Scrittori italiani contemporanei
Giovanna Gelmi
Ha pubblicato il libro

Caleidoscopio bugiardo

 
Giovanna Gelmi, Caleidoscopio bugiardo (poesie), editrice Montedit, 1998, pp. 32, Lit. 6.000, ISBN 88-86957-47-5
 
Prefazione
 Ognuno di noi ha tenuto in mano, da bambino, un caleidoscopio, incantandosi a guardarne i colori brillanti che instancabilmente giravano su se stessi, formando figure sempre nuove. Ed era una gioia perdersi in quei sogni colorati, girare insieme a loro nell'universo della fantasia.
Che fine hanno fatto i caleidoscopi? Banditi dai negozi e dai centri commerciali si trovano, ormai sempre più di rado, sulle bancarelle dei mercatini di cose vecchie, confusi in mezzo a cataste di oggetti polverosi. Indegna fine di un gioco antico e magico che metteva le ali all'immaginazione.
Da considerazioni di questo tipo, e più avanti si chiarirà il perché, è nata la scelta del titolo di questa raccolta, autrice Giovanna Gelmi, nome non nuovo alla poesia sia per passione che per professione. La Gelmi infatti unisce alla profonda e ricca vena poetica personale una meritoria opera divulgativa: tiene corsi di poesia a ragazzi delle scuole medie e superiori sollecitando la loro partecipazione attiva, la loro scrittura, le loro idee. Il che, va da sé, è ben diverso da ciò che di norma succede a scuola (ragazzi più o meno assopiti che ascoltano astratte spiegazioni sulla poetica di questo o quel grande). È evidente che un lavoro di questo tipo implica un lavoro continuo anche su se stessi e sul proprio stile, la ricerca di sempre nuove modalità espressive e, soprattutto, il gusto della scoperta.
Elementi che si ritrovano tutti nella silloge Caleidoscopio bugiardo che ci viene incontro, fin dal titolo, con precise connotazioni. Il sostantivo contiene infatti , alla luce di quanto si diceva prima, nostalgia e denuncia. Nostalgia non tanto per "il tempo che fu" (non siamo alla fiera dei luoghi comuni) ma per il tempo in cui esistevano ancora ritmi, colori e stagioni naturali, nel senso di dettati dalla natura; denuncia per la perdita di autenticità e colore che la dilagante civiltà del cosiddetto progresso ha causato. La contemporaneità, sotto la lente d'ingrandimento dell'autrice, si disfa quindi in una serie di immagini impazzite il cui colore dominante è il grigio e la cui falsità è denunciata fin dall'aggettivo che compare nel titolo.
Delineata così la tematica centrale della silloge, possiamo ora avvicinarci alle singole liriche, magari cominciando proprio da Asfalto nel cui ultimo verso compare il titolo della raccolta stessa. Si tratta di un breve componimento (come del resto quasi tutti gli altri) in versi liberi dove rime esterne, interne o imperfette sono disseminate qua e là senza uno schema preciso, solo per assecondare la musicalità dell'insieme. Stessa funzione hanno le iterazioni di particolari lettere, alle quali è però dedicata una ricerca senz'altro più meditata. La forma della poesia (il contenente, come si suol dire) non disdegna dunque il ricorso a quelle figure retoriche tradizionali che esaltano il suono delle singole parole e il ritmo dell'insieme. Lo vediamo nell'ultima quartina di "Asfalto": l'iterazione della u e della p ("Unto e zuppo / di pioggia e polvere") accentuano e sintetizzano il senso di cupa desolazione - stemperato con qualche accento di dolcezza nei versi precedenti - che prelude al disvelamento degli ultimi due versi: è lì che compare infatti il petrolio, significativamente isolato in un verso, individuato come simbolico generatore dei guasti moderni. È lui - plastica e benzina - ad avere irrimediabilmente contaminato il verde e il turchino che non a caso aprono la poesia successiva, "Arcologie feroci". Rabbia e denuncia per i guasti industriali si mescolano, a volte diventando spunto e occasione, a riflessioni più ampie sul significato dell'esistenza stessa. Si veda ad esempio "Parcheggi", in cui l'osservazione di un anonimo parcheggio metropolitano si trasforma in fine di poesia in una dolente constatazione della cieca indifferenza del destino. Stesso procedimento appare in "Rettilineo", suggestiva similitudine tra il paesaggio che si offre agli occhi e quello che ci disegna l'animo. Interamente giocata sul piano simbolico è invece "Effimeri canti" rosa, dove il significato e il tempo dell'esistenza sono trovati nei fiori di cactus del balcone e dove l'eco montaliana amplifica il vuoto che l'autrice vede circondare ogni uomo, condannato all'incomunicabilità. Vuoto da cui si può uscire, forse, con la poesia. Ciò che la nostra autrice si impegna a fare con coraggio, determinazione e quel che più conta, originalità stilistica e tematica.
 
Bianca Cerulli
 

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Inserito il 12-07-1998