LA PIÚ GRANDE
ANTOLOGIA VIRTUALE
DELLA POESIA ITALIANA
 
I grandi scrittori del Novecento:
Nel centenario della nascita di Marguerite Yourcenar -
Il fascino delle «Memoires d'Hadrien»
di Massimo Barile
Su Marguerite Yourcenar le parole espresse dal mondo letterario si sprecano con abbondanza di particolari, a volte di imprecisioni, altre volte esagerazioni in senso positivo e negativo soprattutto sulla sua forte personalità, in alcuni casi giudizi frettolosi ed imperfetti di una certa critica che non l'ha mai vista di buon occhio: analisi piene di pregiudizi e preconcetti che Marguerite avrebbe aborrito albergando in lei la figura di uno storico proteso alla perfezione ed al contempo di un poeta mai condizionato dalla passione di parte ma sempre capace di un giudizio morale sereno, obiettivo, moderato.
Marguerite de Crayencour, la gran dama della letteratura francese, l'ultima aristocratica del pensiero, la bonne dame de Petit Plaisance, la grande seduttrice, l'archeologa dell'anima, storica e memorialista, tessitrice di storie e miti, orgogliosa e con una buona dose di snobismo ereditato dal padre, traduttrice di Virginia Woolf e degli spirituals, in esilio volontario a Mount Desert dove la leggenda immagina una donna col vestitino rosso delle beghine di Bruges o con gli zoccoli ai piedi e un fazzoletto nero in testa.
Scrittrice, non donna, alla quale piaceva inventarsi la vita, alla quale non importava vincere ma essere liberi, che affermava «scrivere è come fare il pane» e poi ancora «la poesia non è un extra» e con l'inquietudine del poeta arrivò alla saggezza attraverso il disincanto, «saggezza del vivere, soavità del morire», guardando alla storia come ad una alchimia inevitabile e alla propria esistenza come al lato visibile della vita eterna e forse fu proprio la poesia di Kavafis, (con il sentimento di quella giustapposizione continua del presente e del passato) tradotta dal greco e tanto amata, a condurre la scrittrice, così legata alla memoria storica, ad astrarsi dal tempo in una visione delle cose che mentre continuano a scorrere giungono ad un tempo che confina con l'eterno: attualità e passato, presente e futuro si intersecano, si inglobano e, come nelle memorie di Adriano, non si distingue più se è l'imperatore che parla, qui ed ora, o la scrittrice-segretaria dell'imperatore "pellegrino" che oltrepassa il confine ultimo liberandosi dell'Io e delle sue limitazioni convergendo in un mondo che racchiude in sé ogni istante fino al momento assoluto della poesia.
Scrittrice accarezzata dalla grazia e privilegiata in quel mondo letterario che la vide sempre sospesa tra la memorialista meticolosa e il poeta inquieto con le ambiguità del suo privato: sempre sulla linea di confine e costantemente all'erta per raccogliere nuovi incanti, per raccontare ciò che non si può narrare, ciò che rimane dietro gli occhi che guardano ed esiste solo nel proprio mondo spesso celato, scevro dalle false apparenze, incontaminato dai luoghi comuni, non contagiato ancora da speculazioni di ogni sorta.
Affascinata dal viaggio si sposterà in continuazione da una parte all'altra del mondo con numerosi viaggi in molti paesi dell'Europa e negli Stati Uniti per poi alternare una serie infinita di viaggi e ritorni dalla sua residenza di Mount Desert Island: per lei ogni viaggio, ogni avventura è al tempo stesso un'esplorazione interiore, una contemplazione mobile. Per tutta la vita è stata stimolata dal viaggio come un bisogno irrinunciabile, una sorta di desiderio carnale come lei stessa dirà, e anche negli ultimi anni nonostante una accentuata costrizione ad una vita immobile non rinuncerà all'avventura nel mondo con il consueto slancio, con rinnovato entusiasmo per ogni nuova esperienza, con l'impareggiabile attenzione a vedere le realtà spesso nascoste delle terre di confine, dei luoghi più selvaggi, quasi a rispecchiarsi nello stesso amore che Adriano nutriva per il mondo barbaro.
 
Una voce ispirata fin dall'infanzia quando leggeva Ibsen con il padre che le insegnava il gusto della precisione e della verità, l'unico modo per capire ogni passaggio, per entrare nel personaggio senza lasciarsi influenzare da se stessa e dalle proprie visioni o dai sentimenti personali che potevano contaminare una fedele comprensione: e lei riprenderà questo modo di procedere con le Memorie ponendosi a fianco, facendo parlare direttamente la voce dell'Imperatore divino. Ricreare la storia «dal di dentro», raccontare in prima persona la vita d'un uomo arrivato al potere supremo con la sua azione politica, le sue gesta, i suoi piaceri: un testamento del più illuminato degli imperatori, della sua cultura, della sua volontà politica di stabilizzare un mondo dopo le lunghe guerre e prevenire futuri cruenti conflitti.
Il successo delle Memorie deve forse la sua solidità come opera proprio a questa caratteristica, a questo tessuto robusto del monologo: ispirazione, segreto e rigore, di un'opera non facile, di un'avventura di un uomo d'eccezione in un momento unico della storia.
Da un lato l'originalità del suo valore intellettuale che è riuscito a sintonizzarsi sull'universale e dall'altro la condizione solitaria dello scrittore così indispensabile alla sua arte che le fa dire «l'individuo non conta, la solidarietà è per l'umanità».
In un mondo dove l'importante è assicurarsi un posto fisso e duraturo sotto i riflettori lei è sempre stata lontana ed estranea a determinati ambienti, anche quando nel 1981 viene eletta tra gli "Immortali" dell'Académie Française non modifica il suo comportamento, non frequenta l'Académie, e continua ad alternare i suoi viaggi con i soggiorni a Mount Desert, sulla costa atlantica degli Stati Uniti. Si posiziona volontariamente in un angolo, serena e, a volte, quasi distaccata, nel suo angolo che le permette di guardare il mondo e di viverlo intensamente senza rientrare in una categoria o in una linea letteraria per inseguire libera la sua visione: nel modo più giusto.
Da privilegiata ha potuto condurre in assoluta libertà un'esistenza errabonda scoprendo il mondo e non ha mai dovuto sottostare a compromessi per potersi assicurare un pubblico più vasto e nel minor tempo possibile: «Potevano leggermi in tre ed era la stessa cosa» un po' civettuola amava ripetere.
In quell'angolo di mondo, immerso nel silenzio, nel suo studio, senza televisione, ogni tanto all'ascolto della radio, circondata da libri, tappeti antichi, il calore del camino, in una esistenza ridotta all'essenziale come a seguire il ritmo della natura scandito dalle stagioni e assaporare una pace conquistata, il lirismo assoluto.
 
E proprio come poeta è il suo esordio con un volume di versi e brevi prose Le jardin des chimères e subito dopo con Les dieux ne sont pas morts che rappresentano comunque semplici esercizi di un'esordiente dove abbondano le imitazioni (poi la sua intera produzione poetica sarà raccolta ne Les charitès d'Alcippe alla fine della sua esperienza letteraria). Come poeta sembra già voler afferrare ogni fatto, ogni evento come fossero ultimi momenti irripetibili ed illuminati da luce celestiale e al contempo abbandona repentinamente queste prime esperienze per dedicarsi ad altro quasi si trovasse a far fronte ad una continua maratona con la vita e con le esperienze che essa offre: la consapevolezza di vivere una esistenza dove non è possibile fermarsi troppo a lungo, perdersi in eccessive soste o cadere in oblìo ma al contrario ci si deve immergere attivamente in ogni nuovo entusiasmo per correre dietro alla vita perché il tempo scorre veloce. Fondamentale è il senso che dà alla parola poeta: «poeta è qualcuno che è "in contatto" attraverso cui passa una corrente» e per lei la poesia deve poggiare su effetti ripetitivi, tali da svolgere un ruolo incantatore o per lo meno imporsi al subconscio. Quando la poesia è priva di ritmi immediatamente percettibili non stabilisce quel contatto necessario al lettore, non si fa magia o incantesimo e la corrente poetica viene interrotta perché viene a mancare quel ritmo che ricorda al lettore che si tratta proprio di un incantesimo e di un canto che dipendono appunto dal ritmo della frase e dalla iterazione dei gruppi di suoni.
E proprio nella poesia, nella sua ultima parola, nel suo ultimo canto, come araba fenice sembra risorgere dalle ceneri del passato e rivivere i giorni e le stagioni come se il tempo continuamente lasciasse adagiare sulla superficie nuove sensazioni, ritrovati stupori, un rinnovato impensabile entusiasmo che credeva ormai impossibile: solo la maturità degli anni e la capacità di rileggersi, di rivedersi, di rivisitarsi potrà cogliere appieno le illuminazioni, le parole del tempo.
 
Le memorie di Adriano
Marguerite Yourcenar come storico dovizioso crea un archivio col passare degli anni, annota ogni notizia utile, esamina ogni fonte, salva le plausibili elimina le fantasiose o poco attendibili anche se a volte si lascia prendere la mano e pur sapendo che ciò che dice Adriano è quasi sicuramente frutto della fantasia lo salva; vaglia ogni circostanza sotto l'aspetto cronologico, verifica le varie ipotesi ed infine sottopone all'analisi le migliaia di fogli ed appunti illeggibili che daranno vita alle Mémoires d'Hadrien.
Prende una figura importante, nota, compiuta, definita dalla Storia in modo da abbracciarne con lo sguardo l'intero percorso e cerca di cogliere lucidamente il momento in cui l'uomo, protagonista di questa esistenza unica ed irripetibile, la soppesa, la esamina e per un istante è in grado di giudicarla. Il processo è assai lungo e tortuoso: il libro concepito e scritto in parte tra il '24 e il '29 viene distrutto, ripreso nel '34 con laboriose indagini e poi abbandonato più volte fino al '37 anno nel quale durante un soggiorno negli Stati Uniti scrive alcuni frammenti come ad esempio la visita al medico e la rinuncia agli esercizi fisici da parte di Adriano. Nel 1939 il manoscritto viene lasciato in Europa con la gran parte degli appunti ma porta sempre con sé una carta dell'Impero romano alla morte di Traiano e il profilo di Antinoo come a ricordare a se stessa che la sfida è sempre aperta. Nel '41 in un negozio scopre per caso delle stampe di Piranesi ed una di queste rappresenta la veduta di Villa Adriana proprio quella visione che aveva fatto scattare la scintilla tanti anni prima. Sarà guardata e riguardata per anni. Fino al 1948 sembra abbandonare la sua idea, subentra una certa indifferenza dopo aver bruciato altri appunti e si sente quasi impotente davanti a quella che pare ormai impresa impossibile: «Mi ci sono voluti molti anni per calcolare esattamente la distanza tra l'imperatore e me»... «per colmare non solo la distanza che mi separava da Adriano ma soprattutto quella che mi separava da me stessa». Ma durante quegli anni aveva continuato a leggere gli autori antichi: quello che poteva essere il modo migliore per far rivivere il pensiero d'un uomo quasi a ricostruire la sua biblioteca negli scaffali di Tivoli.
Proprio quelle memorie e quei frammenti, dimenticati per anni, per caso emergono dall'interno di un baule pieno di cianfrusaglie e vecchia corrispondenza e Marguerite si diverte a buttare via o a dare alle fiamme le cose inutili ("a me piacciono i falò") quando salta fuori una brutta copia delle prime pagine ingiallite delle Memorie. Siamo nel 1948 ed erano passati diversi anni: c'era stata la guerra, il soggiorno a New York, l'isola di Mount Desert, il fascino di tanti luoghi ed incontri e nel succedersi degli eventi il buon Adriano era stato dimenticato. Alla vista di quelle prime pagine scatta il colpo di fulmine, quei fogli ingialliti del manoscritto perduto erano il segno del destino che quel libro doveva essere scritto a qualunque costo. Rivivono le ricerche iniziate prima della guerra e i testi della biblioteca comprati nel periodo in cui era nata l'idea: due libri su Adriano, uno dello storico greco Dione Cassio con il capitolo de "La storia romana" consacrato ad Adriano e un'edizione moderna dell'Historia Augusta (più precisamente il testo de la Vita Hadriani del cronachista latino Spartiano). Sia Dione Cassio che Spartiano si basavano su testi ormai perduti tra i quali le Memorie pubblicate da Adriano e una raccolta di lettere dell'imperatore. V'è da rilevare che, nonostante Dione Cassio e Spartiano non siano grandi storici sono risultati essere estremamente fedeli alla vita vissuta da Adriano e le indagini scrupolose odierne hanno confermato molte delle loro affermazioni.
Le esperienze vissute nel periodo intercorso tra le varie stesure regalano nuovo vigore e arricchiscono la figura e l'epoca di Adriano che ormai si delineava in modo più complesso e oltre al letterato, al viaggiatore, all'ellenista, all'amante emergeva quella più forte dell'Uomo di Stato, dell'Imperatore.
Da quelle pagine e dalle numerose letture di poeti e filosofi greci, sempre coltivate nel corso degli anni, alla fine aveva ricostruito la cultura di Adriano «sapevo pressapoco quello che Adriano leggeva, quali erano i suoi punti di riferimento e il modo in cui considerava determinate cose in base ai filosofi che aveva letto». Era stato un continuo impregnarsi in modo totale nella figura di Adriano finché essa non era emersa: chiara, netta, precisa.
Le pagine bianche portate con sé si riempivano nella cabina di un vagone letto o nel ristorante d'una stazione, attraverso ricerche ed elaborazioni tra erudizione e magia ispiratrice come a trasferirsi con il pensiero nell'interiorità d'un altro con un ritratto di una voce: le memorie scritte in prima persona per fare a meno di un intermediario compresa se stessa «Adriano era in grado di parlare della sua vita in modo più fermo, più sottile di come avrei saputo farlo io».
Imparare tutto, leggere tutto, informarsi su ogni cosa, mettere a fuoco con precisione l'immagine che abbiamo creato sotto le palpebre chiuse: attraverso lo studio e le ricerche, perseguire l'attualità dei fatti, rendere quei volti cosa viva, leggere un testo del secondo secolo con gli occhi di quel tempo, calarsi nei panni di uno storico del tempo per coglierne la verità ed eliminare la fantasia, usare con prudenza gli studi, immergersi in un soggetto per scoprire le cose più semplici.
Far raccontare allo stesso Adriano, con la sua voce, le idee politiche, le azioni e le campagne belliche, la politica pacificatrice e le riforme sociali e finanziarie: ridare vita, a poco a poco, alla sua personalità, alla sua grandezza, alla sua generosità e alla sua esuberanza. Tutto era stato preso in esame soprattutto le stesse opere autentiche di Adriano: la corrispondenza amministrativa, i frammenti di discorsi o di rapporti come il celebre Discorso di Lambesa, pareri legali riportati da giureconsulti, poesie citate da autori del tempo come la famosa Animula vagula blandula o rilevate da iscrizioni votive e monumenti, le celebri tre lettere di Adriano riguardanti la sua vita personale (Lettera a Matidia, Lettera a Serviano, Lettera dell'imperatore sul letto di morte ad Antonino). I numerosi accenni ad Adriano e al suo ambiente, sparsi nelle opere degli autori del II e del III secolo, con le cronache, alcuni dati interessanti ed episodi come «Le cacce di Adriano e di Antinoo», il testo geroglifico dell'Obelisco del Pincio che narra le esequie di Antinoo e descrive le cerimonie del suo culto e la storia degli onori divini resi ad Antinoo che si desumono dalle iscrizioni, dai monumenti figurativi e dalle monete.
Il fortuito arrivo di un baule ormai dato per disperso era stato dunque l'evento necessario, il caso aveva un ruolo fondamentale. Toccando quelle pagine e quei libri per Marguerite era come toccare Adriano e il suo mondo ma quelle iniziali stesure erano solo un abbozzo di scrittura dal tono di un diario intimo o di un lungo dialogo dove non emergeva la voce potente di Adriano ed era improponibile per un romano: era necessario farlo esprimere con un monologo conforme alle norme e quindi Adriano doveva servirsi della parola organizzata, quasi impersonale, strumento del mondo greco-romano di cui egli è perfetto rappresentante, ed il monologo era l'unica scelta, senza inserire dialoghi o conversazioni nel testo perché non vi sono fonti per sapere come gli antichi parlassero tra loro. Adriano poteva evocare la sua vita solo attraverso le sue stesse parole e la fortuna era che si trattava di un uomo colto e al contempo uomo d'azione, un uomo che aveva un lungo passato alle spalle e alcune nozioni di ciò che avrebbe potuto essere l'avvenire, di ciò che temeva che fosse o voleva che fosse e poi era già abbastanza in là con gli anni da avere una vita già tracciata e da poterla guardare in prospettiva.
Poi segue un attento studio degli storici del tempo di Adriano o quelli poco posteriori per fare emergere l'artista, l'amatore d'arte, il mecenate, l'amante e, facendo tesoro di ogni esperienza e della nuova impostazione, quello che sarebbe stato impossibile vent'anni prima, cioè l'uomo di Stato.
Mémoires d'Hadrien è l'opera universale, il libro più famoso di Marguerite Yourcenar ed il suo fascino è duplice: sia sul piano storico che su quello letterario grazie a questa attenta rievocazione della vita e dell'epoca dell'imperatore romano. È scritto sotto forma di memorie indirizzate da Adriano stesso, ormai sessantenne e condannato da una grave malattia, al figlio adottivo Marco Aurelio designato come successore. Nel ritiro della sua villa di Tivoli Adriano sotto lo scacco della morte imminente, accettata ed attesa con coraggio, rievoca la propria vita: la gioventù in Spagna, gli studi ad Atene (un'iscrizione ricorda che il sofista Iseo fu uno dei maestri del giovane Adriano), la lunga ascesa al potere come successore di Traiano, gli anni del potere e della gloria. Tornano a vivere i ricordi e le gesta del condottiero militare e dello statista geniale e grande attenzione è dedicata alle passioni della sua vita come l'amicizia con la moglie di Traiano, l'imperatrice Plotina che gli annunziò prima la sua adozione da parte di Traiano e due giorni dopo lo informò della morte del marito e della sua nomina a successore con il Senato che non poté che sanzionare la sua proclamazione, e poi l'amore per Antinoo, il giovane bitinio, il divino adolescente, ed il grande dolore per la sua tragica morte. Sullo sfondo delle memorie rivive anche l'ambiente della Roma del II secolo con i suoi cortei trionfali, gli spettacoli dei mimi, i giochi del circo, le pratiche magiche delle Sibille, i sanguinosi riti delle religioni d'Oriente, quel mondo di indovini, di fattucchiere e di praticanti in scienze occulte di cui Adriano si circondò.
Per scrivere le Memories lavora anche di notte deve sapere tutto di Adriano gli anni della gioventù, gli anni della guerra, della vanità e della carriera durante i quali Adriano si sforza di diventare ufficiale dello stato maggiore di Traiano, console, governatore: deve ricreare tutto attraverso i documenti dell'epoca e il curriculum vitae degli alti funzionari. Anno per anno le diverse funzioni e le varie cariche di cui è stato insignito Adriano, il nome degli amici, il suo gruppo romano, la sua vita personale: una attenta ricostruzione partendo dai documenti ma cercando di rianimarli, vivificarli: perché i documenti da soli sono morti. Questo lavoro dura circa tre anni con un impegno intenso e continuo quasi in simbiosi con il personaggio Adriano scoprendone i difetti, le menzogne o le cose taciute per interesse (ad esempio a proposito della sua conquista del potere), i delitti politici (l'esecuzione di quattro consolari del partito militare come semplice regolamento di conti anche se non è sicura la sua presenza a Roma durante l'esecuzione o la condanna a morte del cognato novantenne Serviano e di suo nipote Tusco) quando Adriano sembra quasi travolto da una sorta di indifferenza verso la morte: «una più o una meno che importa ormai!».
Le Memorie di Adriano sono sicuramente un'opera dal respiro più vasto rispetto alle precedenti esperienze e non v'è alcuna soluzione di continuità con gli altri libri : attraverso un lavoro faticoso e tremendamente difficile portava in primo piano un Impero, un uomo che moriva a sessantadue anni, che aveva visto tante cose, era passato attraverso tante vicende. Non a caso per riuscire a scrivere le Mémoires d'Hadrien con quella prospettiva era necessario sapere ogni cosa sull'epoca e sulle condizioni della vita stessa nel mondo romano, aver letto il codice sul quale si trovano risoluzioni e deliberazioni di Adriano: tutte cose che non si fanno in un giorno e quando, lei solo ventenne, aveva iniziato le sue ricerche non aveva ancora quel bagaglio di esperienze, necessario per un lavoro simile, ed è per questo che le stesure iniziali non potevano essere all'altezza perché ancora acerbe mentre invece la redazione definitiva, grazie ad una maturità letteraria raggiunta, poteva essere solo quella scritta molto tempo dopo a più di quarant'anni.
Lo stesso Adriano quando muore Lucio suo ex favorito e figlio adottivo si chiede «Se Cesare fosse morto a quell'età che cosa resterebbe di lui? Il ricordo di un uomo dissipato che si occupava di politica». E questo lo spinge a guardare con maggiore pietà a chi moriva senza che il suo destino si fosse del tutto compiuto.
Adriano è stato uno dei primi ad essere dio di diritto in quanto imperatore e ad aver goduto del culto dell'imperatore divinizzato da vivo, oltre ad un entusiasmo religioso che lo circonda verso la fine della sua vita. L'uomo ispirato che giunge a quarant'anni dopo aver superato tutte le tappe: impara il latino che conosceva male , impara il greco, studia ed esercita tutte le funzioni militari e civili, fa l'esperienza dei paesi barbari, osserva il periodo di crisi sotto Domiziano e non vi partecipa seguendo i consigli dei saggi, attraversa quindici anni di guerra proprio lui l'uomo della pax romana e quando diventa imperatore fa cessare la guerra contro i Parti. Dovrà ritornarvi con la guerra di Palestina che sarà vista, proprio per questo motivo, come uno dei suoi insuccessi.
Ma dalle Memorie emerge un Adriano continuamente innovatore, costantemente riformatore, un uomo con rara intelligenza capace di riassestare l'economia con geniale creatività (alcuni dei primi provvedimenti adottati furono gli aumenti di distribuzione di congiaria alla popolazione dell'Urbe, raddoppio del premio alle truppe e sospensione della riscossione dell'aureum coronarium dovuto dalle province n.d.r.) migliorare le condizioni degli schiavi, pacificare la terra, emancipare le province mantenendo l'unità romana, proporre l'ellenismo senza la forza e inaugurare un periodo di sviluppo dell'arte greca. È un uomo lucido non folgorante, con una visione mentale aperta ad altri mondi che non sono i suoi come ad esempio il mondo barbaro e ai poeti che scherzavano su questa sua propensione rispondeva: «Restate pure a Roma, nelle taverne, a farvi pungere dalle zanzare e a cianciare di letteratura». Questa fervida inclinazione per il mondo greco e il senso del mondo barbaro non fanno dimenticare il presente di Roma dove, facendo appello alla mia memoria di antichi studi classici e se ben ricordo, questa sua grande ed insaziabile passione ellenica fu motteggiata dai romani che per derisione lo soprannominarono greculo o grechetto. E fu anche il «romano spagnolo diventato greco» o come dice il Bengtoon nella sua Storia Greca «Adriano fu il primo vero ellenista sul trono dei Cesari».
Ma il colpo di genio involontario è forse Antinoo che poteva rappresentare l'incontro con il suo ideale umano e poteva incarnare le aspirazioni dell'imperatore ma è importante sottolineare che Adriano non aveva certo bisogno della figura di Antinoo perché aveva in sé le caratteristiche del grande funzionario, del letterato e del principe anche se il culto di Antinoo ha forse posto a simbolo quell'ideale religioso e passionale: «Ci vuole sempre una vampata di follia per costruire un destino» dirà Marguerite Yourcenar.
Non per niente Adriano ha disseminato per tutto l'Impero le effigi di Antinoo: in tutte le città greche o dell'Asia minore vi sono monete che lo raffigurano, creando quel culto che le dedicherà la città di Antinopoli, fondata dall'imperatore in onore del suo favorito, ancora visibile fino agli inizi del secolo e poi distrutta da un industriale egiziano che utilizzerà i ruderi per costruire uno zuccherificio.
Per quanto riguarda la tragica morte di Antinoo annegato nelle acque del Nilo si possono fare delle ipotesi e la versione ufficiale sembra indirizzarsi verso il sacrificio di sé ad Adriano, un suicidio-sacrificio del favorito «per fuggire all'invecchiamento, all'usura della passione, all'odiosità degli intrighi di palazzo». La versione del suicidio sacrificale che si desume dalle fonti era questa: Antinoo aveva saputo per mezzo di un oracolo che la vita di Adriano non si sarebbe conservata a lungo a meno che un altro non avesse offerto in cambio la sua alle divinità infere e per il grande amore che Antinoo aveva nei confronti del suo imperatore avrebbe offerto la sua vita. Interessante è annotare come in una lettera, scritta da Adriano poco tempo prima della morte, sembra di avvertire ormai un abbandono al semplice godimento del piacere: in ogni caso la scomparsa di Antinoo sconvolgerà la mente dell'imperatore. A sublimazione del suo grande dolore colse l'occasione per fare un Dio del suo divino amante. Per prima cosa cambiò il nome della città di Besa (dove era morto Antinoo) in quello di Antinopoli e la ingrandì con numerosi edifici, vi eresse un tempio e vi istituì un culto. In tutto l'Impero si fece a gara nel dedicare ad Antinoo templi, e statue che erano la riproduzione pura dei lineamenti e del corpo del divino adolescente, e poi simulacri che ne rivestivano le sembianze e in occidente predominarono i simulacri bacchici di Antinoo. Dione Cassio narra inoltre che Adriano giurò di aver visto nel cielo risplendere una nuova stella che doveva essere certamente l'anima di Antinoo assurta a divinità. Questa interpretazione divina rasenta il delirio religioso se consideriamo che nella villa di Tivoli, di cui aveva fatto il santuario dei suoi sogni, sono state rinvenute decine di statue, busti, simulacri di Antinoo ed è la dimostrazione che la perdita di Antinoo segni una svolta decisiva nella vita di Adriano. Dopo pochi anni dalla morte di Antinoo la sua salute peggiorava, messa a dura prova dal suo peregrinare per le terre dell'Impero. Il fisico era in declino il suo stato di salute si era aggravato e le condizioni mentali peggioravano: ormai il grande principe che aveva portato l'Impero a splendori mai conosciuti è prossimo alla fine, sopraffatto da una malattia che lo obbliga ad una forzata inattività ed «Adriano è un uomo di quelli che invecchiando peggiorano a vista d'occhio». Frequenti segni di squilibrio, imprevedibili sbalzi d'umore, violenti rancori, tremende gelosie, una costante invidia dei minimi fatti altrui, senza dimenticare le acute crisi di disperazione supplicando a chi gli era vicino e fedele di offrirgli del veleno. Ormai ridotto ad uno stato di semi impotenza nella sua villa di Baia avrebbe spedito sentenze di morte da attuarsi da parte di Antonino che lo sostituiva al potere: logicamente Antonino Pio, non ne teneva assolutamente conto (ironia del destino forse l'appellativo di Pio decretata dal Senato non era casuale); e proprio il buon Antonino Pio tentava di riabilitare la memoria del padre adottivo e cercava di convincere il Senato a concedere ad Adriano gli onori dell'apoteosi che lo accoglieva nell'Olimpo delle divinità romane.
Attenendosi alle fonti giova sottolineare che in realtà se da una parte invocava la morte dall'altra ricorreva a stregoni, indovini e maghi affinché lo guarissero ma il male faceva il suo corso e il 10 luglio del 138 si spense.
La parabola di una vita viene fissata in modo meraviglioso dalla stessa Marguerite Yourcenar che, per scrivere l'atto finale, immersa in una sera gelida a Mount Desert cerca di rivivere quel giorno di luglio: «il peso del lenzuolo sulle gambe stanche, il mormorio quasi impercettibile d'un mare senza marea, l'ultimo sorso d'acqua, l'ultima immagine, l'imperatore non ha che da morire».
Ma Adriano rimase l'Augusto per eccellenza, il padre della patria, il secondo Romolo col quale l'Impero romano aveva raggiunto l'apogeo oltre il quale cominciava l'inevitabile declino, l'inesorabile parabola discendente quasi simbolizzata negli ultimi anni di uno dei più grandi imperatori della storia di Roma: lacerata da sprazzi di crudeltà che si alternano a periodi di assoluta indifferenza, pervasa ancora dalle ultime lucide e geniali intuizioni mentre aumenta sempre più la perdita di contatto con la realtà: per scongiurare la fine dell'imperatore dio e del mito dell'eterno impero romano non c'era più nulla da fare.
 
L'accoglienza entusiasta delle Memorie ha sicuramente posto un forte accento su Antinoo come il momento culminante della vita di Adriano ma nelle Memorie vi sono «quarantacinque anni di tensioni seguiti da nove anni di travagli» come dirà Marguerite Yourcenar come a voler sottolineare una visione ben più ampia dell'opera. Nell'arco della vita di Adriano si è focalizzata l'attenzione soprattutto sul suo successo straordinario, all'apice della gloria, in trionfo ed amato, ma per l'autrice emergono con vigore anche le figure minori, i personaggi che esistono a metà che hanno anche loro un fascino particolare e poi v'è la malinconica visione di un uomo che invecchia a suo modo, secondo il proprio stile di vita: quando la lucidità viene meno o è portata fino al sospetto, l'uomo è in preda a folgoranti accessi di follia, ripensa con amarezza alla inevitabile guerra di Giudea, vive da Imperatore i momenti di angoscia davanti alla malattia.
Il successo delle Memorie sorprenderà la stessa scrittrice soprattutto per quell'idea che s'era fatta che la vita di un imperatore poco poteva interessare alla gente (e le Memorie era un libro certamente non dei più facili) ed è importante ricordare ciò che Marguerite disse: "Nel caso di Hadrien c'è stata quella tendenza del lettore a identificazione con il protagonista e soprattutto con l'avventura amorosa. Sono rari i lettori che hanno visto l'insieme del libro (direi quell'intero processo umano di un imperatore). In genere i lettori non vedono l'insieme; vedono la punta saliente, l'angolazione che più li tocca. Colgono sempre, di un libro, l'aspetto che riflette la loro vita».
«Avevo scritto la storia di un principe e al tempo stesso un grande destino individuale e poi è sempre piacevole dare a un essere che è vissuto un piccolo rilancio nel tempo».
Le Memorie è stato un libro che durante le sue diverse stesure ha subito una riduzione, una spoliazione: è rimasto in vita il condensato di un libro molto più vasto, il riassunto di scene che erano state descritte nei minimi particolari e nelle sfumature più impensabili durante notti insonni e magiche: è rimasto «solo ciò che un uomo ha creduto di essere, ciò che ha voluto essere, ciò che è stato».
 
Non è un caso che Marguerite Yourcenar durante un'intervista abbia risposto: «La vita è spoliazione ed arricchimento: Ci togliamo i vestiti per dorarci al sole» e lei ha rivissuto come protagonista della sua storia le stagioni della propria esistenza come se il lento fluire del tempo e le memorie del passato avessero il potere di riaprire lo scrigno di emozioni dimenticate.
Questo incessante sguardo all'indietro e al passato viene fissato con precisione, la parola si erge a testimone, sempre incantata, perennemente condannata a raccontare ciò che pareva dimenticato, una totale immersione nella memorialistica: e trasforma la vita in letteratura.
Si rende conto che non ha senso inseguire il passato e archiviarlo tra le pagine come reperto e decide di interpretare la vita: le vicende della vita sono argilla, l'architettura della memoria poggia sulla sabbia e si mette a guardare il mondo con lo sguardo incantato dell'infanzia, con lo stupore della sorpresa.
Le sue meditazioni sul tempo vedono ogni rapporto come effimero, doloroso e precario e si incidono sempre nella memoria con lacerazioni sul proprio corpo e lo stesso Adriano afferma «Oggi comincio a scorgere il profilo della mia morte»: l'ombra funerea è sempre in agguato come in diabolica attesa per un ultimo dialogo, la morte unico referente ammesso dalla stessa scrittrice come misura dell'universale.
Da archeologa della memoria scoperchia le urne, codifica i segni, legge le iscrizioni, riassembla i reperti frantumati e ricostruisce la vita dei defunti, le passioni, le fragilità, le scelte, le gesta: la storia si fa apologo.
Marguerite Yourcenar da mirabile tessitrice di storia e di miti con la sua parola ricrea la trama del passato ed ogni passo compiuto dai suoi personaggi, con le azioni, e con le passioni è immerso nel mondo che deve fare i conti con il calendario che riporta le date e gli eventi. Gli anni trascorsi al di fuori della consuetudine sociale dopo aver cambiato paese, lingua e continente, in quel rifugio sulla costa nordamericana, tentando di sconfiggere o trovarsi pronta ad assaporare la morte attraverso l'esumazione del tempo: guardare al passato come alla sola entità indiscussa, e con una ineguagliabile grazia muoversi oltre le soglie del tempo. «L'uomo è ambiguo perché ha rinunciato al sogno e ha piegato la trasparenza della volontà alle aride leggi del calcolo personale»: per salvare l'umanità dalla catastrofe bisogna abbattere le mura del tempo e comprendere i secoli nelle pagine fuggevoli di un libro. Le figure storiche divenute personaggi letterari attraverso il rigore intellettuale e la scrittura con quel gusto della precisione di un biografo postumo sono immessi nell'eternità.
Nella sua ricerca "alla deriva del caso" la scrittura può nascere a bordo di un treno, in una sala d'attesa, nella camera d'un albergo chissà dove o durante una visita alla Villa Adriana o facendo una passeggiata. Gli strumenti per far emergere i ricordi sono custoditi nella memoria familiare o nella memoria storica e attraverso una accurata documentazione vuole ricostruire la scena completa che offra una più compiuta immagine: il punto di partenza è il documento, il reperto registrato, per riassemblare tra loro i pezzi con curiosità per vedere che cosa ne verrà fuori. Il suo corpo sembra dileguarsi in lontananza, il suo Io è altrove e si assiste ad una frattura tra individuo e realtà, come l'artista che non partecipa al gioco, vive ai margini o se ne sta in un angolo. Perennemente impegnata nella ricerca del proprio destino attraverso quello altrui, la sua memoria la conduce inesorabilmente sempre davanti a quel senso della perdita: una malinconia sotterranea permea tutte le azioni e il mondo appare come un enorme archivio di frammenti da riunire per ottenere una sublime ultima opera. Grande anima dolente estende la sua pietà all'universo, all'umanità: la sofferenza del mondo comune a tutti gli individui nella loro esistenza non è più sofferenza privata ma destino.
Nella religione del buddismo cercò la chiave per accettare e superare tale destino: la fuga verso l'alto può sottrarre l'artista allo smarrimento e la scrittura può mutare la vita. Nelle memorie cercherà un comune denominatore fra i diversi destini e troverà «l'infinita pietà per la nostra pochezza e, per contrasto, il rispetto e la curiosità per le fragili e complesse strutture che posano come palafitte sopra l'abisso».
In questo incessante viaggiare sulle tracce del passato e con quel desiderio vibrante di contemplare il mondo nel quale vive darà vita alle memorie, darà un senso alla parola che può germogliare ovunque perché il luogo non ha importanza.
Da scrittrice estranea all'ovvio, al banale e all'autoreferenza, rifuggirà sempre dal privilegiare il proprio caso personale perché l'individuo è valido solo all'interno di un disegno globale ed universale: l'importante è non smettere mai di cercare la visione.
Proprio questo guardare al mondo con una visione così complessa rende inevitabile il superamento dell'Io, quasi mai utilizzato nella narrazione, una abolizione che diventa una necessità, una limitazione che non ha più ragione d'esistere: la sua assenza diventa liberazione.
In un continuo superamento, approfondendo e studiando il Tantrismo, lo Zen, la conoscenza buddhista nelle sue varie scuole, la scrittrice cercherà nelle direzioni più diverse:«il pugnale per uccidere l'Io».
Con uno scatto incredibile trasformerà la perdita in guadagno e l'esperienza diventerà contemplazione.
Sarà una lenta conquista iniziata con la scoperta che occorre identificarsi con l'altro non per un annullamento ma per comprenderlo nella sua singolarità, nella sua unicità, e capirlo più profondamente. Come nel caso di Adriano che girò e rigirò nella sua testa per decenni prima di esprimersi ancora con la sua voce. Si arrabbiava quando le dicevano «Adriano sei tu»: perché lei non si era identificata con lui ma vi si era posta accanto, lì vicino per ascoltarlo, per capirlo, per contemplarne l'esistenza, sicuramente più importante di tante altre, ma indubbiamente facente parte di tutte le altre, del tutto.
Cadere nel tutto ad occhi aperti, far perdere le tracce nella foresta nordica, andare verso la propria sorte, la propria desolata méta.
«I nostri rapporti con gli altri non hanno che una durata; quando si è ottenuta la soddisfazione, si è appresa la lezione, reso il servigio, compiuta l'opera, cessano; quel che ero capace di dire è stato detto; quello che potevo apprendere è stato appreso».
La consapevolezza della maturità e del tempo «l'anima che assiste al passare delle gioie, delle tristezze e delle morti di cui è fatta la vita ha ricevuto la grande lezione delle cose che passano». Rimangono i momenti migliori, i momenti alti che sono sempre i più felici come in un rapporto tra la grandezza e la felicità adrianea. Quel sentimento greco della felicità: i momenti migliori sono anche i più felici.
 
Cosa avrebbe voluto rivedere Marguerite Yourcenar nel momento ultimo della propria fine? I giacinti del Mont Noir, le arance appese ai rami da suo padre, un cimitero in rovina invaso dalle rose, il mare con il suo rumore che dura dal principio del mondo, il carillon che suona un'arietta di Haydn al capezzale di Grace Frick morente (la sua compagna di vita per lunghi anni nonché una straordinaria traduttrice in lingua inglese della sua opera), o quel giorno a Corbridge, distesa in mezzo ad un campo di scavi quando si è lasciata impregnare di pioggia insieme alle ossa dei morti romani, o un arrivo mattutino a Segesta, a cavallo, attraverso sentieri allora deserti e sassosi che profumavano di timo o i volti amati, confusi tra i volti immaginari o tra i volti della storia. O niente di tutto questo, forse solo... il vuoto fiammeggiante come il cielo d'estate, che divora le cose, e a prezzo del quale il resto non è più che una successione d'ombre.
La morte come la vita, le Care memorie e l'innocenza di una fanciulla, le vestigia e i profumi del presente, la linea di confine sempre lambita e molte volte attraversata, mille simboli e rimandi ma una sola certezza: l'indicazione per giungere alla méta ogni lettore la deve cercare dentro se stesso.
 

Massimo Barile



Clicca qui per leggere alcuni Testi tratti da "Le memorie di Adriano"

Torna all'inizio  
 
 

IL SERVER PIÚ UTILE PER POETI E SCRITTORI ESORDIENTI ED EMERGENTI
Home club | Bandi concorsi (elenco dei mesi) | I Concorsi del Club | Risultati di concorsi |Poeti e scrittori (elenco generale degli autori presenti sul web) | Consigli editoriali | Indice server | Antologia dei Poeti contemporanei | Scrittori | Racconti | Arts club | Photo Club | InternetBookShop |
© COPYRIGHT 2003 RIPRODUZIONE VIETATA
È concessa ai navigatori Internet la stampa di una copia ad uso personale

Realizzato dail server dell'associazione no-profit "Il Club degli autori" che ospita riviste virtuali di cultura e arte

ottimizzato per Netscape