Testi dei vincitori del concorso
Il Club dei poeti 1998
MARCO MAZZOLI

6° Classificato

 

 

L'albero della miseria

 
In un giorno di pioggia nonno Silla venne a prenderla a scuola e la portò a casa in macchina, come faceva sempre quando il tempo era brutto. Fu così che, girato l'angolo dietro la scuola, lo vide salutare con la mano qualcosa che non riuscì a vedere.
Valentina era timida, specialmente col nonno, che la intimoriva con quei suoi baffoni grigiastri e il suo corpo massiccio e il panciotto sempre segnato dalla catena d'oro dell'orologio da taschino. Così non gli chiese chi avesse salutato, e per quel giorno non ci pensò più.
 
Ma le capitò ancora, quando il nonno nei giorni di pioggia o di freddo la riportava a casa da scuola, di notare quel gesto, si accorse più volte che non c'era nessuno e divenne curiosa, ogni volta di più. Così, quando il tempo era bello e rientrava a piedi; si fermava a guardare in quel posto per scoprire chi o cosa ci fosse da salutare.
Dietro la scuola, dove il nonno salutava, c'era un pezzo di viale tra una palestra e l'ingresso di un parco, con un grande cancello di ferro. Dall'altra parte un cinema e davanti, prima della strada, una pista ciclabile con un bordo di siepe. Pochi alberi trascurati riempivano il piccolo spazio tra il cancello e l'ingresso del cinema. Niente case abitate, nessuna persona dietro le finestre enormi della palestra. Valentina guardava curiosa ogni volta, e non capiva.
 
Furba e piena di idee, come sono i bambini quando sono costretti a capire qualcosa, Valentina aspettò che piovesse e che il nonno passasse di lì con la macchina. Poi veloce, appena girato l'angolo, si girò e salutò con la mano.
"Chi saluti?" chiese il nonno stupito, corrugando la fronte. "Non lo so, ho visto che lo fai tu".
Sorrise sotto i baffi, nonno Silla, con quello sguardo perso nel vuoto, che tirava fuori ogni tanto e che lei non capiva, anche se si accorgeva che lui stava pensando a qualcosa di serio. "Mi vergognavo di chiederti chi saluti", disse abbassando gli occhi e la testa, perché sapeva che facendo così il nonno si inteneriva e dubito diventava dolce.
"Saluto l'albero, l'albero della miseria.
 
Fermò l'auto davanti al garage, si girò e le accarezzò i capelli. "Quando ero un ragazzo, sai, era tutto difficile, c'era la fame, c'era la povertà. E chi aveva la terra se la cavava bene, ma gli altri… E non servivano solo le patate, la farina o le castagne, per mangiare; era freddo d'inverno, e ci voleva il fuoco. Così chi non aveva la legna la doveva trovare, o rubare".
Si fermò, lo faceva ogni tanto, e lo sguardo spariva di nuovo nel vuoto. Valentina aspettava, sapendo che sarebbe tornato a parlare.
"C'è un albero povero che cresce sui bordi delle strade e nei fossi, non so quale sia il nome vero, lo chiamiamo nocione. È una legna cattiva, che brucia di corsa e non scalda; ma il nocione ricresce veloce, se lo tagli in due anni è già di nuovo un tronco per fare un attrezzo, o da bruciare. E siccome è una legna di scarto e la pianta non serve, se qualcuno a quei tempi la rubava era roba da poco, e i padroni lasciavano perdere. Fu mio padre, sai, ad insegnarmi il saluto che hai visto. Mi diceva: saluta l'albero della miseria, è brutto e debole, ma ha salvato tanti poveracci come noi".
 
Scese svelto dall'auto, nonostante la sua grossa mole, ed entrò nel giardino. Valentina un po' triste lo seguì, e guardò i rododendri, le rose, la magnolia, e i cespugli fioriti di fianco ai vialetti d'ingresso. Nonno Silla si girò, e le sorrise.

 

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