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Prefazione di

Olivia Trioschi

 
Un acrobata si aggira per le nostre vie. Il sottile filo su cui cammina è la musica, la lunga asta che tiene tra le mani è fatta di parole. Non ha la pretesa di essere sempre in perfetto equilibrio, anzi, ama correre dei rischi: e difatti ogni tanto lo si vede spiccare un salto o poggiare male un piede; al che tutti gli altri, quelli che i piedi li tengono costantemente ben avvinghiati alle loro personali e concrete convinzioni, dicono «è pazzo, è finita, cascherà giù». E sotto sotto tirano un bel sospiro di sollievo. Dopo un po' un passante, a volte un bambino, altre un ragazzo, guarda su e si accorge che l'acrobata è ancora lì, e sta continuando il suo fantastico balletto nell'aria.
Succede poi che qualcuno trovi irresistibilmente magico quel volteggiare a ridosso del cielo, e decida di provarci anche lui. All'acrobata, allora, si aggiungono prima uno, poi due, poi cento persone. E, col tempo, tutti insieme riescono a inventare un posto dove gli acrobati non sono guardati come fenomeni da circo, dove saltare «più su» è un gioco e una scoperta, non un attentato al comune senso del pudore.
Marcello Albini è uno di quei ragazzi che hanno visto l'acrobata danzare, e insieme a lui hanno creduto che essere vivi non significa necessariamente diventare schiavi delle proprie giornate, coriacei involucri di cose che si devono fare. Non a caso, questa raccolta di poesie è dedicata al funambolo e al luogo dove tutti quelli come lui possono incontrarsi; «perché la vita è l'arte dell'incontro &endash; scrive Albini &endash; ed incontrarsi è il solo modo di sopravvivere».
Andiamo, allora, incontro alle parole di questo poeta esordiente; seguiamone le ingenue e bizzarre fantasie, adagiate su un letto di parole delicate e leggere come fiocchi di neve, illustrate da disegni decisamente ispirati a quelli di Antoine de Saint-Exupéry. Ve lo ricordate? Proprio lui, l'audace navigatore di cieli scomparso, un bel giorno, senza lasciare traccia; chissà?, forse partito in compagnia del suo piccolo principe verso pianeti lontani.
Il piccolo principe aveva una volta incontrato una volpe: «Addomesticami», gli aveva detto l'animale. «Cosa vuol dire addomesticare?» «Vuol dire creare dei legami».
Incontrarsi, creare dei legami; queste, dunque, sono le coordinate entro cui si muove Albini, quelle tracciate da un acrobata e da un pilota: entrambi votati al volo, entrambi con cuore di uomo e occhi di bambino.
Solo i bambini sanno inventare usi impropri e fantasiosi per oggetti dall'uso codificato; solo i bambini sanno scoprire particolari che mutano radicalmente la visione d'insieme di figure dai precisi contorni. Possiedono la verità? No; l'uomo sa che la verità non esiste. Quello che hanno i bimbi è l'immaginazione: la portentosa, brillante, semplicissima immaginazione. Esattamente ciò di cui, crescendo, vengono privati. Ordine e metodo prendono il sopravvento. E dei bambini che da grandi volevano fare il pilota che resta? A volte niente, solo le ceneri. In altri casi, più rari, rimangono gli occhi.
Gli occhi di Albini vedono ancora il mare, le stelle e il cielo come potenze incantatrici, magiche narratrici di favole e musiche sommerse; vedono il gabbiano (sottolineiamo: il gabbiano) come guida, come genio della lampada che invita al volo libero; vedono insomma ciò che è sotto gli occhi di tutti, ma non al solo scopo di essere misurato, pesato, analizzato. Così le sue poesie non sono propriamente tali; sono, piuttosto, favole stemperate su diverse tavolozze, pensieri che si alzano liberi per poi posarsi sulla carta con grande levità: e difatti il lessico, estremamente semplice e piano, si adorna &endash; come si diceva &endash; di aggettivi curati, teneri, leggeri; le immagini, dal canto loro, sono pulite e chiare come un cielo terso, lucide come un prato bagnato dalla pioggia, naturali come un respiro. Non c'è nulla di forzato, nessuna simbologia ardua e arida, nessuno stiracchiamento in direzione di sperimentazioni stilisticamente innovative. Tutto sgorga con la zampillante giocosità dell'acqua sorgiva, scorre placido e sereno come un fiume; e come accade quando si ascoltano le favole, che intrigano proprio per la loro disarmante semplicità, per il loro senso intrinseco che nulla ha a che fare con il buon senso comune, tutto suona familiare al nostro orecchio, familiare e caro.
Perché nessuna musica è magica come quella che si sprigiona dalle favole: e coloro che ne hanno conservato il ricordo, e non solo il rimpianto, sanno sempre riconoscerla, quando la sentono.
 
Olivia Trioschi
 
 

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Del libro "Nel cielo di Fonòpoli" potete leggere:

  • Introduzione di Alberto Bevilacqua
  • Home page di Marcello Albini
  • Alcune poesie
Per acquistare il libro andate sulla pagina di

FONÒPOLI Parole in movimento

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Inserito 12 dicembre 1997