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Ernesto Vettese

1° classificato nel concorso Marguerite Yourcenar 1997

con questo racconto:

 
 
Da che parte la riga?
 
La mia immagine è riflessa nello specchio, quella del parrucchiere anche, più in alto. Mi vedevo ridicolo con quella sorta di scialle inamidato sul quale i miei capelli scivolavano impietosamente, con sofferenza, troncati dalle forbici. Mesi e mesi di paziente crescita annullati da un taglio netto in meno di un secondo.
«Da che parte la riga?».
Che cavolo di domanda! Mi prende l'incertezza, il panico. Non lo so, non me lo ricordo. Dovrei forse guardare la foto sulla patente, ma è vecchia di nove, dieci anni. Non mi ricordo da che parte ho la riga, figuriamoci se mi ricordo di aver cambiato pettinatura o meno in questi ultimi anni.
«Mi sembra a destra &endash; dico &endash; provi un po' a tirarmeli indietro per vedere da che parte pendono».
Niente, nessun effetto. Una volta pettinati all'indietro, bagnati come sono, restano immobili tipo quelli di John Travolta in Grease.
«Ma sì, la faccia a destra, mi sembra di ricordare che è stata sempre da quella parte».
 
Mi sveglio di soprassalto. Che strano, quasi fossi io quello che deve sposarsi. È domenica mattina, si sposa mio cugino Eustachio e devo prepararmi in fretta se voglio arrivare in tempo alla cerimonia. Quando arrivo sono tutti lì, tirati a lucido come le loro automobili; sessantenni signore con mini da capogiro, bambine di dieci anni vestite come bambole di porcellana e indiavolati ragazzini con papillon d'ordinanza.
La sposa tarda. Classico, direte voi. Non tanto visto che non è la pubblicità della Golf ma un matrimonio tra provinciali in una provincia che più provincia non c'è. Eustachio è lì, sulla soglia della chiesa, infilato in un gessato che non fa una piega, probabilmente perché non si riuscirebbe a piegarlo neanche volendo. Paonazzo in volto, come sempre quando si sente al centro dell'attenzione. Finalmente la sposa.
In una fiammante FIAT 131 incioffettata come un pacco dono. Manca solo Mengacci. Mariaelvira scende dalla macchina come ha visto fare tante volte nei films, e come da copione, sta piangendo. Tutti la circondano e la sbavano di baci sudati. Presto si scopre che non sta piangendo per l'emozione, ma perché a quanto sembra, un suo parente &endash; mi sembra uno zio &endash; mentre strombazzava sulla sua automobile dietro il corteo nuziale, ha calcolato male il raggio di una curva ed è finito fuori strada. Ora è in coma, no in prognosi riservata, no si è rotto solo una gamba, no non si è fatto nulla e arriverà da un momento all'altro, no… poverino! Ma si poteva rimandare tutto a quel punto? No. Il ristorante, la prima notte di nozze, il viaggio di nozze prenotato. Come si faceva a rimandare tutto? Di sfuggita mi specchio nel finestrino di un'auto, i capelli non mi stanno fermi. Sarà che avrò sbagliato il lato della riga? Boh!
Finalmente si dà inizio alla cerimonia, non prima però che il parroco abbia spostato di peso un mendicante che si era piazzato proprio sulla scalinata d'ingresso della chiesa; avrebbe stonato nelle foto. Passandogli affianco gli lancio uno sguardo comprensivo, quasi scusandomi con lui di essere anch'io la causa del suo mancato incasso domenicale.
Che caldo soffocante in chiesa, eppure quando facevo il chierichetto mi ricordo che si stava freschi. Una signora seduta al mio fianco ne conviene con me. Ma non ci si potrebbe sposare d'inverno, che so di dicembre, gennaio. «Ma no &endash; mi dice un cappello rosa che nasconde un volto tipo Liz Taylor più grassa di venti chili e più vecchia di trent'anni &endash; si immagini, comprarsi un cappotto o addirittura una pelliccia nuova, con quello che costano oggi».
Intanto il prete prosegue monotono e un po' scocciato, direi. Sembra quasi che non veda l'ora di togliersi la toga e correre a farsi la pennichella post-pranzo. Al momento delle frasi di rito e del fatidico sì, che solo il prete riesce a sentire, scroscia l'applauso. Qualche lacrima solca il rimmel della sposa e le fedi scintillanti ed orgogliose si fanno ammirare emozionate. Anche i santi nelle loro nicchie vorrebbero essere partecipi di quell'entusiasmo ma con quelle facce sofferenti che si ritrovano… Mi precipito fuori, non resisto più, sto morendo di caldo. Uscendo, una bacheca appesa sulla porta d'ingresso della chiesa attira la mia attenzione; sì, è proprio così, specchiandomi nel vetro tra avvisi di pellegrinaggi e messe commemorative, mi convinco sempre di più di aver sbagliato il lato della riga. I capelli non mi stanno proprio fermi.
Sulla piazza la massa degli invitati si è disposta in attesa dell'uscita dei novelli sposi. Intanto circola una voce, è ufficiale, lo zio di Mariaelvira è in coma. Ma per carità, che gli sposi non vengano a saper nulla, oggi no, è la loro festa. Tra applausi e grida da stadio, gli sposi si affacciano sulla porta della chiesa e una pioggia di riso li investe in pieno. Confetti e monetine volano ad ammaccare la carrozzeria di qualche automobile, e orde di ragazzini si rotolano sull'asfalto a caccia delle tanto attese monetine. Io raccolgo i confetti e le poche monete che mi cadono ai piedi anticipando un'arzilla vecchietta che con apparente indifferenza cerca di soffiarmele.
«Mi dispiace, sono riuscito a raccogliere poco» dico al mendicante regalandogli il mio bottino.
 
Si parte, tutti in fila come ad un casello autostradale a ferragosto, verso il ristorante. Ma non si potrebbe fare a meno di strombazzare con i clacson visto che uno degli invitati è in coma? Ah già, che stupido, la sposa sospetterebbe qualcosa.
L'assalto al buffet si è compiuto. Solo un tavolinetto e la sua tovaglia stropicciata sono rimasti a testimoniare la cruenta battaglia che lì ha avuto luogo. L'interno del ristorante è tutt'altro che sobrio. Dappertutto foto di sposi che sono passati di lì, sembrano ex-voto a ringraziamento di grazie ricevute. Altissimi specchi ricoprono le colonne del salone principale ed una orchestrina attacca un improbabile walzer viennese. A proposito delle colonne ricoperte di specchi, mi ci rifletto, e con disappunto crescente noto che più si va avanti con la cerimonia, più il disordine dei miei capelli aumenta. Sono tentato di chiedere a qualche conosce se almeno lui ricorda da che parte porto la riga, ma non mi sembra il momento più adatto.
Si mangia! Tre antipasti, quattro primi, tre secondi, formaggio, frutta, dolce e spumante.
Intanto il solito informatore viene ad avvisarci che lo zio di Mariaelvira è sempre più grave, potrebbe morire da un momento all'altro.
Buste tipo quelle della spesa si riempiono di cibarie; del resto non si può mica mangiare tutto e quindi quello che avanza lo si porta a casa. Le prime coraggiose coppie aprono le danze, fuori comincia a fare buio. Bacio! Bacio! si urla nel salone, e sembra che gli sposini non aspettino altro per attaccarsi come ventose. Fuori ormai è buio. È stata una giornata spossante, finalmente fa il suo ingresso nel salone il carrello con le bomboniere da consegnare agli invitati. Che belle, due sposini in miniatura su un'altalena. E dondola per davvero!
Intanto il solito informatore viene ad avvisarci che lo zio di Mariaelvira è morto!
Le scatoline con le bomboniere passano dalle mani degli sposi a quelle degli invitati, e le buste con i soldi da quelle degli invitati a quelle degli sposi: schiocchi di baci e strette di mano, qualche lacrimuccia della sposa che non vede l'ora di chiudersi in camera con Eustachio. Chissà se domani avrà ancora lacrime. Della tragedia nessuna notizia, nessun aggiornamento, e Mariaelvira continua a non sapere. Presa la mia bomboniera e consegnata la mia busta, esco all'aperto. Respiro a pieni polmoni l'aria fresca della sera, il cielo è stellato e una luna arancione sovrasta l'orizzonte. Mi infilo in macchina, aggiustando lo specchietto retrovisore noto i miei capelli ormai ingovernabili. Adesso sono quasi sicuro, la riga ce l'avevo dalla parte opposta a quella che mi ha fatto il parrucchiere. Speriamo che domani mattina tornino a posto, devo andare ad un funerale.
 
 
 
 

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Aggiornato 30 Ottobre 1997 (r1)