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Ruzzini Marco
 
 
Io iato
 
Sommesso sussurro
la vita,
esalare tra frammenti
di specchio,
rilucere,
di passati diseguali
dai frastagliati bordi
aguzzi,
sconnessi fotogrammi
di esistenze non più nostre.
E quel che accade vi si getta
inesorabilmente in mezzo,
senza capo né coda,
senza pietà di noi
sempre annaspanti sul ciglio
e con le braccia tese
ad afferrare un domani
che non c'è più.
 

 
Senza titolo
 
Un giorno all'imbrunire, era forse estate,
scavai nel mio giardino, con le mani, tanto che
la terra mi entrò tra le unghie.
Scavai vicino al pozzetto, chiuso dal coperchio
di lamiera
sotto il ponticello che porta al mio uscio.
 
Scavai in fretta, come se dovessi trovare un tesoro
o qualcosa di molto importante.
La terra era bagnata e si staccava a piccole zolle
dalle quali sbucavano lombrichi contorti
in spasmi di orrore per l'aria e la luce.
 
Dopo un po' scavando sempre più
in profondità cominciai a trovare orologi da taschino,
strani cipolloni si staccavano dalla terra nera.
Erano tutti color del ferro e funzionanti,
ancora facevano tic tac, tic tac.
 
E non potendomi comunque spiegare
come potessero ancora camminare
li accatastavo a lato.
D'un tratto poi, mi parve fossero uova
livide e venate,
tolte da una tana di serpente.
 
Così ritrassi in fretta le mani
ma poi ancora erano orologi, questa volta
di soldati,
di soldati austriaci morti da queste parti nel 1915
il Piave è vicino, era forse una piccola fossa comune
per i loro orologi, i loro ricordi.
 
Non ho mai chiarito il nesso
tra il tempo il ricordo e la morte.
 

 
Corteo funebre
 
La querula voce
del vento sibila preghiere
per un cuore morto.
 
Predica di un corteo funebre
dove passioni come fiere
sfilano, l'anima
 
immemore, svuotata,
anonima e randagia
cammina su un sentiero
 
dove l'erba è stata bruciata
e un lamento lacustre
gorgoglia dal fondo
 
di una lontana vita passata.
 

 
Telegramma
 
Ognuno scriva
della sua vita irrisolta,
parabola di una parabola
destinatario sconosciuto.
Restituire al mittente.
 
Ognuno parli
della sua vita irrisolta,
ritrita cantilena,
pletora di vocaboli.
Voci postulanti.
 
Dio non ammette
spreco di francobolli,
né musiche
che non siano canti ancestrali.
Cori celesti.
 
Ognuno scriva
poche righe di telegramma:
QUI-TUTTO-BENE
SOLO-SI-MUORE-OGNI-TANTO.
FIRMATO-OGNUNO-STOP
 

 
Ferite
 
In primavera
I contadini battevano un tempo
i ciliegi,
con delle lunghe canne,
a spezzarne i rami più alti,
a ferirne la corteccia,
a lacerarne le foglie
nuove.
 
I frutti sarebbero stati
di più,
le ciliege sarebbero state
più grosse,
più rotonde,
pur cresciute dai rami
martoriati.
 
Poeti
dai
Cuori succulenti.
 

 
Senza titolo
 
Oggi non c'è che silenzio
così fino ad ora mi è parso
vivendo
 
Nel gran baccano di valigie vuote
di strade e piazze stordite
passando
 
Non c'è in verità anima viva
che dica solo quattro parole anche
ridendo
 
Potresti girare tutto il mondo
senza trovare due sole persone
parlare.
 
Scambiare
una sola parola è così raro
che se ci riesci ti senti realizzato,
 
baciato
dalla fortuna.
 

 
Senza titolo
 
Terso, voglie essere terso
come ciottolo sulle rive del mio fiume,
bianco, come cirro affilato in un cielo dalle
chiare geometrie.
Voglio un corpo di vetro
trapassato da mille rifrazioni,
né odori, né profumi, né umori.
Voglio una voce come soffio impercettibile
sussurrare una sola parole
continuamente,
incessantemente: «Nulla …nulla …nulla …»
 
Voglio una MORTE chiara
che non conosca il dolore, né il trapasso
annaspante,
né uno scendere lento nella montante paura,
solo vacuo non essere.
Voglio adagiarmi, gioiello nel sole al tramonto,
a mezz'aria, in un settembre senza temperatura,
e scivolare verso il nord in una scia di silenzio,
intangibile feretro.
 
Ma già la luna si affaccia alla mia finestra
il tramonto è finito, la mia penna trema.
Se ora mi guardassi allo specchio vedrei il suo volto,
il suo emisfero buio radicarsi sulla mia faccia
più nera che mai, di pece
come zucca marcita in cantina.
La passiflora si piega piano nel buio,
i suoi fiori orribili si sono chiusi e lei tenta,
stendendo i suoi tralci, di riavere il terreno,
di ristrisciare sulla terra
da dove la distoglie ogni giorno il sole.
 
La limpidezza non è nostra
per chiunque viva non può essere che così,
la pace non è nostra,
la cagna abbaia torbida al cielo
né più la fa tacere la voce del padrone.
Ogni anfratto è pieno di un respiro profondo,
vibrante di tensioni, di rimpianto, di brama e passione.
Cominciano dentro, i battiti, i colpi
la marea nera sale a tratti per poi ritirarsi
lasciando una spiaggia sgomenta di seppie nere
e morte, di meduse sciolte sul bagnasciuga.
 
Il male, come un fiore notturno, come il volo esasperato
di una falena attorno ad un lume,
torna ogni notte per riempire il mio corpo.
Il male informe, il male nero,
e così ogni notte cerco qualcosa
per spegnere …per spegnere …
sradicherò la passiflora per darle pace.
 
Poi nell'oblio disperato un sogno mi rapisce,
è il mio corpo che ancora navigando nel cielo
arriva, per frangersi finalmente
su pareti di ghiaccio
e perdersi nelle nevi perenni.
 

 
A mio padre
 
Ricordo i tuoi ritorni, rari, impreziositi
dalla quotidianità, i doni e la tua voce,
come filo di Arianna riportarmi alle tue assenze.
Ricordo i tuoi denti ingialliti
come zanne di pachiderma/
 
Ricordo ormai solo quello che non è stato,
pallido miraggio fluttuante
i pomeriggi in cui non c'eri, le cene in cui mancavi.
Ricordo una madre che ti perdeva
Come figlio morto lontano.
 
Ora la tua ombra è quella che scivola
dalla tua pietra,
che entra ancora allungandosi in me
per una via non battuta da voci
che porta a tutto il male del mondo,
al disilluso,
disincantato,
obliato,
recondito
sospiro.
Ombra che non sa parlare e rispondere
alle domande che ancora ti rivolgo.
Fantasma dei miei pensieri e dei miei sonni
agitati, come fronde di alti pioppi sotto un vento
incessante, come coste marine martoriate dal sale
e dall'eterno moto d'onda.
 
Padre, tu fosti un tempo solo pane e luce
e io non ti vidi nella morte. Ora sei una verità
che non posso più trovare nella fossa in cui ti mise
un vento di marzo, mentre io non c'ero.
«Tu non c'eri», è questo che la tua ombra muta
vuole sussurrare?
 
Padre mai morto, quel giorno le sedie
in cucina erano come sempre intorno al tavolo
e nel silenzio gli oggetti erano rimasti al loro posto,
anche il cavallino sulla credenza.
Quel giorno il giardino respirava nel tiepido
calore di una nuova primavera
e le persone non erano diverse, per strada.
 
Padre mai morto, semmai partito
un lungo, lungo viaggio e ancora aspetto i tuoi doni
e ancora il tappeto che portasti in un tuo ritorno
ha nelle sue trame piccoli granelli di deserto
dove arabi bianchi lo trascinarono.
 
Padre mai morto, la tua casa ancora si stinge
sotto le piogge estive
e la tua donna ha ancora due occhi chiari
che si accendono parlando di te.
Padre errante nei cieli e nei mari,
Padre mai morto, Padre scomparso.
 
Forse la tua anima riposa in una dimora remota
in un villaggio alle porte di Riad,
casa dalle pareti e dal soffitto blu come notte d'estate
che tu dipingesti ridendo tanto tempo fa
 
ed un lume acceso da una danzatrice
rinnova il tuo mito.
 

 
L'altra notte ho sognato
di una vecchia, nera cartomante
in un posto
mai esistito.
 
Sciolse il suo mazzo con ritualità
sgranando le lame una per una
e guardandomi
con occhi di corvo.
 
Le carte eran così consumate
così avvezze a scivolare tra le sue dita
e a leggere destini
che non avevano spigoli ed erano tutte
quasi ovali.
 
Ma quel che più mi sorprese
fu di constatare che anche le figure
che le lame recavano
erano così consunte da diventare
tutte uguali.
 
«Quale futuro avrò?»
chiesi guardando alla divina, peraltro già
scomparsa
e la risposta non fu che
silenzio.
 
Così forse è la vita
e può: saperlo chi ne ha viste tante
che i suoi occhi si chiudono dalla stanchezza:
il futuro di ciascuno è sempre uguale
se tralasciamo le inezie.
 

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