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I libri dei nostri autori

Riflessi di luci velate

Pedinotti Maria Rosa, "Riflessi di luci velate", pp. 32, Lit. 6.000, Montedit, collana "Le schegge d'oro" (i libri dei premi),Giugno 1997, ISBN 88-86957-09-2
L'autore ha ricevuto 100 copie in omaggio da Il Club degli autori quale 5° premio del concorso letterario Poeti dell'Adda

Prefazione di Bianca Cerulli
Lievi lievi, le poesie di Maria Rosa Pedinotti si posano nell'orecchio di chi legge, di chi ascolta. Lì si fermano un attimo, cullandolo con il loro dolce suono. Poi scendono nell'anima come un sospiro di serenità. Sì, questo soprattutto traspare dalle intense, concentrate liriche della poetessa: una grande serenità. Banditi tutti gli inquietanti interrogativi filosofici, per dir così, che da sempre tormentano l'uomo; allontanati gli spettri dei drammi grandi e piccoli della moderna quotidianità, la Pedinotti restituisce alla poesia una dimensione quieta ed estatica, contemplativa. In questa dimensione ella stessa si scioglie, facendosi tutt'uno coi sognanti paesaggi disegnati con pennellate di brillanti colori. Così vediamo schiudersi, come un fiore al mattino, una natura leggiadra e profondamente pervasa di una sua intrinseca religiosità. Come in Occaso, dove la finale invocazione a Dio non ha nulla del richiamo disperato a un onnipotente troppo spesso dimentico delle sue creature; al contrario, tutta la lirica è un crescendo di emozioni, legate alla grandiosità del paesaggio, che quasi inevitabilmente finisce con l'elevare il pensiero alla divinità che dispensa ogni giorno, senza chiedere nulla, il dono del tramonto.

Il paesaggio, come si accennava, è una componente importante delle poesie contenute in questa raccolta. Talvolta l'ispirazione nasce da particolari minuti, come i piccoli voli / fuggiti / dal pino / del giardino; talaltra, invece, sono i suggestivi e sempre nuovi spettacoli della natura a offrire lo spunto per la meditazione. In ogni caso, comunque, si tratta di un paesaggio e di una natura profondamente umanizzati, percepiti come parte integrante di un tutto in cui anche l'uomo si fonde armonicamente. La natura diventa così una grande metafora dell'animo di ognuno. In essa è possibile trovare un inesauribile serbatoio di simboli per proiettare fuori di sé le proprie emozioni e vedersele ritornare come lavate e purificate da tutte le piccole e meschine passioni che legano l'uomo a una condizione esistenziale di infelicità e insoddisfazione. Non si pensi che questo atteggiamento rechi con sé una passiva accettazione del caso, una rassegnazione magari confinante con l'immobilismo. Compito dell'uomo resta quello di viaggiare: c'è ancora &endash; recita la poetessa &endash; un puledro focoso / che risveglia / il mio animo ribelle; / vi sono vele spiegate / verso l'ignoto. / E lo spirito / d'Ulisse / non s'acquieta, / vira il timone / verso est / a ricercare / il sole nascente. Il messaggio è forte: che non si arresti l'uomo, che prosegua nel suo cammino di conoscenza, sperimentazione, rischio. È proprio questo che lo porterà al sole. Eccolo qua, il sole, simbolo di grande potenza che ritorna spesso in queste liriche. La notte &endash; si legge ancora &endash; è preghiera di sole. O, di nuovo: voi non sapete ascoltare / il sorgere del sole. E anche quando non è esplicitamente nominato, è facile immaginarlo negli sprazzi di luce che illuminano i versi, nei cieli tersi e persino nel riverbero delle stelle.

L'esercizio della contemplazione richiede un linguaggio adeguato, e questo la Pedinotti mostra di averlo ben compreso. I versi sono brevi, talvolta brevissimi; ma non spezzati, sincopati. Sono, come si diceva, musica lieve; si stemperano senza forzature e sbalzi di tono ma con costante delicatezza di sentire. Anche le parole, scelte non certo a caso, ricercano soprattutto effetti di leggerezza, quasi di levità: e in questo senso abbondano aggettivi quali lieve, tenue, lento, piano. In tal modo, oltre a dare a tutte le liriche una note intimistica, la Pedinotti conferisce anche al dolore &endash; ad esempio quello per la perdita del padre &endash; una qualità più sottilmente malinconica che lo fa somigliare a una lacrima tiepida sgorgata da un occhio lucido, non arrossato. Un dolore che è pena, sì, ma non disperazione. Così come il dolore, anche il trascorrere del tempo subisce una metamorfosi; il tempo, che in buona parte delle liriche sembra essersi fermato, altrove viene percepito come un piano: l'immagine preferita è quella della distesa di sabbia (i miei piedi / camminano scalzi / lasciando / sulla sabbia / impronte senza fine...). Non un movimento ascensionale, quindi, un arrampicarsi verso la vetta della propria esistenza; il tempo è una retta infinita appena lambita dalla vita dell'uomo: la mia vita / l'ho scritta / su sabbia fine / facilmente cancellabile … Ma, pur con questa consapevolezza, o forse proprio grazie a questa, la poetessa non rinuncia a lasciare le sue, di impronte, consapevole com'è che vivere sia il più bel mestiere che all'uomo è dato praticare.

Bianca Cerulli

 

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