LA PIÚ GRANDE
ANTOLOGIA VIRTUALE
DELLA POESIA ITALIANA
Letteratura sudamericana:
Gabriela Mistral
La poetessa cilena che scriveva d'amore e di morte di Alessandra Crabbia

Lucila Godoy Alcayaga usò sempre questo pseudonimo: Gabriela Mistral. E fu con questo nome che ricevette il premio Nobel per la poesia nel 1945. L'origine di tale nome d'arte, come sempre ammise la poetessa, nasceva dalla sua ammirazione per D'Annunzio, (Gabriele), e per Federico Mistral, il poeta di Mirella, oltre che dal suo smisurato amore per il vento, soprattutto il mistral della Provenza, vento caldo, violento, secco, appassionato. Gabriela era nata a Vicuna, nella valle di Elqui, nel Cile del nord, il sette aprile 1889, e qui soggiornò fino al 1909.
Suo padre, don Jeronimo Godoy Villanueva, era insegnante e poeta, la madre, Pètronila Alcayaga, era vedova e aveva una figlia, Emelina.
La piccola borgata vicino a Vicuna dove abitò Gabriela si chiamava Montegrande, terra di campesinos, di cui lei fu talmente fiera che là volle essere sepolta. Quando Gabriela compì i tre anni, avvenne il primo dramma della sua vita: il padre abbandonò la famiglia, per tornare solo per sporadiche visite sempre traumatizzanti.
Gabriela crebbe sotto l'influsso fortemente religioso della sorellastra Emelina, e questo rimase poi un leit -motiv di tutta la sua esistenza e della sua stessa produzione letteraria. La nonna paterna, di origine ebraica, la iniziò alla lettura dei salmi, che Gabriela amava per la beatitudine che quei versi le comunicavano, tanto che da adulta, in una lirica scrisse: «Sono nata da una carne tagliata nell'arida fibra d'Israele». L'unica professione decorosa per una ragazza povera e attinente alle sue attitudini, era l'insegnamento.
Con enormi sacrifici economici, la madre la fece studiare, e Gabriela superò gli esami di ammissione alla Scuola Normale di La Serena, ma le revocano poi l'ammissione, considerando esaltati, ribelli, e scandalosi i versi che già cominciavano ad apparire su piccole riviste di provincia. Respinta ingiustamente dalla scuola reazionaria, la quindicenne Gabriela, studiò ugualmente fino ad ottenere un incarico a La Contera. La sua incredibile timidezza comportamentale,
diventava invece vorace passione mistica nei suoi versi, e questa dicotomia la accompagnò per tutta la vita, anche se fumava, cosa inammissibile per quei tempi, nei quali i benpensanti pensavano alle fumatrici come a "donne perdute".
Finalmente con grandi sacrifici e forza di volontà riuscì ad ottenere una piccola nomina a supplente nella scuola elementare di La Compania.
Era efebica, bella di una bellezza algida, alta e bionda, e, come la definirono, «più sfinge che ninfa». Ma con i piccoli alunni la sua esuberanza evocativa divenne proverbiale. Fu nel 1905 che questa timida e ardente maestrina conobbe il suo unico, assoluto e tragico amore: Romelio Urreta. Di lui sappiamo qualcosa attraverso il travaglio disperato delle sue liriche e attraverso ciò che essa chiamava La cuenta mundo, il racconto timido del suo mondo interiore, così dolcemente reticente e al tempo stesso così impregnato di amore, morte, sventura.
I biografi e i critici hanno investigato su questo infelice amore di Gabriela, quasi violentando una realtà amara che essa non volle mai dire, se non volando tra gli appassionati versi dedicati a Romelio.
Frugarono tra documenti ed epistole senza comprendere il lutto umano della poetessa, che si trovò depredata della sacralità del suo terribile e devastante sentimento. Gabriela odiava la carnalità di Romelio, e al tempo stesso la sua animalità la sgomentava e la faceva innamorare.
«Il mio carattere irascibile condusse alla rottura» dichiarò poi.
Ma un giorno di novembre del 1909, il giovane si uccise, forse per debiti: nel suo portafogli furono ritrovate alcuni biglietti d'amore di Gabriela. Da questo sciagurato amore nacquero i Sonetos de la muerte, e infine il suo capolavoro: Desolatiòn, di cui l'emblema è la lirica Intima:
 
Non stringere le mie mani.
Verrà il tempo infinito
di riposare con molta polvere
ed ombra tra le dita intrecciate.
 
E tu dirai :
"Non posso
più amarla; le sue dita
si sgranarono come le spighe".
 
La mia bocca non baciare.
Verrà l'istante pieno
di spenta luce, senza labbra
starò sotto un umido suolo.
 
E tu dirai: "L'amai, ma non posso
amarla più, ora che non aspira
l'odore di ginestre del mio bacio".
 
E mi rattristerò nell'udirti;
tu parlerai come un cieco ed un pazzo,
perché la mia mano sarà sulla tua fronte
quando le dita si spezzino,
e scenderà sopra il tuo volto
pieno d'ansia, il mio respiro.
 
Non mi toccare dunque. Mentirei
nel dirti che ti dono
il mio amore nelle braccia mie protese,
nella mia bocca, nel mio collo,
e tu, credendo d'averlo esaurito
ti sbaglieresti come un bambino ingenuo.
 
Perché il mio amore non è solo questo
stanco e restio covone del mio corpo,
che trema tutto offeso dal cilicio
e in ogni volo mi resta indietro.
 
È ciò che sta nel bacio e non nel labbro,
ciò che spezza la voce e non il petto:
ma è un vento di Dio, che passa lacerando
nel suo volo, la polpa delle carni.
 
Nel 1910, dopo aver regolarizzato, con studi accelerati ed esami speciali la sua posizione di insegnante, ottiene una cattedra al liceo femminile di La Serena. Più tardi insegnò
in vari altri licei sempre più prestigiosi. Divenne docente di castigliano e ispettrice generale. Continuò nel medesimo tempo la sua collaborazione per le riviste letterarie, sempre usando il suo amato pseudonimo. Finalmente nel 1914, Gabriela invia ai Juegos Floreal di Santiago, i Sonetos de la muerte, e qui inizia ufficialmente la sua carriera poetica. Questi Juegos Floreal, Giochi Floreali, erano una sorta di tenzone medievale, una gara di poesia alla moda provenzale, che si teneva nel teatro di Santiago.
Gabriela vinse la medaglia d'oro, tra grande plauso della folla, ma la sua radicata timidezza le impedì di presentarsi
al pubblico e di leggere i suoi versi: assistette alla rappresentazione nascosta nel loggione popolare del teatro.
Paradossalmente, questa sua assenza, insieme all'afflato potentemente drammatico dei suoi versi, le crearono una popolarità enorme, perché velata di mistero. Compaiono i
suoi primi cinquantacinque scritti tra il 1916 e il 1917.
Il presidente della repubblica del Cile, don Pedro Aguirre Cerda, intuendo il suo valore, le schiude la strada che la porterà alla gloria, procurandole incarichi prestigiosi. Il 1921 è una data memorabile per Gabriela: il professore Federico de Onis, entusiasta sostenitore della poesia sudamericana, fino ad allora pressoché trascurata, tiene a New York una conferenza sull'opera poetica di Gabriela, alla Columbia University. Il pubblico, prevalentemente composto di critici e docenti, restò estasiato dalla passione e dal genio di Mistral, tanto che pensarono di riunire le sue liriche in un volume. Nacque qui Desolatiòn. L'edizione di New York fu presto seguita da un'altra a Santiago, con un successo incredibile. Gabriela conquistò il cuore delle donne per il suo fascino misterioso e drammatico, e gli uomini per la sua passione esplosiva e al tempo stesso spirituale e teosofica. Il Cile fu assai sorpreso di aver dato luce a un simile genio, e lo stesso Messico la invitò ad occuparsi del ministero della cultura. Gabriela partì per il Messico, nel quale ebbe una accoglienza trionfale: le regalarono una residenza, e venne fondata a suo nome una scuola. Eppure Gabriela è triste, le manca un figlio, e ciò viene espresso nella poesia La donna sterile:
 
La donna che non culla un bimbo nel suo grembo,
il cui calore e aroma raggiunga le sue viscere,
ha tra le mani sue la stanchezza del mondo;
un'infinita angoscia le intride tutto il cuore.
 
Il giglio le ricorda la tempia di un bambino;
e l'Angelus le chiede altra bocca che preghi
e interroga la fonte dal seno di diamante
perché il suo labbro spezza il cristallo tranquillo.
 
E nel guardarsi gli occhi si ricorda la zappa;
pensa che nel vuotarsi dei suoi non vedrà estatica
dentro quelli di un figlio il fogliame d'ottobre.
 
Nei cipressi ode il vento, con duplice tremore.
E una mendìca incinta, il cui seno fiorisce
come messe a gennaio,
la copre di vergogna.
 
Il successo di Mistral in Messico, dato anche dai suoi intenti pedagogici, venne espresso dai Girotondi, una sorta di
poesie educative dedicate all'infanzia. In Messico doveva restare due mesi, e invece vi restò per due anni. Sempre in Messico, pubblicò Lecturas para mujeres (Letture per donne), un'antologia di vari autori stranieri, con qualche suo brano, di cui ricordiamo La donna forte:
 
Ricordo il tuo viso, fissato nei miei giorni,
donna con gonna azzurra e con fronte abbronzata;
quando nella mia infanzia, in terra mia d'ambrosia,
ti vidi aprire un solco nero in un ardente aprile.
 
Nella fonda taverna, l'impura coppa alzava,
chi un figlio appiccicò al tuo petto di giglio;
sotto questo ricordo, che t'era bruciatura,
cadeva dalla mano, serena, la semente.
 
Io ti vidi in gennaio segare il grano al figlio,
e in te, senza capire, trovai quegli occhi fissi,
ugualmente ingranditi da meraviglia e da pianto.
 
E ancora bacerei il fango dei tuoi piedi,
perché tra cento donne non ho visto il tuo volto,
e l'ombra tua nei solchi,
seguo ancora nel mio canto.
 
Gabriela, finanziata dal governo cileno, si reca prima negli Stati Uniti, e poi in Europa. A Madrid pubblica Ternura e Tenerezza, in un eterno colloquio con la terra amata, i suoi spiriti e i suoi segreti arcani, unito allo strazio di una maternità a lei preclusa.
Dopo alcune peregrinazioni in Brasile, in Argentina e in Uruguay, si reca a Parigi e a Roma, dove la raggiunge la notizia ferale della morte della madre, dal cui lutto sgorgheranno alcune poesie nel volume Tala.
 
Amo le cose che mai non ebbi,
con le altre che non ho più:
 
tocco un'acqua silenziosa,
distesa su freddi prati,
che senza vento rabbrividiva
in un orto che era il mio orto.
 
La guardo come la guardavo;
mi viene uno strano pensiero
e lenta gioco con quest'acqua
come con pesce o mistero.
 
Penso alla soglia dove lasciai
passi allegri che non ho più;
e sulla soglia vedo una piaga
piena di muschio e silenzio.
 
Cerco un verso che ho perduto
e che mi dissero a sette anni.
Era una donna che faceva il pane
e io ne vedo la santa bocca.
 
Viene un aroma spezzato in raffiche;
mi fa felice quando lo sento;
così tenue che non è aroma
ma è l'odore di mandorli.
 
Ai miei sensi ridona l'infanzia materna,
gli cerco un nome e non ne trovo.
E fiuto l'aria ed i villaggi
cercando mandorli che non trovo.
 
Un fiume presso sempre risuona.
Da quarant'anni lo sento.
È il mormorio del mio sangue,
oppure un ritmo a me donato.
 
O il fiume Elqui della mia infanzia
che io risalgo e passo e guado,
Mai lo smarrisco: cuore con cuore,
come due bambini noi due ci teniamo.
 
Quando sogno la Cordigliera
lungo le gole cammino,
e andando sento, continuamente,
un fischio simile a una bestemmia.
 
Vado a fiore del Pacifico,
il mio violetto arcipelago,
con un'isola che mi ha lasciato
un acre odore di alcione morto.
 
Un dorso, un dorso grave e dolce,
dà fine al sogno che sogno.
È la fine del mio cammino,
e mi riposo quando giungo.
 
È tronco morto oppure mio padre
quel vago dorso di cenere.
Non lo interrogo, non lo turbo,
Mi stendo accanto, taccio e dormo.
 
Amo una pietra di Oaxaca
o Guatemala, a cui mi accosto;
rossa e fissa come il mio volto
e la cui crepa lascia un respiro.
 
Quando dormo la vedo nuda;
non so perché, io la rigiro.
E forse mai non l'ho posseduta,
e ciò che in lei vedo è il mio sepolcro.
 
E ancora, Gocce di fiele:
 
Non cantare: resta sempre attaccato
sulla tua lingua un canto;
quello che doveva essere trasmesso.
 
Non baciare: resta sempre per una strana maledizione
il bacio che non viene su dal cuore.
 
Prega: pregare è dolce: però sappi
che la tua lingua avara non giunge
a dire il solo Padre Nostro che ti salvi.
 
E non chiamare come clemente la morte,
perché nel corpo di bianchezza immensa
resterà un vivo brandello che sente
la pietra che ti soffoca
ed il vorace verme che ti fora.
 
Dal 1930 in poi è un susseguirsi di viaggi in vari stati d'America, dove terrà conferenze nelle scuole e nelle università. Il suo messaggio femminista è antesignano, e ciò provoca un vero e proprio entusiasmo: Gabriela è la prova vivente del fatto che la donna è equiparata in tutto all'uomo. Svolge alcuni incarichi politici per il governo del Cile, poi tenta di andare a Napoli, ma il governo fascista la considera una rivoluzionaria e le nega l'exequatur.
Parte allora per Madrid, ma avendo criticato aspramente il carattere reazionario di tale società, deve ben presto partire per Lisbona. Iniziano di nuovo queste peregrinazioni che la porteranno in Francia, negli Stati Uniti, in Sudamerica, e infine in Brasile, a Petropolis. E qui accadde il terzo grande dolore di Mistral: nel '45 l'amatissimo nipote, Juan Godoy da lei considerato come un figlio, fu assassinato in circostanze misteriose. La tesi ufficiale fu il suicidio, ma essendo il ragazzo legato a gruppi politici eversivi, nessuno credette a questa versione. Quasi nel medesimo tempo le giunse la notizia dell'assegnazione del premio Nobel. Fu il primo Nobel del Sudamerica, e Gabriela Mistral era l'unico nome che avesse raccolto i suffragi di ben diciassette nazioni. In Svezia venne definita «la grande interprete della misericordia e della maternità, la regina spirituale di tutta l'America Latina». Ma dopo la parentesi svedese, l'irrequieta Gabriela andò in California, poi in Francia, quindi in Italia, a Trento e a Roma, dove fu ricevuta dal Papa, al quale chiese di pregare per gli indios della sua terra. Nel '54 partì poi per Napoli come console onorario, e infine andò a Cuba. Su invito del presidente Cileno Ibanez, finalmente tornò in Cile. La sua salute era ormai fatalmente compromessa, ma nel '55 uscì il suo ultimo libro: Lagar. Ma Gabriela ripartì, tornò negli Stati Uniti. Ormai un male terribile la divorava. Il tre gennaio del '57, ricoverata nell'ospedale Hampstead di New York, cadde in coma, e il dieci morì. Fu sepolta, secondo le sue volontà nel paesino natio, a Montegrande. La grande e inquieta Gabriela era tornata a casa. Le sue stesse parole sono una sorta di testamento spirituale:
«Sono integralmente democratica, credo che il cristianesimo, con il suo profondo senso sociale, possa salvare i popoli.
Ho scritto come chi parla nella solitudine. Infatti sono vissuta molto sola dovunque. ...Il pessimismo in me è un atteggiamento di malcontento creativo, attivo e ardente, non passivo.
Ammiro, senza professarlo il buddismo, che per qualche tempo conquistò il mio spirito. Il Messico mi ha dato, con la sua profonda impronta spagnola - architettura, sensibilità, raffinatezza -, il rispetto e l'amore per la Spagna. Vorrei lasciare l'insegnamento per riposarmi e vivere in campagna leggendo e scrivendo. Vengo da una famiglia di contadini e sono una di loro. I miei grandi amori sono la fede, la mia terra, la poesia».
 

Alessandra Crabbia

 
www.club.it/autori/libri/alessandra.crabbia

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