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Marco Allevi 6° classificato alla sezione narrativa del concorso
Marguerite Yourcenar 1996
col racconto:
Aspettando Cecilia
La sera si stava distendendo calma sulle colline toscane.
La Renault bianca affrontava i tornanti, lampeggiava; il motore nervoso sembrava non placarsi.
Incrociò altre auto, molte Golf, giovani che andavano a ballare.
Frenò una, due volte, per provare poi l'ebbrezza della ripresa.
La spia della benzina indicava quasi "Riserva"; eppure c'era ancora tanto gas da dare!
Quandò inchiodò la macchina davanti al suo condominio, si accorse che stava involontariamente slacciandosi la cravatta.
Mentre per strada chiudeva l'auto, era già con la mente dentro l'armadio: giacca elegante o sportiva?
Tirò fuori il vino dal baule e si pentì del suo spericolato rally; quel rosso d'annata sembrava un po' mosso.
Cercò le chiavi; non le trovò.
Momento di panico. Erano rimaste in macchina?
Si erano nascoste nella tasca del giubbotto, porca miseria!
Sbagliò chiave, udì un tintinnio sull'acciotolato; alla luce della pila tascabile, incorporata nel portachiavi, si acquattò.
Finalmente!
Con un sospiro di sollievo entrò in casa.
Chissà che effetto avrebbe fatto, alla dolce scontrosa, suonare il campanello, ascoltare passi veloci in arrivo, sentire la chiave girare nella serratura.
Stava concentrandosi; gettò la giacca sul divano, si guardò intorno.
Tolse alcuni vasi, che gli parvero sconvenienti.
Poi, come preso da un raptus, si sfilò il gilet, si allacciò il grembiale in vita e cominciò a passare la moquette con l'aspirapolvere.
Cecilia, quali abbinamenti si potevano inventare con "Cecilia"?
L'aspirapolvere muggì; la bocchetta si era incastrata sotto al divano.
Cecilia, chissà se le piaceva scherzare sui nomi.
Spense il muggito; sistemò le sedie, controllò i divani.
Osservò attentamente l'angolo bar. Si sbottonò la camicia sudata e se la tolse. Incerto, se la appoggiò sulle spalle; infine sprofondò nella poltrona "anatomica" (che gli amici avevano ribattezzato "barella" o "Pronto Soccorso").
Allungò il braccio destro e, a memoria, si servì due dita di whisky.
Marco era separato da due anni.
Diceva sempre che il matrimonio non l'aveva mai sfiorato veramente, una pioggerellina passeggera. Sua moglie era una donna bella, romantica; ma lui era stufo di quelle sere in casa, degli amici di lei, delle sfilze di coppie sposate che si accampavano da loro ogni venerdì.
Marco sentiva, aveva sempre sentito, che i suoi ventisette anni andavano giocati meglio.
Qualcosa, in casa, rimaneva di lei. Ma, anche da sposato, la mente di Marco era sempre andata di corsa; un treno ultrarapido con fermate, poche fermate, ben precise: la cura del suo corpo, il Club, il lavoro e la "caccia", soprattutto quella fuori stagione.
Sorseggiando il whisky, d'improvviso rifletté sulla sequenza di vini che si sarebbe succeduta quella sera, sotto la sua sapiente regia.
Marco era il tipo del raffinato "classico", con qualche variante "a sorpresa".
Scese in cantina; accese una debole luce a parete: c'era parecchio da scegliere. E, soprattutto, non si poteva sbagliare.
Mancava un'ora e trentasei minuti.
Prese uno straccio, sollevò con cura qualche bianco frizzantino, spiò le etichette.
Con rapida lucidità servì antipasto, primo, carne, dolce.
Mise in un cesto di vimini le bottiglie; si fermò sul pianerottolo della rampa di scale per spolverarle. Controllò nuovamente le etichette, annusò i tappi sigillati e tornò di sopra.
Marco preparò la tavola; accostò le sedie. Accese una candela e provò a spegnere tutte le luci.
Era quasi in penombra.
Piazzò un'altra candela sulla mensola alle sue spalle; ora andava meglio.
Aprì il frigorifero e lo svuotò dalle pentole, fiamminghe e tegami che la donna di servizio aveva preparato quella mattina.
Mise a scaldare la carne col forno a microonde e, al momento giusto, buttò giù la pasta.
Annusò il sughetto; lo appoggiò sul fornello più piccolo, dosò la fiamma.
Poi, di corsa, salì le scale, si denudò in bagno e si gustò una doccia calda.
Mancava solo mezz'ora, adesso che, sbarbato, unghie ben limate, capelli puliti e fruscianti ed odorosi, con l'accappatoio allacciato in vita girava per la stanza da letto.
Mentre si era messo "a nuovo", aveva già deciso il guardaroba; si rimirò allo specchio per un secondo, poi si girò ed aprì un cassetto.
Camicia beige a tinta unita, calzoni di lana leggera marrone scuro, giacca con spacchi di velluto verde bottiglia; cravatta a pastello.
Mocassini in pelle, bordeaux, con fibbia trasversale.
Fazzoletto beige, tempestato di minuscoli fiori, casualmente infilato nel taschino della giacca.
Lasciò da parte il gel. Guardò, compiacendosi, i suoi folti capelli biondi.
Lei suonò.
All'improvviso, senza rombi di auto né passi sul selciato.
Cecilia, in jeans, maglietta e giubbotto.
Marco fu colto alla sprovvista. Era vestita come quando l'aveva conosciuta.
Sembrava volersi far guardare, spogliare, accarezzare, pensò.
Salutò. Parlava, chiedeva, rideva. Il suono si mescolava armoniosamente con l'aroma del vino; un bottiglione da due litri senza etichetta. Un rosso inebriante. Il tappo di plastica.
Cecilia chiese un liquore, disse che aveva poca fame, si sedette sul divano.
Guardava le luci, le candele spente, il soffitto.
Marco si sfilò la giacca per apparire più disinvolto. Buttò lì qualche domanda "rilassante", ma fu subito interrotto da Cecilia, che aveva scovato due oggetti strani su di un mobile.
«Sono conchiglie?»
Cecilia raccontò che amava il mare, la dolce solitudine delle serate ritmate dalla pioggia.
Le piaceva pensare, ricordare, scrivere; talvolta si portava appresso un vecchio quaderno di scuola. Osservava il mare, ascoltava la risacca e scriveva.
Oppure disegnava.
Non le piaceva uscire tutte le sere, anzi; ma sperava che qualcuno la cercasse al telefono, la invitasse fuori, per rispondere incerta: «Non so».
Il più delle volte quei "non so" erano no.
Si innamorava del tempo che passava, ed aveva un letto piccolo, dove si rannicchiava ad aspettare il giorno.
Spesso si addormentava all'alba e, un po' infreddolita, ritrovava i suoi sapori nel letto, nell'aria del primo pomeriggio.
D'inverno, poi, si chiudeva in casa; attendeva il buio ed usciva con un cappotto largo blu, un cappello.
Quando tornava a casa, cantava a bassa voce canzoni udite passando davanti ad un'osteria, che pian piano diventavano nuove melodie.
Cecilia guardò Marco che, seduto sul bordo di una poltrona, la fissava attonito.
«Sono una bella chiacchierona».
Poi si zittì, apposta.
Attese qualche istante; dischiuse le labbra, mimò un discorso.
Marco si accorse che stava divertendosi; che si stava innamorando, all'improvviso.
Lui, che non aveva più creduto all'amore.
«Aspetta» disse Cecilia, «torno subito».
Marco sentì un tonfo al cuore.
Lei volò fuori, aprì la portiera dell'auto; Marco udì qualcosa frusciare.
Cecilia tornò.
Aveva in mano un mazzo di fiori coloratissimi.
Cercò un vaso, il rubinetto, li mise a bagno.
Marco cercava una parola, un gesto; non voleva rovinare tutto.
Cecilia appoggiò il vaso in mezzo alla tavola imbandita.
«Mi fai accomodare, per favore?»
Marco frenò la sua emozione, le sue mani tremanti, solo per un attimo; il tempo di scostare una sedia.
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