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aggiornato il 20-luglio 1997

Filippo Cecere

Linea di confine

 
Norbertiana
(Ipotesi per una traccia)
-Della città nuova e la nuova Gerusalemme-
 
 
Ma io, negando quel che vedo,
dirò delle mie illuminazioni
quelle che mi si presentano.
 
Comincio a comporre una cosa
erta nell'illusione,
nel nome, unica,
 
nel senso, molteplice.
Cercandola,
cerco il luogo da nessuna parte.
 
Come se perseguissi
la bellezza di una cosa
indiscernibile e dinanzi a me.
 
Abù Nuwàs
 
Sono artista, pittore, creo idoli ad ogni istante
e poi, tutti quest'idoli, ai Tuoi piedi li infrango!
 
Evoco cento fantasmi e li imbevo di spirito
ma quando vedo il fantasma Tuo, li getto tutto nel fuoco!
 
Sei Tu il coppiere degli ebbri o il nemico sei della sobrietà?
O sei Tu uno che distrugge ogni casa che edifico?
 
Gialal ad-Din Rumi
 
 
Aprile 1994
 
Nello studio dello psicanalista Michele
 
- Ho pensato che saresti stato interessato...
- Pronto? Sì… Scusami, ora sono impegnato; chiama tra un'ora... allora dicevi?
- Dicevo che i segni in questo periodo si vanno intensificando e per ricordarli tutti ho deciso di prendere appunti.
- Dimmi, dimmi, scusa se mi stendo un attimo sul lettino; sai... il mal di schiena... prendi una sedia, accomodati accanto a me.
- Insomma sei sempre tu, a quanto so, ed è molto poco, non dovrebbe essere il paziente a stendersi sul lettino?
- Infatti io sono molto paziente... Questi appunti?
- Ho seguito il tuo consiglio, ho costruito il canovaccio di un'opera, non so se chiamarla così...
- Fammi vedere!
- Ecco...
 
 
E l'eco della notte
dallo stillato calice
del mattino unica nota
in sette gocce di rugiada
 
un'Arlecchina scanzonata
dal volto di Pierrot
nel chiaro riso di mimo
si è fermata
 
Ed alimenta il Cristo
nelle stimmate del tempo
la sua resurrezione.
 
 
Premessa
 
vocazione
 
Lo sposo
 
O tu che abiti i giardini, gli amici
sono intenti alla tua voce:
deh, fammela sentire
 
La sposa
 
Fuggi, amico mio, come una
gazzella od un cerbiatto, sul
monte degli aromi
 
Cantico dei Cantici
 
L'arbitra pianta mi condusse sospeso
tra il tempo dell'anziano e il fragore
del tuono all'imbrunire; sottratto alla
veglia m'adagiavo, quindi poggiato alla
destra mi voltai e vidi un ponte: su mille
misure d'altezza era legato, vi si leggeva
una scritta tra le ombre
 
La stella del Mattino segnava l'orizzonte;
un tempo ebbe parlato:
«Il compito cui fosti assegnato» ormai
non esisteva. «Daniele? Daniele?» ripeté
una voce ed io dal sogno: «Cosa vuoi?»
 
«Non vedi che il compito cui fosti
chiamato - e quest'Io sono - s'avvicina?
Tu, dagli uomini scacciato, scandaglia
questa voce!»
 
Lessi allora nello spazio una porzione
che brillando fratturava come l'onde:
decisa Lei s'accoccolava, ai margini
incastrata. «È la pietra scartata,
testata d'angolo inventata; la tua
chiamata collocazione precisa
nella region del cuore!»
 
E confidando nel perdono che m'era
già spiegato andai su me stesso
roteando.
 
 
 
Lo stilita e il lunario
 
Ritto
sull'asta
di un passaggio a livello
osserva lo stilita il lunario
 
(Non quel senso che appartiene quando
l'onda del pensiero s'inframmezza
all'orizzonte scava il cuore, ma il
dolore che si nutre dell'attesa è
ambivalente ricercare, tra il colore
e la sua assenza)
 
Frammenti di primo parto
inventano
l'universo
sbalzati da un nuovo ordine della natura
 
(Spesso s'è chiesto che fosse
il suo cercare; violare con un
sottile gesto della mano il velo
di morte che il pensiero non
raggiunge spingendo oltre confine
il corpo con la mente o semplice
vegliare)
 
Linea rovente
e convergenza d'orizzonte
sfogliati da un libro antico
 
(L'ipotesi seguente gli pare,
di certo, la migliore)
 
 
Stretto nelle spalle
dallo specchio lo vidi risalire:
«Vegliare» il suo corpo l'ho vegliato - disse -
e sfiorarlo con le labbra l'ho sfiorato
fermarmi fui fermato da un gesto repentino
della mano.
 
(Venga l'amico mio nel suo giardino,
e ne mangi i frutti deliziosi!)
 
Ripercorri il pensiero e costruiscine
i nodi per poi scioglierli uno ad uno,
le risposi. Per tendere la corda dell'arco
abbisogni delle frecce benché
il centro sia già colpito.
 
(Venga l'amico mio nel suo giardino,
e ne mangi i frutti deliziosi!)
 
Perso
nel silenzioso gioco delle ombre
ora ripercorro come tortuose
calle cittadine le linee che uniscono
mattone a mattone. Così mi perdo nel
labirinto della stanza e non so se
la poesia sia dentro o fuori di essa»
 
(Venga l'amico mio nel suo giardino,
e ne mangi i frutti deliziosi!)
 
* Il passo tra parentesi è tratto dal Cantico dei Cantici 4, 16
Il verbo che si vuole rafforzare di significato ponendolo all'infinito è tratto dalla traduzione di Erri De Luca di Esodo/Nomi.

Il Curriculum dell'autore lo trovi nella
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Agg. 08-07-2002