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Giovanni Raboni

Un articolo di Olivia Trioschi

Giovanni Raboni è nato (1932) e vive a Milano dove lavora come funzionario editoriale e pubblicista (ha scritto tra l'altro su «Paragone» e «Quaderni piacentini»). Sono da ricordare anche le pregevoli traduzioni di poeti come Baudelaire e Apolinaire e gli scritti di critica letteraria. Dopo alcune plaquettes uscite all'inizio degli anni Sessanta ha pubblicato una prima raccolta, Le case della Vetra, nel 1966; ne sono poi seguite molte altre. E' considerato poeta coltissimo, dai numerosi riferimenti alla grande poesia internazionale, francese e più ancora anglo-americana; è d'altra parte assai stretto il contatto con poeti italiani come Fortini e soprattutto Sereni, al quale possono essere fatti risalire alcuni moduli stilistici usati da Raboni. La sue liriche si caratterizzano per l'uso di un ampio spettro di registri linguistici, da quello più "parlato" e informale a quello "burocratico" dei politici o dei verbali giudiziari, in cui si inseriscono momenti di riflessione dal tono volutamente appiattito. Un noto critico ha voluto ravvisare in questo uso spregiudicato di un linguaggio spesso assai poco "poetico" la cosciente e ironica volontà di rappresentare lo smarrimento del ruolo e della "missione" del poeta contemporaneo. Perciò l'io parlante viene sommerso da una rete fittissima di riferimenti biografici, sociale e ambientali che tuttavia accentuano il senso della distanza dalla voce narrante e l'incertezza sulla sua reale possibilità di poter parlare; risultato è che la concretezza della città (Milano) si perde nei contorni di un paesaggio spettrale e disumano mentre l'uomo sempre più appare come un minuscolo ingranaggio di una macchina mostruosa all'interno della quale la sua individualità risulta inessenziale e finisce con lo scomparire del tutto. Cogliendo un aspetto importante della poesia di Raboni il critico Bellocchio ha scritto che "per non essere complice della realtà il poeta adotta un'ottica mortuaria"; il ricorrente tema della morte è legato a doppio filo al senso di solitudine sociale, quest'ultimo determinato in parte anche dall'origine alto-borghese dell'autore, sentita come un peso di cui è impossibile liberarsi. Alcune poesie di Raboni sono state paragonate a graffiti lasciati sui muri della "capitale del Nord" a testimonianza di una vita vissuta ormai come "automatismo sonnambulo".
Per leggere alcune poesie

 

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Agg.30 marzo 1999