trovava in ombra lungo il vialetto in ghiaia del parco.
In quel momento avrebbe voluto avere con sé il proprio violino. Non per suonarlo, no, solo per potervi appoggiare il mento ed ascoltare l'eco lontano che la leggera brezza ora presente produceva sulle corde, leggermente sfiorate. E per un attimo le sue mani si portarono in posizione, come ad accarezzare lo strumento invisibile e leggero, i suoi occhi si chiusero e il tema del primo tempo del Concerto n° 3 parve per un attimo materializzarsi in quella sua memoria irrimediabilmente colpita.
Ma le parole di Zanacchi lo riportarono presto a guardare in faccia la realtà. Ora i pensieri si articolavano con più raziocinio ed era possibile ricostruire, per quanto potesse servire a qualcosa il farlo.
"Mi resta poco e sarà tutto finito. L'ha detto chiaro. Ero stato io a chiedergli di non nascondermi niente. L'ho voluto sapere io. Sembrava imbarazzato, chissà se era vero o se fingeva".
Restò a lungo a fissare immobile le foglie di un grande salice che si ergeva proprio a cinque metri dai suoi piedi.
"In fondo cosa posso pretendere? Non lo sapevo forse che un giorno sarebbe capitato? E che differenza fa se capita oggi o capiterà fra vent'anni? Potevo forse prepararmi? No, o forse sì, dovremmo prepararci tutti, fin da piccoli, e invece...".
Il cinguettio festoso di due passeri, che si libravano nell'aria rincorrendosi in sontuosi volteggi, interruppe il corso dei suoi pensieri. Li seguì con gli occhi fin dove poté.
"...e invece crediamo che possa durare per sempre, che non ci toccherà mai, che nessuno arriverà mai a pronunciare il nostro nome in cima alla lista dei partenti. Poi incontri uno Zanacchi qualunque...".
Un'anziana signora cercava di poggiare il bastone stabilmente a terra, sfidando la scivolosità della ghiaia. Ogni passo sembrava tradire incertezza, tanto più che la schiena ricurva in avanti portava il peso di molte fatiche.
Maffeis la osservò passare ed andare oltre, lievemente tremante, affidata alla resistenza di quel legno color ciliegio che stringeva forte con la mano destra.
"Chissà cosa sta pensando ora - si disse Maffeis seguendola con lo sguardo mentre si allontanava - chissà se è pronta, se si è preparata, se sta aspettando, chissà..."".
Socchiuse gli occhi al pensiero del volto di Floriana in lacrime. "Aspetterò a dirglielo - pensò deciso senza neanche sapere il perché - aspetterò".
Quindi, rialzandosi, iniziò a vagare senza una meta precisa per le vie della città, fino ad arrivare al grande bosco vicino alle acciaierie Forti in periferia. Camminava respirando a pieni polmoni, come fossero gli ultimi respiri, come a voler trattenere quell'aria che presto gli sarebbe mancata per sempre. E mentre camminava si guardava in giro pieno di meraviglia per tutte le cose di cui si accorgeva per la prima volta. Aveva vissuto senza vedere ed ora, che riusciva a vedere chiaro tutto ciò che lo circondava, la vita lo stava lasciando. "È vero - pensò accennando a un sorriso - bisognerebbe vivere due volte".
 
Rincasò verso le sette e mezzo. Non aveva voglia di cenare.
Quella sera l'avrebbe passata a cercare di ricostruire, di ricostruirsi, l'avrebbe spesa a ripercorrere il cammino di una vita, aprendo l'album dei ricordi per ritrovarvi i momenti belli, quelli per cui era valsa la pena arrivare fin lì.
Appoggiando distrattamente sulla credenza la lista di medicinali che l'oncologo gli aveva prescritto ("a che serve prenderli? Forse per allungare l'attesa?"), notò la luce della segreteria telefonica lampeggiare. Premette stancamente il bottone per ascoltare i messaggi della giornata. C'era Dante che informava della prova in teatro di lunedì mattina: era stata spostata alle 14.30 per un impegno improvviso del direttore; poi Monica voleva sapere se aveva bisogno di qualcosa al supermercato, visto che lei ci doveva andare nel pomeriggio.
Angelo sorrise amaramente al sentire le due voci amiche.
Mormorò solamente: "Se sapessero...". La segreteria sembrava aver terminato con i messaggi, ma non si sentiva il nastro riavvolgersi. Sembrava esserci ancora qualcosa che stentasse a partire.
E infatti, dopo un lungo silenzio, partì.
"...Signor Maffeis... sono Zanacchi... il dottor Zanacchi... devo scusarmi... c'è... c'è stato un equivoco".
La voce era cupa, quasi affannosa, alla ricerca dei vocaboli appropriati.
"Sono davvero mortificato... si tratta di un tragico caso di omonimia. La sua cartella clinica è stata scambiata, abbiamo controllato le date di nascita... lei... lei non ha quello di cui abbiamo parlato stamane... lei non ha niente... sono molto dispiaciuto... è stato un tremendo sbaglio... se volesse richiamarmi sono a sua disposizione in qualunque momento...".
Click. Riavvolgimento.
Angelo Maffeis rimase a lungo fermo immobile a fissare la scatoletta posta accanto al telefono. Non riusciva neppure a sorridere.
Quindi, avvertendo un forte dolore salirgli dallo stomaco, si sedette barcollante sul divano. Da sotto il mobiletto spuntava l'album di fotografie in cui sua mamma aveva scritto in bella calligrafia: "Angelo 1963 - 1967". Lo prese con un movimento delicato della mano e cominciò ad accarezzare la copertina in similpelle, senza accorgersi che sottili lacrime stavano lentamente solcandogli il volto.
"Devo prepararmi", fu il suo primo pensiero nel rivedere le sue gambine saltellare in bianco e nero sulle rive del Lago Maggiore. "Devo prepararmi".
 

 

Classifica Concorso Vittorio Tolasi 2000 sez. narrativa
 
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inserito il 19 dicembre 2000