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I libri del Club degli autori

Petali di rose rosse

Capitoli diversi, quelli scanditi dalle parole della raccolta di Maria Antonietta Bertaccini, eppure raccordati nella continuità di una significazione che nel verso trova, ben al di là del tracciato consolatorio della rivisitazione, la volontà di accedere a nuovi traguardi attingendone le ragioni nella propria, struggente interiorità. Ogni lirica, certo, rappresenta uno spaccato memoriale. Un momento che rievoca emozioni a lungo sedimentate e colte con un linguaggio universale che ne eleva le immagini.
Ma è anche, al contempo, una confessione che dischiude i meandri di una personalità complessa che nelle illusioni e nelle sconfitte della vita ha trovato una ragione e un tramite per l'affermazione del proprio io.
Che il lessico sia quasi sempre cromatico, incisivo, assimilabile a bozzetti pittorici cadenzati, nello struggimento dell'anima, di romantiche definizioni è facilmente comprensibile in una donna che ha fatto dell'arte uno scopo per la maturazione di se stessa.
E di palese liricità non di freddo raziocinio si compone dunque ogni sua scansione, ogni sua proposta. Con velature e trasparenze, quindi e con strati espressivi in successione insieme ad un ordine non casuale di richiami, di spazi, di modulazioni e d'esaltazione della trama altrimenti insondabile della propria coscienza, nella ricerca di una libertà perduta, d'una verità ancora possibile.
Il tempo della memoria è incalzante opportunità per cogliere l'essenza del reale oltre i limiti del visibile riscoprendovi gratificazioni intimistiche, sì, ma anche una rinnovata disponibilità alla vita. Una suggestione, questa, che non appartiene al codificato quotidiano e che per essere compresa deve trovare innesti nel medesimo rapporto che la Bertaccini ha con gli eventi e con le cose.
Un viaggio nei paesi della speranza, potremmo dire, grazie al quale la silloge esce dal contesto soggettivo e si fa strumento di comunicazione dilatando il proprio messaggio in una proposta speculativa, esistenziale sostanzialmente d'amore, per simboli e allegorie accattivanti. Così, grazie all'espressione del verso, il destino - ogni destino - diviene più accettabile, mentre il sogno esorcizza quegli spettri che la coscienza non rimuove ed incunea, anzi, nel cuore.
Ecco nascere, allora, quella speranza, per Maria Antonietta Bertaccini - sicuramente - come per ognuno di noi.

Giulio Panzani


Ecco alcune poesie tratte dal libro:

 

Voglio perdermi
 
Voglio perdermi
in questi silenzi
dove il soffio del vento
dondola la tenda di lino,
e il sole, tra ricami intagliati,
entra e si ferma
sullo scaldino della nonna,
sugli ovali di antiche foto
di avi alle pareti,
immortalati tra cavalli,
ombrellini e colli di volpe.
 
Voglio perdermi
tra gli occhi dei girasoli,
scoprire dove dormono i caprioli
e dove il fagiano fa la corte
alla sua femmina.
 
Voglio cullarmi
nel silenzio del cuore
dove congelati sono i tuoi sorrisi
le tue carezze,
gli attimi sublimi
dell'amore vissuto,
da centellinare
quando arriverà la malinconia.
Voglio i fiori che mi portavi,
per sentirmi dire ancora: «Sei bellissima».
 

Un quarto di luna
 
Rideva l'estate
e il mare di cobalto
spumeggiava
regalando conchiglie.
 
Nella rena ondulata
che lascia la bassa marea,
noi due, camminavamo
inseguendo sogni d'arcobaleno
come iridescenti pesciolini.
 
Allora, rideva l'estate!
 
Lentamente ora,
vedo il sole morire.
Si chiudono gli ombrelloni,
trattengo ricordi infuocati
e accendo
 
un quarto di luna
per farmi compagnia.
 
La giacca di camoscio
 
Figlio mio, se ti vedesse tuo padre
indossare la sua giacca di camoscio!
 
Se sapesse che quelle piccole braccia
che strinse l'ultima volta a otto anni,
ora entrano nelle sue maniche!
 
Quella giacca unisce due generazioni
e porta ancora nelle tasche i suoi ricordi:
un biglietto del parcheggio e mille lire.
 
Padre, potessi vedere
tuo figlio cresciuto,
andare a scuola
col suo incedere elegante,
con la tua giacca,
voltarsi indietro
e salutar sua madre!
 


Il fiore
 
Non era primavera,
ma di gennaio e
grigio il cielo.
Lontano l'orizzonte
schiariva lentamente;
debole anelava
un fil di sole.
Un lunedì mattina
ci scambiammo gioielli
tu, un fiore di brillanti,
io, un fiore di bambina:
Elisa.
 


La scatola di latta
 
Ho aperto adagio,
quasi per non violare
i tuoi respiri,
la scatola di latta.
Dentro, una vita vissuta,
tra cucito e rammendo.
 
Le forbicine, gli aghi, il ditale.
Un puntaspilli
con stelle alpine ricamate,
bianche su fondo nero.
Ahimé sono tarmate!
 
Occhi guardinghi
sembrano i bottoni
di madreperla,
a guardia dei rocchetti
colorati,
in fila ancora,
come li hai lasciati tu.
Sotto di questi,
un metro arrotolato,
dei pizzi vari
e un ago già infilato.
 
Cara nonna Giovanna,
ho ritrovato
la tua lunga vita
dentro una scatola
di latta.
 
Non costa niente
la muffa che ne sale,
ma il sacrificio tuo sì,
donna immortale!
 
Sai, nell'angolino
a destra, dimenticato,
c'era un biglietto:
sottana mia,
larghezza cm. 82
lunghezza cm. 67.
 
Ho chiuso adagio,
la scatola di latta.
 
Vagabondar di gabbiani
 
Vagabondar di gabbiani
sull'onde azzurrate;
giochi d'ombre
la sera.
Cerco gli zoccoli sepolti
trovo conchiglie chiuse,
dentro: sogni d'amore.
Lontano ancora,
vagabondar di gabbianiŠ


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