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Maria Luisa Borzaga

 

Maria Luisa Borzaga si è classificata 9a nel settore narrativa del concorso Il club dei poeti 1997 con questo racconto

 

Vivian

 

Era in un piccolo paese di montagna che Vivian arrivò a tarda sera di un inizio di settembre.

Le strade erano illuminate da una tenue luce. Fermò la macchina al centro della piazza, vicino ad una fontana che zampillando creava uno scenario da fiaba e dove alcuni ragazzi ridevano chiassosamente.

Scese, si presentò e si informò per trovare un albergo dove passare la notte. Qualcuno del gruppo si offrì per accompagnarla ad una pensione lì vicino.

Chiese una stanza, salì e richiudendosi la porta alle spalle sentì tutta la stanchezza accumulata durante il viaggio.

Rimasta sola Vivian ripensò alla sua famiglia. I suoi genitori ignoravano che fosse a pochi chilometri di distanza da casa, ma per ora non voleva rivederli, doveva diventare più forte, liberarsi dalla commozione che provava considerando che tra non molto avrebbe dovuto separarsi per sempre da loro. Dopo una doccia ristoratrice si sdraiò sul letto, ripercorrendo con la mente quello che le era accaduto in quest'ultimo periodo.

Tutto era incominciato sei mesi prima con un dolore fastidioso allo stomaco. Per un po' di tempo Vivian lo aveva attribuito allo stress creato dal lavoro e non se ne impensierì, ma quando il male diventò insistente si decise a sottoporsi ad alcuni esami. Si recò a Milano nella clinica dove lavorava Daniele, un carissimo amico di cui si fidava. Finiti i vari accertamenti fu proprio lui a comunicarle l'esito: dovevano intervenire il più presto possibile per asportarle un tumore allo stomaco. Vivian chiese a Daniele di mantenere il massimo riserbo e di non comunicarlo a nessun altro, la sua vicinanza le fu preziosa per superare l'operazione e nell'aiutarla anche dopo, durante le varie terapie che seguirono. Si sottopose ad ogni cura che i medici le avevano consigliato, pur sapendo che alla fine era solo un modo per prolungare di un po' la sua breve vita.

La sua famiglia credeva che il suo trasferimento a Milano dipendesse dal suo nuovo lavoro, certamente non potevano immaginare quello che stava passando. Ora, se le fosse riuscito, avrebbe dovuto riprendere qualche chilo perché così deperita di sicuro non avrebbe potuto nascondere a lungo il suo segreto. Le ci sarebbe voluto tempo, eppure il tempo era proprio quello che non possedeva, l'unica cosa che voleva evitare era di circondarsi di persone con gli occhi arrossati e amici premurosi fino alla nausea.

Erano tante le cose da fare e beffardamente tutto era prioritario; da quando il tempo non le appariva più eterno ma limitato ogni particolare della sua vita le sembrava importante.

Si alzò e andò a sedersi sul terrazzino della sua stanza, l'autunno era imminente e l'aria fresca che le sfiorava il viso l'accarezzava dolcemente. Guardando le stelle si immaginò di diventare luminosa in mezzo a loro, dopo la fine di tutto. Si rannicchiò sulla sedia tenendo tra le mani le ginocchia e appoggiandovi il mento, pianse. Le lacrime che scendevano, ancora tiepide, rigavano le guance, poi come acqua fredda cadevano sulle sue mani e scorrevano via libere verso quel buio che lei temeva, senza paura. Nella sua mente un tumulto di domande senza risposta.

Quando l'aria si fece più gelida Vivian rientrò nella stanza e si abbandonò sul letto. Man mano che le sensazioni di vuoto e di paura si allentavano si lasciò trasportare nel sonno. L'indomani si svegliò che ancora non era spuntata l'alba, s'infilò l'accappatoio e ritornò sul terrazzino ad aspettarla. Il cielo gradatamente cambiò colore e da dietro le montagne spuntò il sole. Non poté far a meno di considerare che se pur il suo sonno era stato popolato da incubi, davanti all'esplosione del nuovo giorno, con tutta la sua bellezza, tutto si perdeva nel nulla.

Verso le nove, dopo la colazione, girovagò nei dintorni della pensione, trovò un piccolo mano vecchi mobili tarlati e pensò che in fondo assomigliavano un pochino a lei, portavano dentro il male che uccide solo che il suo era molto più veloce.

Uscì nuovamente alla luce del sole e raggiunto il parco si sedette su di una panchina. Si mise a riflettere su come gli uomini e così lei stessa scacciassero il pensiero della morte riempiendo le ore con più impegni di quelli che vi potevano stare, mentre ora doveva trovare il modo di far trascorrere il tempo a rilento.

35 anni a volte le erano sembrati molti, ma ora sentiva di dover lasciare molte cose incomplete, si chiedeva del perché non esistesse al mondo un antidoto contro la paura del male fisico e dov'erano spariti i bei discorsi che dopo la morte si tornasse a rivivere. Quando con i suoi amici si scherzava sulla morte, lei affermava che se un giorno le avessero diagnosticato un male incurabile avrebbe fatto il giro del mondo e tutte le cose che desiderava, ora era qui a cercare l'energia per non deprimersi. Quante volte si era sentita sola o soffrendo aveva creduto che il dolore appartenesse solo a lei, quante altre si era isolata dal mondo esterno precipitando dentro sé stessa senza accorgersi che gli altri avevano bisogno della sua presenza. Eppure ora era diverso, doveva star sola per non far trasparire la sua tristezza.

Non doveva abbandonarsi alla disperazione: se aveva scelto di tacere quello che le stava accadendo voleva dire che era pronta a lottare, quindi a reagire in qualche modo.

I suoi occhi si posarono su di un grande albero con i rami spezzati immaginò che qualche violento temporale lo avesse ridotto così. Era lì, come lei, senza parte di sé, eppure sorrideva maestoso al sole ascoltando il canto degli uccellini che si erano posati sui suoi rami sani. Ai suoi piedi alcune formiche trasportavano un cadavere d'insetto verso il formicaio, non si erano fermate davanti alla morte, era un avvenimento come tanti altri. Osservando quello che avveniva intorno a lei ricordò la nonna con tutta la sua saggezza, pochi giorni prima di morire le aveva detto che la natura, quando è il momento, richiama a sé ogni essere vivente, lei crea e distrugge senza che nulla venga perso nel vento, nessuno di noi è inutile, la morte non è che una porta che ci conduce alla serenità.

Quanti ricordi in questi mesi le erano tornati alla memoria cose che da tempo erano prigioniere nel più profondo del suo cuore ed ora senza timore affioravano in superficie perché potesse valutarle, riviverle con il pensiero per l'ultima volta. Si sentì fortunata nel possedere tutto questo bagaglio; non conteneva soltanto gioia, anche qualche dolore che allora le era sembrato insuperabile ma poi con il tempo si era affievolito e le era servito per imparare qualcosa.

Ricordò una sua poesia scritta per un amico morto troppo presto:«Quale parte di cielo devo guardare per rivederti ancora? Forse rivivi nella pioggia, nel sole, nel vento ma sicuramente in me».

Doveva imparare ancora a usare il tempo che le rimaneva senza sprecarlo inutilmente nel dolore, doveva vincere la paura di morire e riprendere la sua vita normalmente con al fianco proprio la morte come compagna, che comunque la seguiva dal primo giorno che aveva cominciato a vivere.

Passò circa due mesi in quel paesano, passeggiando nei dintorni fino a renderseli familiari, addentrandosi nei boschi e aspettando che il sole tramontasse dietro gli alberi ammirando la vegetazione e gli animale prepararsi per il riposo notturno, nei giorni di pioggia non usava l'ombrello, lasciava che l'acqua, scendendo su di lei, la sfiorasse silenziosa poi scivolasse via. Stava davvero riprendendo contatto con la natura camminando lentamente verso di lei, scoprendo soltanto adesso che la paura non era che una forma inerme, inattiva e senza vita.

In nessuno di questi giorni si perse l'alba che era sempre meravigliosa anche quando il sole non spuntava da dietro le nubi. Da quando non lottava più contro il tempo le sembrava che questi passasse adagio, perché il suo modo di vivere era cambiato.

Era pronta per tornare a casa, poteva affrontare la sua famiglia senza svelare il suo segreto ora aveva capito che nessuno al mondo era indispensabile, né eterno. Non poteva sfuggire al tempo, soltanto a lui era permesso fuggire via portando con sé la vita di ognuno, di lei comunque sarebbe rimasto il ricordo in qualcuno.

Ce l'avrebbe fatta a non farsi ricordare immersa nel suo mondo di dolore: era la sola e unica cosa che desiderava.

 


©1997 Il club degli autori , Maria Luisa Borzaga.
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